L’omelia di monsignor Camisasca nella Solennità della natività della B. V. Maria. Inizio dell’anno pastorale 2016-2017

Cari fratelli e sorelle,

sotto lo sguardo di Maria, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria della sua nascita, iniziamo assieme un nuovo anno pastorale, il quinto da quando il papa mi ha inviato qui in mezzo a voi come vostro padre e pastore.

Ogni anno la felice tradizione della nostra Chiesa colloca questo inizio in una festa che ci obbliga ad essere attenti al mistero originario della nostra salvezza. Maria infatti è la porta attraverso cui Dio è entrato nel mondo, l’aurora che ha permesso il sorgere del Sole di giustizia, Gesù Cristo Nostro Signore.

Che cosa ci insegna questo mistero? Quali indicazioni ci dà rispetto all’inizio di un anno pastorale? Esso ci parla innanzitutto dell’iniziativa di Dio che, nella sua sovrana libertà, per entrare in modo definitivo in rapporto con l’uomo, sceglie una creatura e ne fa la sua prima dimora, sceglie cioè una via ordinaria, quotidiana, senza clamori o squilli di trombe.

È questo il primo insegnamento che, all’inizio dell’anno, ci libera dalle ansie e dalle paure che nascono in noi quando, presi dalla programmazione di molteplici attività, quasi senza rendercene conto, rischiamo di prendere il posto di Dio. Ci dimentichiamo che è Lui a guidare la Chiesa, è Lui che, come ha fatto all’inizio, prende continuamente l’iniziativa attraverso l’ordinarietà dei bisogni e degli avvenimenti che suscita in noi e attorno a noi. Non ci accada che, per tener fede alle nostre programmazioni pastorali, lasciamo cadere le provocazioni che il Signore durante quest’anno farà alla nostra vita e alla vita delle nostre comunità!

Ma se l’iniziativa è di Dio, la fioritura di questa iniziativa è legata alla generosità della risposta dell’uomo. Egli ha scelto di far dipendere la cosa più importante al mondo – la redenzione dell’umanità – dalla risposta di una creatura. Maria ha detto sì. Da quel sì è nata e continuamente rinasce la Chiesa. Anche oggi, attraverso ognuno di noi, accade la stessa cosa. La grandezza delle opere di Dio è legata alla risposta positiva della nostra libertà, chiamata a collaborare con lo Spirito del Signore. Ecco un altro insegnamento, che completa il primo e ci indica la strada attraverso cui la nostra azione pastorale può essere veramente feconda. Più che di fare e rispettare programmi, pur necessari, dovremmo essere preoccupati di favorire, o quantomeno non ostacolare, la novità con cui Dio quest’anno deciderà di rendersi presente nella vita del nostro popolo.

Quante volte, come dice spesso papa Francesco, ci chiudiamo nei nostri schemi pastorali forzando la realtà ad entrare in essi piuttosto che metterci al servizio di quanto Dio suscita sotto i nostri occhi! Seguire quanto Dio fa accadere implica un allenamento dello sguardo, una continua disponibilità alla conversione personale e pastorale e ci libera dalle invidie, dalle gelosie e dagli attaccamenti campanilistici o ideologici. Ci apre a orizzonti nuovi, nei quali la Chiesa e le sue strutture si rimodellano continuamente per servire il Corpo vivo di Cristo e non per assicurare l’autosussistenza dei propri uffici. «La pastorale in chiave missionaria – scrive papa Francesco – esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti – continua – ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (Francesco, Evangelii Gaudium, 33).

Per questo abbiamo bisogno di implorare un cuore simile a quello di Maria: libero e disponibile, umile e coraggioso.

Solo così la nostra Chiesa potrà essere veramente missionaria, inviata, in ragione del battesimo ricevuto dai suoi membri, incontro alla grande attesa di Cristo che c’è in tutti gli uomini. La missione non è semplicemente la trasmissione di un messaggio, ma è incontrare assieme Gesù. Se fosse stata solo la trasmissione di parole, fosse anche della Parola di Dio, non ci sarebbe stato bisogno che Dio si facesse uomo. Se si è fatto uomo vuol dire che il cuore dell’esperienza cristiana non sono le parole, ma l’incontro personale con Lui. Per poter essere missionari, e non semplicemente soggetti di propaganda, occorre non solo avere incontrato Cristo ed essersi lasciati attrarre da Lui, ma incontrarlo quotidianamente e quotidianamente penetrare nel suo inesauribile mistero di bellezza.

Alla luce di tutto ciò cosa sono e cosa devono essere le nostre comunità? Come ho detto più volte, io penso alle Unità Pastorali come a luoghi di comunione vissuta, in cui si incontra Cristo e rinasce il desiderio di farlo incontrare a coloro che ancora non lo conoscono. Perché le nostre comunità siano questo luogo, occorre che in esse si faccia esperienza della vita nuova portata da Gesù, della sua pace e della comunione che nasce da Lui, del ristoro che Egli ha promesso a quanti lo seguono. Di una pienezza di vita che susciti il desiderio della stessa vita in altri.

