Luoghi comuni su Dio

di Lucetta Scaraffia

Nell’ultimo numero della rivista francese “Esprit”, dedicato al problema di Dio nella filosofia contemporanea, si constata un fatto: l’esperienza che i contemporanei condividono più intensamente è l’assenza quasi assoluta di Dio nel quotidiano, una non-esistenza che si fa quasi sensibile nello spazio pubblico e in quello privato. Non pochi hanno però la sensazione che questa esclusione impoverisca il pensiero. Così Dio ritorna nello spazio pubblico della cultura di una grande città secolarizzata come Parigi. Ma non più grazie al vaglio della teologia, bensì attraverso quello delle più moderne scienze umane. Sono l’antropologia e la storia, infatti, le lenti con le quali è affrontato il tema di Dio in due mostre: Dieu(x), Modes d’emploi al Petit Palais e Entrée des mediums. Spiritisme et art de Hugo à Breton nella casa museo di Victor Hugo.
La mostra sullo spiritismo parte dal presupposto che la “morte di Dio”, verificatasi negli ultimi decenni del XIX secolo negli ambienti intellettuali francesi, abbia aperto la porta agli spiriti: l’ambiente ideale per queste sperimentazioni era la casa di Victor Hugo, a Marine Terrace, dove facendo muovere i tavoli si entrava in contatto con i morti, in genere molto famosi. Quello che differenziava dalla religione questi momenti di tensione verso l’aldilà era soprattutto la speranza di poterli analizzare scientificamente, di cogliere prove materiali.
La ricerca scientifica di un rapporto con l’aldilà che fosse quantificabile e registrabile porta infatti all’uso della fotografia dei fenomeni medianici, all’analisi degli scritti frutto di sedute spiritiche e delle opere d’arte nate per via che si voleva magica. Questa ricerca non riesce mai a raggiungere i suoi obiettivi, e per questo possiamo solo veder emergere, invece di uno smascheramento scientifico della presenza divina, le prime tracce di quello che sarà considerato l’inconscio. L’anima si fa spirito, per diventare poi misterioso inconscio, perdendo definitivamente ogni legame con Dio.
Ma se, seguendo le più moderne definizioni, tendiamo a considerare come religione l’insieme delle credenze e delle pratiche di cui gli esseri umani si servono per stabilire una relazione con il mondo cangiante dell’invisibile, troviamo perfettamente coerente con l’esposizione sullo spiritismo la mostra allestita al Petit Palais, che ha l’intento chiaramente politico di provare che le religioni sono tutte proiezioni del desiderio umano di trovare “una morale civile e una consolazione contro la morte”.
L’impianto della mostra, infatti, è soltanto antropologico: tutte le immagini della divinità esposte sono trattate rigorosamente allo stesso modo, così come vari filmati che testimoniano le diverse forme che prendono i riti di passaggio. Accanto, interviste su Dio con credenti di varie religioni e con atei, e brevi biografie di coloro che sono ritenuti tramite con l’aldilà, dove madre Teresa sta accanto al reverendo Moon e al Dalai Lama. Chiaramente, l’intento è quello di affermare che l’essere umano è sempre lo stesso, e le risposte, differenti, sono tutte equivalenti. Una prova evidente di come sia stata proprio l’antropologia – nata nel XIX secolo privilegiando le pratiche piuttosto che la teologia – a fare del relativismo un luogo comune del pensiero occidentale.
Parlando solo di pratiche – spiega un lungo saggio introduttivo del catalogo – si può evitare infatti l’imbarazzante problema della verità: cioè la curiosa idea che la verità esista di per sé e che la salvezza consista nella sua scoperta. E si rimane così saldamente sul piano del politicamente corretto, tanto da poter affermare, in una sezione dedicata alla violenza, che “la religione porta il conflitto come il temporale”, in particolare quelle religioni che pretendono di difendere una verità assoluta; ma per fortuna ci sono gli esseri umani, che possono scegliere la pace, anche se “la religione permette tutto, giustifica tutto”. Gli uomini, quindi, possono liberarsi di questo pericoloso fardello della fede religiosa prendendone le distanze, conclude il curatore della mostra Elie Barnavi. Dimenticando però che le più atroci guerre del Novecento non sono state guerre di religione, ma conflitti generati da culture secolarizzate, proprio quelle che gli sembrano così portate verso il pacifismo. Ecco come far passare idee molto discutibili, e farle diventare opinione comune.

(©L’Osservatore Romano 30 gennaio 2013)