L’Unione Europea per la libertà religiosa

UE e libertà religiosa

 

 

 

 

 

 

 

Settimana News

Nel bailamme dell’insediamento della nuova Commissione Europea sotto la guida di Ursula von der Leyen è passato sotto un sostanziale silenzio il report finale redatto dall’Inviato Speciale per la promozione e la protezione della liberta di religione o credo al di fuori dell’Unione Europea. Durante il mandato della Commissione Junker questo incarico, costituito nel febbraio 2016 sulla base di una risoluzione del Parlamento Europeo legata massacri di minoranze religiose operate da Daesh, è stato assegnato a partire dal maggio 2016 per tre mandati annuali allo slovacco Jan Figel.

Inviato Speciale UE per la libertà religiosa: una struttura volatile

Nonostante il generale riconoscimento del significato e dell’importanza strategica di una tale posizione in seno alle istituzioni europee, e al plauso per le attività svolte da Figel in questo breve arco di tempo, la figura dell’Inviato Speciale UE in materia di libertà religiosa rimane a tutt’oggi istituzionalmente precaria.

Si tratta infatti di un incarico annuale part-time, con un contratto esterno, conferito ad hoc dal presidente della Commissione Europea; l’attività dell’Inviato Speciale è inserita nel contesto del mandato e delle responsabilità del Commissario per la Cooperazione e lo sviluppo internazionale con una funzione di consulente particolare – e quindi dipendente dalle politiche portate avanti in questo ambito (sezione che è stata rinominata poi dalla Commissione van der Leyen come quella delle Partnerships Internazionali). La creazione di un minimo di struttura che potesse affiancare l’opera di Figel è stata resa possibile dalla particolare attenzione alla materia da parte del precedente Consiglio direttivo generale per la Cooperazione e lo sviluppo internazionale.

Ma nonostante questo, l’ufficio dell’Inviato Speciale rimane ridotto ai minimi termini, con un consigliere politico a tempo pieno e una giovane tirocinante a tempo parziale. Proprio per porre rimedio a questa condizione precaria e instabile di una funzione di cui si riconosce il ruolo chiave per le strategie internazionali dell’UE, con una risoluzione del 15 gennaio 2019 il Parlamento Europeo chiede al «Consiglio e alla Commissione di supportare adeguatamente il “mandato, le capacità e i compiti dell’Inviato Speciale». Come ha sottolineato lo stesso Figel, la risoluzione del Parlamento va nella direzione di una «istituzionalizzazione dell’impegno dell’UE in materia di libertà di religione o credo, al fine di farlo diventare più efficace connettendo tra loro dimensioni politiche e operative, e massimizzando l’impatto dei mezzi e delle iniziative in materia dell’UE».

L’intelligenza politica e culturale di un’opportunità

Per chi conosce le dimensioni della burocrazia europea, l’ufficio dell’Inviato Speciale UE per la libertà di religione o credo rappresenta molto meno di una gocciolina nel vasto mare dell’Unione e delle sue istituzioni. Due part-time (tra cui quello dell’Inviato stesso), un tempo pieno, un contratto esterno alla macchina europea (così da evitare sorprese e neutralizzare possibili tensioni fin dal principio), annidato presso la Commissaria per le Partnerhips Internazionali, con una funzione consultiva e non vincolante sia verso di essa sia verso la Commissione nel suo complesso (l’intestazione del testo del report di Figel ci tiene a sottolineare come il contenuto del lavoro dell’Inviato Speciale qui presentato e le sue suggestioni per il futuro non siano in alcun modo vincolanti per la Commissione)… insomma, quello dell’Inviato Speciale UE per la libertà religiosa sembra decisamente essere il figlio di un Dio minore dell’Europa.

Ma le dimensioni e il prestigio istituzionale non sono a priori la misura di quello che si può fare e dei risultati che si possono raggiungere. In questo bisogna riconoscere che Figel ha svolto con passione, competenza ed entusiasmo istituzionale il suo mandato, nonostante tutta la sua precarietà.

17 visite ufficiali; partecipazione a innumerevoli convegni e tavole rotonde; un appoggio convinto alla fondazione della European Academy of Religion; la distribuzione di 22 milioni di Euro di fondi per progetti locali in Asia, nei Balcani e nei paesi del Sud del Mediterraneo nell’annata 2017-18; lo sviluppo di una strategia basata sulle priorità geografiche e tematiche intrecciate fra di loro; la cura di rapporti regolari con leader religiosi ed esperti accademici in materia, riconosciuti di Figel nel «loro doppio ruolo di detentori di doveri e di portatori di diritti». Una visione culturale e politica strategica della protezione della libertà che deve essere «inclusiva ed applicabile anche al di là di un riferimento specifico a una determinata minoranza o minoranze religiose in generale». Un approccio in loco alle violazioni della libertà di religione capace di essere «sensibile al contesto» complessivo, e agire con rigore per la protezione della libertà religiosa tenendo conto però anche di esso.

Questo e molto altro il lavoro svolto da Figel e dal suo piccolo team in poco meno di tre anni. L’Inviato Speciale UE per la libertà religiosa diventa anche una sorta di sensore e sismografo per altre politiche e attività dell’Europa: «ovunque io sia stato, l’impegno dell’UE nelle soft areas [ambiti in cui si procede con strumenti diplomatici e di negoziazione fra le parti] del pluralismo religioso e di una coesistenza pacifica è molto ben accolto e crea opportunità tangibili e concrete per continuare il dialogo e trovare forme di azione coerenti».