Al termine del passato anno pastorale i responsabili degli uffici, in una riflessione comune, hanno proposto che durante l’anno che oggi inizia si approfondisca il tema del servizio nella Chiesa alla comunione. Ciascuno di noi ha un suo compito nella Chiesa, sia esso presbitero, diacono, religioso o laico. Tutti siamo chiamati con il nostro dono specifico a formare un solo corpo, a mettere cioè a disposizione di tutti il nostro talento. È questo un cammino di conversione molto profondo. Molte volte, infatti, i nostri doni, i nostri talenti, diventano le strade dell’affermazione di un nostro potere o di un nostro preteso diritto e ci dividono dagli altri, ma soprattutto da Cristo. Senza una conversione del cuore e della mente, conversione gioiosa perché tutto ci è già dato nell’unità della Chiesa, le Unità Pastorali rimarranno l’espressione di un tentativo di trasformazione pastorale, ma non diventeranno un fuoco di vita cristiana significativo per l’attesa degli uomini. È questo il cuore delle schede di riflessione che gli Uffici hanno preparato per sostenere il lavoro delle comunità in questo anno pastorale.

L’avvenimento di Cristo svela la verità sull’uomo e sulla storia (cfr. Gaudium et Spes, 22), risponde alle domande che ogni persona avverte come le più urgenti nella sua esistenza: la sete di giustizia, di bene, di bellezza, di amicizia, di comunione, di vita vera. La bellezza e la verità di Cristo attraversano ogni tempo e si rivolgono ad ogni cuore. È per questo che quando la Chiesa scende a compromessi con il mondo, illudendosi di rendere così più affascinante l’annuncio di Gesù, tradisce una profonda mancanza di fede nella potenza che Cristo stesso ha di attrarre le persone. Se vogliamo incontrare gli uomini di oggi dobbiamo puntare tutto sul fascino di Gesù, tornare noi per primi a lasciarci attrarre nuovamente da Lui. Solo il piacere scaccia il piacere, diceva sapientemente sant’Agostino (cfr. De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum II, 19, 32.31). Non è dunque mercanteggiando con i “piaceri” che offre il mondo che la Chiesa può parlare agli uomini e alle donne di oggi, ma semplicemente testimoniando lo splendore di un piacere più grande, di una vita piena e bella, il centuplo quaggiù, come lo chiama Gesù nel Vangelo (cfr. Mt 19,29; Mc 10,30). «Il cristianesimo si comunica per “invidia”, perché una persona che vede un’altra vivere con gioia, intensità e soddisfazione, desidera quella vita per sé» (L. Giussani, cit. in A. Real, Un cristianesimo che si comunica per “invidia”, Tracce.it 12.11.2015). È ciò che papa Francesco afferma nella Evangelii gaudium riprendendo un’espressione di papa Benedetto: «La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (Francesco, Evangelii gaudium, 14).

Come possono attrarre un prete, un insegnante, una mamma, una comunità sempre in affanno? Non possiamo dedicarci allo stesso modo ad ogni iniziativa. Seguendo l’esempio di Gesù, occorre avere il coraggio della preferenza, il coraggio cioè di implicarsi con alcune persone che il Signore stesso ci mette sulla strada per fare un’esperienza più intensa di Lui, con cui innanzitutto godere di una comunione e di un’amicizia più vive. Solo in questo modo può riaccendersi il fuoco della missione. Quando si vive qualcosa di bello lo si vuole comunicare a tutti, anche se nessuno ce lo comanda. La bellezza poi attrae di per sé e la carità diventa fonte di creatività per cercare strade sempre nuove verso i nostri fratelli e le nostre sorelle lontani. È questo che è accaduto sin dall’inizio della storia della Chiesa. È questo che imploriamo riaccada anche oggi per la nostra Chiesa diocesana.

Non voglio dipingere un quadro idilliaco, impossibile da vivere. So bene quante fatiche esistano nelle nostre comunità. E vi ringrazio per tutto il vostro lavoro, spesso nascosto, a servizio della crescita della nostra Chiesa. Ma sento come mio compito di pastore indicare la strada bella, luminosa e feconda per una rinascita reale della nostra vita ecclesiale. Strada che percorreremo assieme, aiutandoci – sacerdoti, diaconi, consacrati e laici – in una conversione dei nostri compiti. Il nostro impegno non è l’espressione di un piccolo potere da difendere. Esso nasce dalla gratitudine per ciò che abbiamo ricevuto e si esprime come gratuità. Ce lo ha ricordato papa Francesco parlando alla CEI nel maggio scorso: occorre «giocarsi sino in fondo […] anche quando nessuno sembra accorgersene. Anche quando si intuisce che, umanamente, forse nessuno ci ringrazierà a sufficienza del nostro donarci senza misura». «Parti! – dice ancora il papa – non perché hai una missione da compiere, ma perché strutturalmente sei un missionario: nell’incontro con Gesù hai sperimentato la pienezza di vita e, perciò, desideri con tutto te stesso che altri si riconoscano in Lui e possano custodire la sua amicizia, nutrirsi della sua parola e celebrarLo nella comunità» (Francesco, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016).

Con questi voti augurali affido il nuovo anno pastorale che inizia, assieme a tutti voi, alla protezione della Beata Vergine della Ghiara. Possa Maria guidare i nostri passi e farci progredire nella conoscenza e nell’affezione verso suo Figlio.

Amen

+ Massimo Camisasca