L’ex commissario Arcuri è indagato Sequestrate 800 milioni di mascherine

Il contenuto dell’interrogatorio, avvenuto sabato davanti ai pm della procura di Roma Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, è coperto dal segreto che tutela gli atti giudiziari. Di certo, c’è che Domenico Arcuri, ex commissario straordinario all’emergenza designato dal governo Conte 2, risulta indagato per peculato e abuso d’ufficio dalla procura capitolina nell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, sulle maxicommesse da 72 milioni di euro, per l’acquisto di 801 milioni di mascherine provenienti dalla Cina, durante la prima ondata del Covid-19, ritenute dagli inquirenti irregolari e pericolose per la salute. Una nota dell’ufficio stampa dell’ex commissario definisce l’interrogatorio come un auspicato «chiarimento » con l’autorità giudiziaria, con cui «Arcuri ha sempre avuto un atteggiamento collaborativo, al fine di far definitivamente luce su quanto accaduto ». Nel medesimo filone d’indagine, sono indagati il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti (presidente del consorzio Optel e di Microproducts It, sospettato di frode in pubbliche forniture), l’ingegnere aerospaziale Andrea Vincenzo Tommasi (titolare al 99% e presidente dell’azienda milanese Sunsky Srl) e un altro imprenditore, Edisson Jorge San Andres Solis, posto a febbraio ai domiciliari, poi revocati dal gip. Nei confronti di Arcuri, inizialmente i magistrati inquirenti contestavano anche il reato di corruzione, per cui è poi stata avanzata una richiesta di archiviazione pendente davanti al gip.

«Mascherine pericolose». Le indagini, affidate alla Guardia di Finanza, partono dalla procedura di affidamento (valore 1,25 miliardi di euro) per l’acquisto di 801 milioni di dispositivi per la protezione delle vie respiratorie. Venerdì un decreto di sequestro della procura ha disposto i sigilli per una montagna di mascherine, presso la struttura commissariale e alcune sedi regionali. E nel fascicolo di Roma è confluita pure l’indagine avviata a Gorizia, che aveva già portato al sequestro di altri 100 milioni di mascherine. Nel provvedimento di sequestro, si annota che «l’esame fisico/chimico delle mascherine e dei dispositivi di protezione acquistati » (compiuto sia dall’Agenzia dogane di Roma che da consulenti nominati dai pm) mostra che «gran parte non soddisfano i requisiti di efficacia protettiva richiesti dalle norme Uni En», tanto che «addirittura alcune forniture sono state giudicate pericolose per la salute».

Prima pago, poi controllo? I dispositivi (mascherine chirurgi- che, Ffp2 e Ffp3 o Kn95) non hanno passato gli esami all’«aerosol di paraffina» e all’«aerosol al cloruro di sodio». Così, i pm hanno ritenuto necessario «procedere al sequestro probatorio» del materiale «attualmente giacente »: tanto quelle «giudicate inidonee » che quelle ancora non esaminate ma «potenzialmente inidonee o pericolose», perché non è stato possibile – si legge nel decreto – «in base alle informazioni ottenute dalla Struttura Commissariale» distinguere tali partite da altre «esaminate con esito regolare». Per l’accusa, «la validazione» dell’efficacia delle mascherine «ha quasi sempre seguito» (e non anticipato) i pagamenti delle forniture. Tanto che «le strutture Inail e Iss a supporto del Comitato tecnico scientifico si sono trovate nella scomoda condizione di dover sconfessare, in caso di giudizio negativo, pagamenti con denaro pubblico già erogati».

La coperta dell’emergenza. A giustificazione «di un operato meno rigoroso» sarebbe intervenuta «la situazione di emergenza in sé, che imponeva acquisizioni forzose, pur di non lasciare la popolazione sanitaria sprovvista di tutela». Con un rischio grave: «Dichiarare protettivo un dispositivo di dubitabile idoneità può indurre esposizioni sanitarie avventate». Insomma per la procura «la parola ‘emergenza’, nella vicenda oggetto di indagine, è stata spesa molto, ma anche in modo non coerente», giustificando da un lato «pagamenti» di mascherine della cui qualità «nulla ancora si sapeva» e «col rischio di acquistarne di inutili» ma non influendo dall’altro «sulla decisione di respingere ogni altra offerta di chi richiedeva, per fornire dispositivi, anticipazioni dei pagamenti». Fatto bizzarro, concludono i pm, visto che il rischio di non ricevere merce «appare equiparabile a quello di riceverne di inutile».

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L’ex commissario all’Emergenza e attuale numero uno di Invitalia Domenico Arcuri