Letteratura. Daniele Mencarelli e la “sindrome della salvezza”

Nel suo nuovo romanzo lo scrittore sviluppa in prosa i temi del poetico “Tempo circolare”: la forza della fratellanza che lega gli umili e i segnati nasce dai “cinque pazzi” incontrati in ospedale
Daniele Mencarelli e la "sindrome della salvezza"
da Avvenire

L’ospedale, di nuovo. Ma questa volta non è il Bambino Gesù che Daniele Mencarelli aveva cantato nell’omonima raccolta poetica e successivamente raccontato nel suo romanzo d’esordio, La casa degli sguardi, uscito quasi in sordina nel 2018 e affermatosi nel corso dei mesi – di premio in premio e, quel che più conta, di lettore in lettore – come una delle testimonianze più indelebili offerte dalla recente narrativa italiana. Anche di questo Tutto chiede salvezza (Mondadori, pagine 204, euro 19,00) Mencarelli aveva dato una sorta di anteprima in versi all’interno di Tempo circolare, il libro che, pubblicato lo scorso anno da Pequod, ha fornito una prima ricapitolazione di un lavoro più che ventennale. Fin dalla copertina, però, la cronologia risultava ribaltata, in modo da suggerire la prospettiva di una rinascita. Ad aprire il volume di “poesie 2019-1997” (questo, appunto, il sottotitolo di Tempo circolare) era infatti una silloge inedita, I primi e gli ultimi, dove già poteva fare conoscenza con il «gigante» che conserva nel portafoglio «una foto in bianco e nero / sua madre in semplice sorriso / lui che non ha mai smesso di aspettarla», e poi con il «padre muratore» che accudisce nel figlio catatonico «un vuoto di anima e cervello / uno strascico infinito di silenzio», e poi ancora con la ragazza ingannata da una falsa promessa di cui rimane soltanto un anello di latta, trasfigurato in oro per un «miracolo che i sani non vedono». E con Madonnina, certo, chiamato così perché, qualsiasi cosa accada, lui non fa altro che ripetere una giaculatoria di sua invenzione, Maria ho perso l’anima, aiutami Madonnina mia. È la stessa preghiera, folle e straziante, che appare all’inizio di Tutto chiede salvezza. Anche l’episodio è il medesimo al quale alludevano i versi di Tempo circolare: non si sa come, ma Madonnina è riuscito a procurarsi un accendino e ha cercato di bruciare i capelli di Daniele. Quello che la poesia condensava in poche parole («matto mischiato ad altri matti / fratelli sfranti ora accorsi / proprio loro mi salvano dal fuoco»), il romanzo lo riferisce in maniera più distesa e con abbondanza di particolari. Il tempo dell’azione, tanto per cominciare.

Siamo nell’estate del 1994, nella settimana dal 14 al 20 giugno. Dal martedì al lunedì, secondo le regole del Tso: si entra un giorno e si esce dopo sette. L’acronimo, com’è noto, sta per “trattamento sanitario obbligatorio”, il provvedimento al quale un Mencarelli appena ventenne (è nato a Roma nel 1974, vive nella zona dei Colli Albani) è sottoposto dopo una notte di furore che per poco non è costata la vita a suo padre. Sedato al suo arrivo in ospedale, non si è accorto del tentativo di aggressione da parte di Madonnina e solamente adesso, al risveglio, si rende conto di dove si trova. Meglio, in quale compagnia si trova. Nella settimana che lo attende, il suo mondo si ridurrà alla stanza in cui è ricoverato, fatta salva una piccola incursione dall’altro lato del reparto, dove gli infermieri dicono che siano rinchiusi i «cattivi » e dove invece ci sono le donne. È per via di questa piccola trasgressione che avviene l’incontro con Valentina, la ragazza ossessionata dall’anello che dovrebbe testimoniare un amore perduto e che invece è la ferita lasciata da una beffa ordita, a suo tempo, con la complicità dello stesso Mencarelli.

Nella struttura ognuno ha la sua mania, la sua malattia. Per Gianluca è la donna che vorrebbe essere e della quale insiste a indossare il travestimento, per il gigantesco Giorgio è la madre di cui non ha mai potuto vedere il cadavere, per Madonnina è la preghiera che sappiamo, per Alessandro – il figlio del muratore – è il buio che l’ha inghiottito, per Mario è la rabbia violenta che cova sotto la sua apparente saggezza di maestro elementare. E Daniele? Da quale male è tormentato Daniele? Che cosa lo ha spinto a rifiutare la realtà, a stordirsi con i medicinali, a rifugiarsi con fatica sempre maggiore nel rassicurante recinto della poesia? La risposta la fornisce lui: il suo «desiderio patologico» è la salvezza. «Dalla morte. Dal dolore. Salvezza per tutti i miei amori. Salvezza per il mondo». Difficile guarire, da una sindrome come questa. Impossibile, anzi, se si vuole continuare a vivere da esseri umani. «Da quando sono nato – ammette Mencarelli – non ho fatto altro che portare disordine, un’esagerazione dietro l’altra, tutto un impulso da seguire, nel bene come nel male. Non so vivere in un altro modo, non riesco a sfuggire a questa ferocia: se c’è una vetta la devo raggiungere, se c’è un abisso lo devo toccare». «Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo», gli fa eco Mario, che forse è saggio davvero, nonostante abbia rischiato di distruggere ciò che di più caro ha al mondo. Mario, che mangia solo mele cotte e guarda sempre dalla finestra, gli occhi fissi su un nido dal quale, assicura, una volta ha visto risorgere un uccellino. Gli eventi rievocati in Tutto chiede salvezza precedono di cinque anni quelli già narrati nella Casa degli sguardi. In quel caso, come molti ricorderanno, Mencarelli torna in ospedale come inserviente di una cooperativa di pulizie che opera all’interno del grande ospedale pediatrico romano. Lì, al Bambino Gesù, si misura con il dolore innocente, compie i primi passi per uscire dalla dipendenza, ritrova la sua voce di poeta e la sua dignità di persona. Scopre, più che altro, la forza della fratellanza che lega gli umili, i segnati, i più vicini alla verità. Ora, grazie a Tutto chiede salvezza, sappiamo che all’origine di quella rivelazione c’erano stati i «cinque pazzi» con cui aveva condiviso qualcosa di simile e superiore all’amicizia, ossia la certezza di essere «sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare». Nominare, riconoscere: alla poesia non bisogna domandare altro, anche quando si presenta sotto forma di romanzo.