Controcorrente e coraggioso.
Nonostante la fiducia nell’Unione Europea sonnecchi e la moneta unica sia scesa ai minimi storici, un libro rilancia il sogno dell’Europa unita fiorito 20 anni fa sulle macerie del Muro di Berlino. Ne «L’Europa che verrà» Giovanni Bianchi, (per visualizzare la scheda del libro su ibs clicca qui)presidente aclista tra gli anni ’80 e ’90, poi parlamentare, presidente del Ppi e relatore della legge sulla remissione del debito, espone un distillato di concreta saggezza europeista. Senza cedere a illusioni e ideologie, ma consapevole che la costruzione unitaria dei 27 Paesi non ha alternative geopolitiche nel mondo globalizzato. Nel volume (che oggi alle 21 viene presentato al Circolo Acli di Saronno) Bianchi mette subito sul tavolo le sue radici di cattolico europeista. Quelle politiche, classiche: De Gasperi, Schumann, Spaak e il federalismo di Altiero Spinelli. Quelle spirituali, e qui sta la novità, caratterizzate dal pensiero di Giovanni Paolo II e dal magistero ieri di Carlo Maria Martini e oggi di Dionigi Tettamanzi che, in risposta ai leghisti, l’ex leader aclista definisce «europeista» proprio per quel suo predicare la tolleranza e l’accoglienza incurante delle critiche. Perché è vero, Bruxelles è lontana (chi conosce poteri e nomi dei commissari? O i contenuti del trattato di Lisbona?), tecnocratica, influenzata da interessi lobbistici, è un nano «seduto in panchina ad assistere al match tra Asia e Stati Uniti », talvolta sconcertante ad esempio per le sue sentenze che invadono il quotidiano cozzando contro il buon senso. Ma per Bianchi questo è il prezzo da pagare in nome di valori ben più pesanti sulla bilancia della storia. A cominciare dalla radicalità della pace, garantita da 65 anni dal patto comunitario. E poi la tolleranza e l’accoglienza, che oggi vanno recuperate per risolvere la madre di tutte le questioni interne, l’immigrazione. Ma questa – secondo Bianchi – è la sfida: far emergere la vera identità europea, vale a dire economia di mercato mitigata dallo Stato sociale, sussidiarietà e partecipazione civile. E sullo scenario globale Bianchi non nasconde di preferire l’Europa popolare e pacifica, «figlia di Venere e non di Marte», come la chiamò con spregio Donald Rumsfeld, alla Gran Bretagna di Tony Blair e agli Usa di Bush e dei «neocon ». Soprattutto per la spregiudicatezza con cui si sono infilati nei conflitti in Afghanistan e poi in Irak.
Bianchi sostiene l’Europa civile, dei popoli, che dal basso costruisce unità. Che sta diventando coscienza critica di un modello di forsennato sviluppo giunto al capolinea con questa crisi. E che nel Vecchio mondo fa sperare nella sintesi possibile tra radici cristiane, ebraiche e persino islamiche. Persino nella resurrezione della Politica che, in alcuni momenti della Storia, con un colpo di reni ha realizzato l’irrealizzabile.
Nonostante la fiducia nell’Unione Europea sonnecchi e la moneta unica sia scesa ai minimi storici, un libro rilancia il sogno dell’Europa unita fiorito 20 anni fa sulle macerie del Muro di Berlino. Ne «L’Europa che verrà» Giovanni Bianchi, (per visualizzare la scheda del libro su ibs clicca qui)presidente aclista tra gli anni ’80 e ’90, poi parlamentare, presidente del Ppi e relatore della legge sulla remissione del debito, espone un distillato di concreta saggezza europeista. Senza cedere a illusioni e ideologie, ma consapevole che la costruzione unitaria dei 27 Paesi non ha alternative geopolitiche nel mondo globalizzato. Nel volume (che oggi alle 21 viene presentato al Circolo Acli di Saronno) Bianchi mette subito sul tavolo le sue radici di cattolico europeista. Quelle politiche, classiche: De Gasperi, Schumann, Spaak e il federalismo di Altiero Spinelli. Quelle spirituali, e qui sta la novità, caratterizzate dal pensiero di Giovanni Paolo II e dal magistero ieri di Carlo Maria Martini e oggi di Dionigi Tettamanzi che, in risposta ai leghisti, l’ex leader aclista definisce «europeista» proprio per quel suo predicare la tolleranza e l’accoglienza incurante delle critiche. Perché è vero, Bruxelles è lontana (chi conosce poteri e nomi dei commissari? O i contenuti del trattato di Lisbona?), tecnocratica, influenzata da interessi lobbistici, è un nano «seduto in panchina ad assistere al match tra Asia e Stati Uniti », talvolta sconcertante ad esempio per le sue sentenze che invadono il quotidiano cozzando contro il buon senso. Ma per Bianchi questo è il prezzo da pagare in nome di valori ben più pesanti sulla bilancia della storia. A cominciare dalla radicalità della pace, garantita da 65 anni dal patto comunitario. E poi la tolleranza e l’accoglienza, che oggi vanno recuperate per risolvere la madre di tutte le questioni interne, l’immigrazione. Ma questa – secondo Bianchi – è la sfida: far emergere la vera identità europea, vale a dire economia di mercato mitigata dallo Stato sociale, sussidiarietà e partecipazione civile. E sullo scenario globale Bianchi non nasconde di preferire l’Europa popolare e pacifica, «figlia di Venere e non di Marte», come la chiamò con spregio Donald Rumsfeld, alla Gran Bretagna di Tony Blair e agli Usa di Bush e dei «neocon ». Soprattutto per la spregiudicatezza con cui si sono infilati nei conflitti in Afghanistan e poi in Irak.
Bianchi sostiene l’Europa civile, dei popoli, che dal basso costruisce unità. Che sta diventando coscienza critica di un modello di forsennato sviluppo giunto al capolinea con questa crisi. E che nel Vecchio mondo fa sperare nella sintesi possibile tra radici cristiane, ebraiche e persino islamiche. Persino nella resurrezione della Politica che, in alcuni momenti della Storia, con un colpo di reni ha realizzato l’irrealizzabile.
Giovanni Bianchi
L’EUROPA CHE VERRÀ
Ritorno alle nazioni o tappa di un governo mondiale?
Editrice Monti Pagine 208. Euro 16.00.
(di Paolo Lambruschi – avvenire)