DI GIACOMO GAMBASSI
Più facile dire che cosa non è l’omelia piuttosto che spiegare cosa è. Segno di una crisi d’identità che attraversa l’arte della predica all’interno della Messa. «Di sicuro non è una morale, non è un excursus culturale, non è dottrina, non è unicamente esegesi biblica – afferma monsignor Giuseppe Busani, presidente dell’Associazione professori e cultori della liturgia e già direttore dell’Ufficio liturgico nazionale –. L’omelia vive di una continua tensione che ha portato a giudicarla sempre con severità. Persino sant’Agostino sosteneva di non essere soddisfatto delle sue predicazioni ». Una tendenza al ‘lamento’ che si è accentuata nell’ultimo periodo, sia fra i sacerdoti, sia fra chi partecipa alla celebrazione eucaristica (soprattutto della domenica). Da qui la scelta dell’associazione guidata da Busani di dedicare proprio all’omelia la 38ª Settimana di studio che si è tenuta a cavallo fra agosto e settembre nella casa di spiritualità «Getsemani» di Paestum, in provincia di Salerno. Cinque giorni di riflessione che hanno avuto una bussola precisa. «Secondo la costituzione conciliare sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium – spiega il presidente – l’omelia è parte dell’azione liturgica. E da qui siamo partiti. Essa non è un segmento a se stante, ma vive del dinamismo dell’agire liturgico. Di fatto l’azione diventa parola e la parola diventa azione». Lo ha sottolineato nella sua relazione don Pierangelo Chiaramello, direttore dello Studio teologico interdiocesano di Fossano, che l’ha anche definita un ponte fra Parola e gesto. Se omelia vuol dire conversazione familiare, la sua etimologia non può essere sinonimo di semplificazioni o appiattimento. «Il fatto che si tratti di un ‘discorso in casa’ rimanda a una polarità con il suo contenuto che è quello di una parola alta: la Parola con la quale Dio si rivela», afferma Busani. Così diventa fondamentale il ruolo del predicatore. «Il suo primo compito – aggiunge il presidente dell’associazione – è quello di tessere un accordo fra la Parola e l’assemblea. È l’uomo del legame. Il legame fra le tre letture proclamate nella liturgia. Il legame con le persone che costituiscono l’assemblea concreta. Il legame con il contesto del nostro tempo. In pratica è chiamato a far sì che la Parola possa essere ospitata nella casa di tutti». E a viverla in prima persona. «Dalla Settimana di studio – chiarisce il presidente dell’associazione – è emerso che la sua credibilità passa dal presupposto che non predichi se stesso. E ciò avviene se prima lui è toccato dalla Parola e poi, grazie a questo fuoco, si fa annunciatore di Cristo e il suo Vangelo. Di fatto, occorre che sia orante, prima di essere predicatore». Un po’ come dice il salmo: «Ho creduto, perciò ho parlato». Ecco perché la spiritualità del predicatore è un riferimento da cui non si può prescindere. Ad animare il sacerdote (o il diacono), poi, deve essere la passione, come ha evidenziato il priore della Comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi. «È il vincolo fra sapienza e passione che dà autorevolezza alla predicazione – afferma Busani –. La sophia che è propria di Cristo può essere soltanto ricevuta. Il pathos , invece, è il nostro amore per il Vangelo ». Un tema toccato anche da don Paolo Tomatis, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale a Torino. La passione deve, comunque, tradursi in un obiettivo chiaro. «L’omelia ha come intento – conclude Busani – quello di suscitare la fede dell’assemblea attraverso il predicatore chiamato a confessare la sua fedeltà alla Parola. Non per nulla, al termine dell’omelia viene proclamato il Credo».
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