Lo stabat mater di Natale

di Maria Elisabetta Gandolfi | 18 gennaio 2013
«Non ho mai sentito così vicina a me la mater dolorosa. Proprio a Natale. Proprio nella sofferenza, stoltezza da cui ognuno di noi cerca di fuggire…»

Ormai fuori tempo massimo faccio a una cara amica la consueta telefonata d’auguri che avevo in programma dall’inizio delle feste ma che, come spesso mi capita, non avevo ancora trovato il tempo di fare. Esordisco con il classico e banale: “Come stai?” e mi ritrovo un diluvio di parole che mi raccontano di un Natale totalmente stravolto da un improvviso ricovero del marito e di lei che ha fatto la spola tra l’ospedale e casa.

Mi dice: “Sai, ho capito in questo Natale che cos’è lo stabat mater. E me lo sono adattato pensando a questo Natale come il mio stabat mulier.

Fino a oggi questa espressione mi ricordava mia nonna che la canticchiava di ritorno dalla Via Crucis parrocchiale cui partecipava con le altre pie donne sue amiche. Ma francamente non ne avevo mai capito il senso più di tanto. Mi sembrava solo un dolorismo un po’ retro.

In questi giorni d’ospedale, invece, ho finalmente capito che cosa significa per me e per tutti coloro che hanno una persona cara malata: lo stare in ospedale accanto a mio marito sofferente mi ha messo di fronte al fatto che non potevo fare altro che stare.

Non aveva un’utilità immediata il mio essergli accanto; l’assistenza del personale, infatti, non mancava; però dovevo stare; dovevo accompagnare le fatiche e le sofferenze insensate, sempre insensate della malattia. Dovevo stare ai piedi di quel letto e accompagnare i piccoli miglioramenti quotidiani a volte invisibili ma necessari a dare speranza verso la guarigione.

Stavo; in silenzio, mentre la flebo sgocciolava; mentre la giornata lentamente passava.

Mentre mio marito si assopiva pensavo alle celebrazioni del Natale di quei giorni: la gioia, lo stupore, il silenzio mi sembravano così stridenti con quello che stavamo vivendo noi e tutti quelli che come noi erano in ospedale (e quanti erano!) in quel momento.

O forse no, forse vedevamo già che il Natale non è una consolazione effimera nel buio dell’inverno ma apre al vero cuore dell’anno liturgico che è il triduo pasquale.

E io ero lì in quel nostro anticipo di venerdì santo un po’ a soffrire e un po’ a sperare che la nostra piccola risurrezione dalla malattia si avvicinasse in fretta.

Scusa lo sfogo – mi dice chiudendo la telefonata – ma non ho mai sentito così vicina a me la mater dolorosa. Proprio a Natale. Proprio nella sofferenza, stoltezza da cui ognuno di noi cerca in tutti i modi di fuggire… fin che può”.

Chiudo il telefono e vado a googlare: Stabat mater dolorosa…

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