L’uomo forte per affrontare il microbo, alla ricerca del quoziente zero. Che cosa c’è di virale in Italia (oltre il coronavirus).

L’editoriale del direttore della Gazzetta di Reggio, Stefano Scansani

REGGIO EMILIA. Re, Bo, Mi, Na, Pa. Venticinque anni fa c’erano ancora le targhe automobilistiche che indicavano chiaramente da dove si proveniva. Non era possibile sfuggire al riconoscimento, frontale o posteriore che fosse. Al porto di Ischia venni salutato da tre-quattro locali che volevano sapere da me, con targa settentrionale, perché mai, al Nord, volessimo separarci da loro. Mi chiesero di dire a Bossi e ai suoi che la finissero di “uffennere” i meridionali. “L’Italia è una sulamente”. Questa è invece la notizia di agenzia di otto giorni fa nell’emergenza dell’epidemia da coronavirus: “Ischia vieta l’accesso a cinesi, lombardi e veneti”.
Non so se fra i sintomi vi sia anche la nausea, ma credo che una moltitudine di cittadini ne sia affetta. Nausea da informazioni sbilenche e contraddittorie, opportunismi, complottismi, speculazioni in un Paese vieppiù sfatto, quindi aggredibile da qualsiasi bacillo. Metto insieme un po’ di pensamenti alla larga dal morbo, ma riguardano – come ha spiegato il filosofo Umberto Galimberti – le sue ansie supplementari.

SFEDERALISMO

A Codogno – neanche 16mila abitanti – s’incrociano le linee Milano-Bologna, Cremona-Pavia

Per i pendolari la notorietà del paese lombardo, in provincia di Lodi, era tutta qua: si fissava sull’orario ferroviario. Ora non più. Per un’ubriacatura d’enfasi è diventato “la Wuhan italiana” con l’esercito che vigila sul focolaio dei focolai. La frontiera del fiume Po dista 3 chilometri, e 17 il centro storico di Piacenza.

Cioè, l’Emilia-Romagna è lì attaccata. Eppure di là il presidente Fontana opera nell’autonomia rispetto al presidente Bonaccini che sta di qua o al presidente Zaia da quell’altra parte, veneta.

I solisti regionali non corrispondono con il governo centrale. L’autonomia delle Sanità coincide con i moderni principati, con tutto quel federalismo che ha reso ineguale l’Italia, sclassificando la Salute fra l’eccellenza e l’emergenza, squadernando i calendari scolastici. Ognuno fa per sé.

Massimo Cacciari contro i particolarismi ha invocato protocolli globali. Che valgano per le crisi sanitarie, le crisi economiche, le crisi ambientali. Perché più che mai vale il motto “Moriremo tutti” (di qua e al di là del Po, ma anche dagli oceani).

FAI-DA-TE

Lo sfederalismo, che alla fine diventa un fai-da-te piccolo piccolo, è esorbitato nelle prime giornate dell’emergenza nazionale. Una settimana fa.

Ad esempio, i sindaci sono stati fra i primi a digitare regole e consigli per affrontare il contagio.

Ognuno per suo conto ha digitato sul proprio profilo Facebook, sul suo account Twitter o Instagram gli avvisi alla comunità. Cioè attraverso gli stessi strumenti con i quali fanno campagna elettorale, personale propaganda, anche polemica e disputa. I sindaci sono stati automaticamente subissati dalle domande dei cittadini, con tutti i conseguenti silenzi o “io non sono competente”. E chi non ha Facebook, chi non sa che cos’è Twitter, chi ignora Instagram, oppure non è “amico” del sindaco, che fa? S’attacca.

Se questo è il cortocircuito di base è comprensibile ma non tollerabile il contrasto fra poteri di vertice, cioè la relazione fra Stato e Regioni e viceversa.

IN UN SOL MORBO

In certe circostanze serve un protocollo globale, ed è necessaria la coesione nazionale e della Ue. Che si disintegrano in modo pittoresco se i lombardi e i veneti non possono sbarcare a Ischia o andare in Romania. Che si disintegra in modo drammatico se chi invoca un governo d’emergenza immagina di portare a casa tre risultati in un sol morbo: licenziare Conte adesso, andare a votare subito dopo l’emergenza, prendersi il Quirinale nel 2022 e il gioco è fatto.

Con questi intrighi non c’è salvezza per il Paese, per la sua tenuta sociale e morale. Quello rappresentato dal coronavirus è soltanto l’ennesimo “insulto” (il termine è medico) alla stabilità italiana, alla sua endemica fragilità che invoca l’uomo d’ordine per affrontare il microbo e intanto prende d’assalto i supermercati avendo un debole per il caos.

UNTORI

Altroché remota, manzoniana o letteraria. L’attività dell’untore è modernissima. Chi propaga il contagio con ogni mezzo comunicativo ha oggi molteplici sembianze. Sono untori coloro che minimizzano la portata dell’epidemia paragonandola a un’ordinaria sindrome influenzale (tanto a morire sono i vecchi e gli svantaggiati). Sono untori quelli che pronosticano un’ecatombe, come quelli che intravedono una trama internazionale per far collassare questa o quella economia, o gli altri che oltre il mercato degli animali vivi di Wuhan immaginano l’attività di un laboratorio microbiologico impazzito.

Immetto nella lista molto giornalismo che giornalismo non fa, non informa ma deforma, inietta in certi titoli e “titolesse” falsità, eccessi, volgarità. Questa maniera di mimetizzarsi nell’informazione compie almeno tre obbrobri: raggira il pubblico, se ne frega della verità. Un’altra conferma che il Paese è sfatto la ritrovo nell’impunità etica e professionale dei colleghi cosiddetti.

CONTAMINABILI

Ricordo che in ogni cronaca o in qualsiasi narrazione letteraria di un contagio emerge il “bisticcio di parole”. Cioè l’incertezza o la sordina con le quali il potere disinformava i sudditi. Grazie al cielo oggi non dovrebbe essere più così, almeno in questa parte di Mondo. Eppure il “bisticcio di parole” risulta esistere almeno sul piano formale per levigare i termini italiani crudi. Così la chiarissima parola italiana focolaio è diventata l’anglosassone “cluster”. Lo stesso vale per punto caldo, epicentro ,che si trasforma in “hotspot”. Da ciò l’automatismo che ha fatto dire a Di Maio “Corona Vairus” invece di coronavirus. Siamo molto contaminabili.

SERVE ARISTOCRAZIA

E allora capirete perché sono un sostenitore dell’aristocrazia del primo tempo, quella greca originaria: il governo dei migliori e valorosi (non della nobiltà). Esso è la produzione più alta e concreta della democrazia perché sceglie cittadini eccelsi. In questo ambito i politici sono oggi sparuti, spesso imbarazzanti. E se ci badate in questo tempo virale la presenza fissa dei politici pocologi (virali solo per i post) è stata scalzata nei dibattiti tv dalla chiamata dei competenti: virologi, infettivologi, epidemiologi, microbiologi, storici, sociologi, filosofi della società, antropologi. La cittadinanza e l’informazione hanno bisogno di parole nuove, toni diversi, risposte puntuali e imparziali.

Dovremmo sfebbrarci da una lunga stagione per nulla intellettuale, che è culminata nel “Corona Vairus” del ministro degli Esteri di Maio e nella mascherina dell’autoisolamento in diretta del governatore Fontana (“pronto a difendere tutti gli altri lombardi”).

Rispetto all’umanesimo e alla scienza, la politica corrente è una categoria a parte. Sta qui la “corruzione dell’aere”. —

Stefano Scansani

s.scansani@gazzettadireggio.it

Gazzetta di Reggio