L’esperienza. Dai Pirenei a Santiago, un Cammino al posto del carcere minorile

Un protagonista del progetto "Lunghi Cammini" (il volto è stato pixelato per ragioni di privacy) con l'accompagnatore durante una tappa del percorso

Un protagonista del progetto “Lunghi Cammini” (il volto è stato pixelato per ragioni di privacy) con l’accompagnatore durante una tappa del percorso

La mattina la sveglia suona alle 4, una stropicciata agli occhi, una colazione veloce, i lacci che stringono le scarpe attorno ai piedi e via sulle piste spagnole battute dai pellegrini, verso Santiago de Compostela.

È l’esperienza di moltissimi, negli ultimi dieci anni, ma per il ventiduenne protagonista della nostra storia nulla è come sembra. Il suo passato è quello tipico del cattivo ragazzo, un italiano di seconda generazione per la legge, un maghrebino per la gente con cui si confronta ogni giorno nel Padovano. Una vita da ‘ultimo’, da messo all’angolo, una rabbia che monta, finché a 15 anni non viene preso con le mani nel sacco: reato contro il patrimonio. Lo Stato gli sta dicendo che ora è ufficialmente un ladro.

Da allora passano sette lunghi anni, ma la giustizia pachiderma non ha alcuna intenzione di lasciarlo perdere. Finché un giudice del tribunale per i minori di Venezia non decide che camminare sulle antiche vie medievali può essere la soluzione per recuperare questo ragazzo alla società. Tecnicamente è una ‘messa alla prova’, una forma alternativa alla pena che – se accettata e superata dal minore – cancella il processo e il reato. Per l’Italia è una rivoluzione, mai era accaduto prima di ora.

Così per quasi tre mesi, dal 3 aprile al 26 giugno, il giovane padovano ha camminato: Siviglia, la via de la Plata, la via Sanabrese fino a Santiago de Compostela e la vista dell’oceano a Finisterre. E poi ancora Santiago, il Leon e il ritorno sulla via francese fino ai Pirenei. 1.500 chilometri per redimersi. Non da solo, certo. Al suo fianco Fabrizio, 68 anni, mestrino che ha messo in stand by la propria vita per sostenere un ragazzo ricco di talenti che ha solo bisogno di capire come esprimerli al meglio.

Un nonno e un nipote? Nelle sembianze forse, in realtà due uomini, due camminatori che prima di partire hanno stretto un patto per il futuro. Tanta polvere, tanta pioggia e una montagna di fatica. «Ma, per la prima volta nella vita, anche gli sguardi ammirati sul volto di questo ragazzo. I pellegrini sbigottiti dall’originalità di questo programma, la sorpresa di tutti coloro che ha incontrato. Una novità totale, una positività totale».

La voce di Isabella Zuliani narra così questa storia di riscatto. Proprio lei che due anni fa ha fondatol’associazione ‘Lunghi cammini’, con lo scopo di creare occasioni di rinascita per minorenni falliti che hanno bisogno anzitutto di ricostruire la loro autostima, per non tornare nel fango da cui vengono. «E pensare che tutto è nato proprio da un articolo di Avvenire del giugno 2014 – continua –. È grazie a quel servizio che abbiamo conosciuto Seuil, l’organizzazione fondata da Bernard Olivier che fa esattamente la stessa cosa da vent’anni in Francia».

A oggi sono quattro le esperienze realizzate dall’associazione veneziana. Oltre al caso unico di ‘messa alla prova’, altri tre ragazzi segnalati dai servizi sociali si sono posti in cammino. Lo scorso gennaio si è conclusa l’avventura di un minorenne triestino che ha percorso ben 1.800 chilometri in cento giorni. A dicembre un sedicenne di San Donà di Piave aveva camminato sulla via francese del Camino. E sempre verso Santiago è in cammino in questo momento un ragazzo di 17 anni originario della Riviera del Brenta. Il dietro le quinte è fondamentale: «Prima e dopo la partenza e il ritorno ci sono dei giorni in cui i due stanno insieme per condividere. Durante il viaggio, il responsabile di cammino contatta ogni giorno il ragazzo e l’accompagnatore e una volta li raggiunge in loco – continua Zuliani –. Con lui lavora un team di psicologi ed educatori. Il supporto dato all’accompagnatore è fondamentale: in questa esperienza ci si gioca totalmente, a volte c’è anche bisogno di sfogarsi. I risultati che otteniamo sono ottimi. Peccato che in Italia non ci siano studi sull’efficacia della messa alla prova. Di certo la recidività di questi ragazzi è una sconfitta per tutti».

In autunno il ventiduenne padovano d’adozione si presenterà davanti al giudice, il quale stabilirà se quel reato ormai lontano sia cosa definitivamente archiviata. Intanto l’associazione continua il suo impegno nella speranza di nuovi finanziamenti per offrire altre opportunità non solo ai ragazzi ma all’intera società. «Speriamo davvero che il cammino educativo divenga uno strumento ‘normale’ per la giustizia minorile», conclude Isabella.

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