Lo scrittore Younis Tawfik «I cristiani non sono come una statua al museo»

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A volte poche parole scritte con il dolore e il dispiacere, possono riassumere lunghi atti di una tragedia epocale che pochi comprendono.
«Spero che il destino del nostro popolo cristiano iracheno non diventi come una statua di marmo esposta in una sala elegante, per sempre illuminato all’interno di un museo internazionale continuamente affollato, dove gli occhi dei visitatori la scrutano con meraviglia e pena, lo stesso dispiacere di tutti i giorni che ci investe per la sorte degli indiani d’America e gli abitanti autoctoni dell’Australia».

Il mio amico Haitham Behnam Burda ha lasciato questa nota sulla mia pagina Facebook. Scrittore e romanziere iracheno, cattolico nato a Mosul nel 1953, è membro dell’Unione degli scrittori iracheni e testimone della tragica sorte che la sua comunità sta vivendo in questi giorni.

Tra le comunità dei cristiani d’Oriente, quelle dell’Iraq sono le più esposte alla violenza del conflitto in atto. Fuggono da Baghdad e dalle città del sud, così come dall’enclave di Mosul, nel nord-ovest, verso il confine con la Turchia. Eppure la Mesopotamia è da sempre stata una società multiconfessionale e multietnica. Non si erano mai visti tempi di intolleranza come questi. Da sempre quella terra era la madre che accoglieva tutti senza distinzioni.

La strage del 31 ottobre 2010 nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso nel quartiere a maggioranza cristiana di Karrada a Baghdad aveva scosso profondamente l’opinione pubblica irachena. Era una terribile novità, nessuno pensava che una sciagura del genere potesse accadere. Era l’inizio di una serie di attentati e azioni discriminatorie nei confronti della comunità cristiana. Si rischia una inesorabile diaspora, un’estromissione che taglierà loro le radici, obbligandoli a prendere la strada dell’esilio, chissà per quanto tempo.

Le paure dello scrittore Burda sono fondate sulle percezioni dell’intellettuale tanto sensibile agli eventi del suo tempo e alle sofferenze della sua gente. Nei mesi scorsi un marchio d’infamia è stato impresso in vernice nera, con bombolette spray e trasferibili, sulle case di Mosul da cui sono già fuggiti la maggior parte dei cristiani. Quel mezzo cerchio che sembra una mezzaluna sormontata da una stella, nell’alfabeto arabo è la lettera Nun, cioè l’iniziale di Nasrani, seguace del Nazareno. Un marchio infame che ricorda altri simili imposti da regimi e milizie razziste per etichettare una comunità per poi umiliarla, discriminarla e annientarla.

Questa volta è stato imposto dalle milizie dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi agli infedeli per i quali non c’è posto nello Stato islamico dell’Iraq e del Levante a meno che si convertano, si sottomettano a una speciale tassazione, subiscano la devastazione dei loro antichi luoghi di culto e la confisca dei beni.
Tra poche ore tutto il mondo festeggerà il Natale di Gesù, il Nazareno appunto, mentre tu, caro amico Burda, e migliaia di altri nostri connazionali iracheni di fede cristiana, lo attenderete sotto le tende, nelle case abbandonate e nelle scuole di Erbil, trasformate in rifugi. Sarà un Natale diverso tinto dai colori del dolore e dalla desolazione, ma non mancherà la stella della speranza che attraverserà i vostri sguardi.

Nessuno di noi, cari amici, ha colpa di quanto è successo, ma siamo tutti un po’ responsabili. Abbiamo lasciato il nostro Paese in preda ai rapaci affamati, in una notte di distrazione e di noncuranza. Abbiamo creduto ai veggenti della guerra, alle false promesse, fino a lasciarci abbagliare la mente. È mancato il senso della partecipazione e della responsabilità. Questa esperienza dovrebbe essere una lezione per tutti ma in particolare per i cristiani del Medio Oriente per far sì che essi diventino una parte attiva e partecipe nel quadro politico del futuro.

Sogno la neve scendere copiosa per rendere la nostra terra bianca e candida, mentre i sorrisi dei vostri figli diventeranno stelle che illuminano i cieli dell’Iraq.

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