Da un lato, Figel ha istruito una collaborazione sistemica e cordiale con l’Inviato Speciale per la libertà di religione o credo delle Nazioni Unite; dall’altro, seguendo il senso comunitario dell’istituzione della sua carica, ha sollecitato e favorito la creazione di incarichi similari nei paesi membri dell’UE. Attualmente i governi della Danimarca, Germania, Regno Unito, Ungheria, Polonia, Lituania, Paesi Bassi, Svezia e Repubblica Ceca hanno una posizione nazionale corrispondente a quella dell’Inviato Speciale EU per la libertà religiosa.

Libertà religiosa: società civile e responsabilità sociale

Nell’arco del suo mandato Figel ha percepito l’importanza di una più stretta collaborazione con le università, le facoltà teologiche, di scienze della religione e i centri di ricerca che hanno competenze in materia di religione e confessioni religiose al fine di incrementare l’alfabetizzazione religiosa nelle varie regioni del mondo – sia nella società civile sia  all’interno delle stesse comunità religiose.

Questa collaborazione può aiutare anche le istituzioni politiche ad apprendere il linguaggio adeguato per interloquire in questioni e ambiti di particolare sensibilità per la libertà religiosa: «credo che il linguaggio sia importante e che la contestualizzazione sia urgentemente necessaria. Ho visto che il vocabolario della dignità umana rappresenta uno spazio di incontro per l’umanesimo religioso e per quello secolare; si tratta di un ponte utile per connettere tra loro differenti “territori” e per superare resistenze contro un gergo di carattere puramente legale».

UE e libertà religiosa

Jan Figel

Le comunità religiose, le loro pratiche e riti, il loro modo di abitare gli spazi comuni a tutti i cittadini, non devono essere viste come un problema ma rappresentano una vera e propria risorsa nel perseguire insieme il rispetto e la protezione della libertà religiosa di tutti: «lavorare su temi e in ambito di libertà di religione o credo rende più semplice un impegno confidenziale e trasparente con i soggetti religiosi per far progredire la loro “responsabilità sociale religiosa” nello spazio pubblico e per accrescere il loro contributo a uno sviluppo sostenibile».

Raccomandazioni per il futuro

Cinque gli ambiti indicati da Figel, verso i quali sia il ruolo da lui ricoperto durante la Commissione Junker sia l’UE nel suo complesso devono sviluppare una particolare attenzione e competenza nell’immediato futuro.

  1. Comprendere che la libertà di religione o credo «è un diritto umano che si trova sotto pressione. Essa è minacciata da movimenti religiosi estremisti, da governi secolaristi oppressivi e da differenti combinazioni di soggetti [politici, economici e culturali] e ideologie […]. A partire dal 2017 le ostilità sociali e le restrizioni governative in materia di religione sono aumentate in maniera costante».
  2. Essere consapevoli, politicamente e istituzionalmente, che la «crisi della libertà di religione o credo è una questione civile e di civiltà […]. Incoraggio l’UE e gli stati membro ad ancorare in maniera decisa il loro supporto a favore della libertà di religione o credo nel quadro più ampio dei diritti umani basati sui principi di universalità, non discriminazione e indivisibilità […] Allo stesso modo, invito a considerare in maniera sistematica l’intersezione fra la libertà di religione o credo e la cittadinanza. La cittadinanza e la costruzione di uno stato civile sono il terreno comune condiviso da molti soggetti politici, religiosi e civili».
  3. L’apprendimento e lo sviluppo di competenze specifiche in materia di religione deve essere visto come un aspetto cruciale, non solo a parole ma anche concretamente nelle politiche messe in atto. «Una conoscenza adeguata della libertà di religione o credo richiede un certo livello di comprensione di nozioni e dottrine religiose/teologiche. Più rilevante è il fatto che essa dovrebbe sostenere la comprensione della dimensione socio-culturale della religione e il suo complesso radicamento nelle strutture portanti delle società […]».
  4. Le comunità e i soggetti religiosi non devono essere visti unicamente come «vittime o colpevoli di violazioni della libertà religiosa, ma come partner nella costruzione di strategie a lunga durata che favoriscano il pluralismo e una pace sostenibile».
  5. A livello europeo bisogna sviluppare una piattaforma comune verso la quale possano convergere le politiche dell’UE e degli stati membri in materia di libertà di religione o credo in paesi che non appartengono all’Unione Europea stessa. Con la consapevolezza che la creazione di condizioni che permettano il libero esercizio, personale e collettivo, della religione e delle sue pratiche nei paesi membro dell’UE è la premessa necessaria per ogni credibile politica europea in questa materia a livello globale.

Concludendo il suo report alla Commissione Europea, Figel ha sottolineato come la risoluzione del Parlamento Europeo sul mandato proprio dell’Inviato Speciale UE per la libertà di religione o credo «deve essere tenuto in vita, fatto progredire nell’articolazione del suo significato e della sua efficacia. Il mandato richiede visibilità, credibilità ed efficienza». Si tratta di uno snodo che potrebbe rivelarsi molto più importante di quanto si possa pensare, data la struttura minimale di cui può attualmente disporre l’Inviato Speciale, per il rilievo dell’UE sugli scenari globali del futuro prossimo. Per il momento attendiamo la nomina del successore di Figel.