«Libertà di fede, misura di vera laicità»

Per difendere la libertà di religione non ha esitato a rappresentare (lui, di fede ebraica) di fronte alla Corte europea dei diritti umani un folto gruppo di Paesi europei che si erano schierati con l’Italia per affermare il diritto di appendere un crocifisso nelle scuole. E ha vinto. E Joseph Weiler, ordinario di legge alla New York University e presto presidente dell’European University Institute a Firenze, non esita nemmeno a invitare i cristiani a essere una presenza attiva nella società, decisi nel presentare la bontà dei loro valori anche ai non credenti. Sempre, però, «con umiltà». Weiler sarà al Meeting di Rimini, dove discuterà di “Persona, politica e giustizia nei grandi discorsi di Benedetto XVI” con Andrea Simoncini, autore del libro La legge di Re Salomone e con Giuliano Amato.

Professor Weiler, è d’accordo con l’affermazione di Benedetto che la libertà di religione è la libertà più importante? 
«Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sostenevano che la libertà di religione è la libertà fondamentale. Nella nostra cultura secolare questa affermazione è tipicamente ricevuta con un sorriso indulgente (“Cos’altro ci si può aspettare da un Papa?”), attribuendole un significato corporativo, come se il Papa fosse un sindacalista preoccupato per i suoi associati. C’è naturalmente questo aspetto della libertà religiosa e non c’è nulla di male in un Pastore che cura il suo Gregge. Ma più importante, più cruciale, la libertà religiosa cui il Papa alludeva era l’opposto. La libertà di aderire alla religione di propria scelta o a nessuna religione. “Non imponiamo la nostra fede a nessuno. Tale proselitismo è contrario alla Cristianità. La fede può crescere solo nella libertà”, ha spiegato Benedetto durante la sua famosa lezione di Regensburg. Il Papa, parlando a nome della Chiesa, ha abbracciato audacemente la nozione che la libertà di religione include la libertà dalla religione. Questa non è semplicemente un’espressione di tolleranza e libertà. È l’espressione di una proposta religiosa profonda e con ramificazioni significative. Al cuore della libertà religiosa c’è la libertà di dire di no a Dio. La vera religiosità, un autentico sì a Dio, può venire solo da un essere con l’abilità spirituale, la capacità e le condizioni materiali di dire “no”. Questo ha un valore antropologico profondo. Dall’avvio della nostra civilizzazione, la libertà religiosa ha riguardato l’idea più profonda dell’essere umano, creato a immagine di Dio come agente autonomo con la facoltà di compiere scelte morali anche a dispetto del suo Creatore. Si pensi a Eva e Adamo nell’Eden. Al contrario di animali, avevano scelte e responsabilità morali. Questo li rende umani. La libertà di religione è fondamentale precisamente perché rappresenta l’ontologia della condizione umana: quello che è essere umani».

Quali sono i limiti della libertà di religione?
«Non c’è libertà o diritto fondamentale che non abbia limiti, perché possono scontrarsi con altre libertà o interessi collettivi. La libertà di espressione non dà il diritto di diffamare. Ad Abramo Dio ordinò di sacrificare il figlio Isacco. Era una prova. Ma se qualcuno oggi dicesse che ha avuto una visione e che Dio vuole che sacrifichi suo figlio, lo metteremmo, giustamente, in prigione per tentato omicidio. Non permettiamo la circoncisione femminile che previene il piacere sessuale femminile, anche se è fatta nel nome della religione (permettiamo quella maschile che non altera la soddisfazione sessuale). A volte è difficile bilanciare il bene pubblico e la libertà individuale. In alcuni Paesi, come la Polonia, il diritto degli ebrei e dei musulmani di macellare gli animali in modo consono alla loro fede è stato scandalosamente proibito in nome dei diritti degli animali: una decisione che ignora la natura di tali forme di macello. In Francia, lo Stato proibisce agli alunni di portare a scuola simboli religiosi. Una bambina musulmana non può coprirsi il capo e un bambino ebreo non può indossare uno zucchetto. Un bambino cristiano non può esibire una croce. Non sono convinto che lo Stato abbia un interesse in tali proibizioni, ma trattandosi di bambini, gli concedo il beneficio del dubbio. Ma in Turchia alcune università proibiscono a donne adulte di coprirsi il capo e la Corte europea per i diritti umani ha stabilito che questo non viola la libertà religiosa: una decisione che non le fa onore. Nella proibizione francese o inglese di coprire il volto per intero, invece, forse un interesse dello Stato esiste: la pratica può essere vista come una contraddizione della società aperta in cui crediamo».

Quale deve essere il ruolo delle persone di fede nella vita pubblica?
«È bene ricordare le parole del profeta Micah: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio”. La cosa più importante, a mio parere, per i cristiani, è essere testimoni viventi di questi precetti nello spazio pubblico e privato, con umiltà. La loro identità religiosa non deve essere confinata alla domenica. Dovrebbero stare attenti a non desiderare, o aspettarsi, che lo Stato costringa altri a seguire le loro pratiche religiose, il che sarebbe contrario al precetto della libertà religiosa. Ma molti valori cristiani sono radicati nella ragione e nell’etica e i cristiani non dovrebbero essere timidi nel proporli, nello stesso modo in cui altre visioni del mondo, come il comunismo o il capitalismo, propongono i loro. Il fatto che Dio ordini di non uccidere nel Decalogo non significa che i cristiani non debbano perorare una legge che proibisca l’omicidio: una tale norma può essere difesa anche senza rivelazione».

 

Elena Molinari – avvenire.it