L’episcopato brasiliano riunito a Belém. Allarme per l’Amazzonia

L’Osservatore Romano

Mentre le fiamme continuano a divorare la foresta (il fumo ha addirittura raggiunto l’Uruguay e l’Argentina), i vescovi brasiliani dell’Amazzonia hanno deciso di riunirsi da oggi fino al 30 agosto a Belèm, capoluogo dello stato di Pará, sia per rispondere all’emergenza incendi sia per preparare il sinodo per l’Amazzonia che si svolgerà a ottobre in Vaticano. L’assemblea è promossa dalla Commissione episcopale speciale per l’Amazzonia della Chiesa brasiliana, insieme alla Rete ecclesiale panamazzonica del Brasile e alla Regionale Nord 2 della Conferenza episcopale. Partecipano i vescovi delle cinquantasei circoscrizioni ecclesiastiche del territorio amazzonico brasiliano.
Nei giorni scorsi l’episcopato aveva già fatto sentire la propria voce attraverso un messaggio nel quale si ritiene «urgente che i governi dei paesi amazzonici, in particolare il Brasile, prendano serie misure per salvare una regione chiave nell’equilibrio ecologico del pianeta». Dopo una serie di «incomprensioni e scelte sbagliate», affermano i presuli, è necessaria una grande sensibilizzazione di fronte alla «gravità della tragedia e ad altre situazioni irrazionali e avide, con grandi impatti locali e planetari». Solo sabato scorso è scattato il piano del governo per fermare i roghi con il dispiegamento di oltre 44.000 soldati affiancati da mezzi aerei, navali e terrestri. E sullo sfondo dei 72.000 roghi di quest’anno (+84 per cento rispetto al 2018) resta la pressante minaccia della deforestazione, usata per conquistare nuovi terreni coltivabili. Il Mato Grosso, dove sono stati segnalati oltre 45.000 focolai di incendio, è la regione più colpita. «Se non si prenderà questo impegno — è il monito — tutti subiranno perdite irreparabili». Il popolo brasiliano, i suoi rappresentanti e i suoi servitori, afferma la presidenza dell’episcopato, sono «i primi responsabili della tutela e la protezione dell’intera regione amazzonica».
Ma tutti i vescovi sudamericani alzano la voce: La nostra casa comune va a fuoco è il titolo del documento pubblicato dalla Chiesa boliviana a conclusione della recente assemblea pre-sinodale dedicata all’Amazzonia. Nel testo, i presuli si dicono «costernati, indignati e quasi impotenti» di fronte ai roghi divampati nel paese, soprattutto nelle zone orientali della Chiquitanía e del Chaco. «Circa un milione di ettari della nostra foresta amazzonica si consuma sotto le fiamme degli incendi; i danni sono enormi, ancora incalcolabili, e colpiscono la salute umana, le forme di vita delle comunità indigene, la biodiversità, le risorse ambientali», sottolineano accusando che «questa catastrofe è il risultato dell’azione umana».
La dichiarazione cita tra l’altro il recente decreto 3973 del governo di Evo Morales che nel luglio scorso ha autorizzato «incendi controllati» di terreni, per favorire l’avanzata degli spazi per l’allevamento, dando così ulteriore fiato ai roghi illegali. Nonostante l’orientamento del governo, i partecipanti all’assemblea affermano che anche nel loro paese si obbedisce alla «logica imperante» del «capitalismo tecnocratico e aggressivo con la sorella madre terra e di un modello di sviluppo consumista e depredatore della natura, che si manifesta in grandi progetti idroelettrici e di sfruttamento di idrocarburi, nell’ampliamento delle zone agricole, della costruzione di strade a forte impatto ambientale, e della vecchia logica estrattivista». Scelte che «attentano ai diritti dei popoli indigeni». Il documento dell’episcopato boliviano si conclude annunciando che la Chiesa intende «unirsi nella solidarietà», anche con aiuti materiali e donazioni alle popolazioni coinvolte negli incendi, mentre si chiede al governo di destinare risorse per spegnere gli incendi ed evitare che le fiamme si amplino.
In questo contesto, il ruolo del prossimo sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, in programma a ottobre, rappresenta «un segno di speranza e una fonte di importanti indicazioni rispetto al dovere di preservare la vita, a partire dal rispetto del creato. Costruiamo insieme — concludono — un nuovo ordine sociale e politico, alla luce dei valori del Vangelo di Gesù, per il bene dell’umanità, della Panamazzonia, della società brasiliana, in particolare dei poveri di questa terra».
L’appello alla protezione della foresta è stato inoltre lanciato dai vescovi peruviani riuniti in assemblea plenaria fino a ieri: «Siamo preoccupati per l’Amazzonia, fonte di vita che comprende due terzi del territorio nazionale», sostengono i presuli, auspicando che il sinodo di ottobre in Vaticano «dia importanti apporti per scoprire nuovi cammini per un’ecologia integrale». Anche i vescovi argentini e paraguayani sono intervenuti nel dibattito, sostenendo le posizioni prese recentemente dal Consiglio episcopale latinoamericano ed esprimendo vicinanza alle popolazioni colpite dalle devastazioni degli incendi che, secondo i presuli, stanno procurando danni di dimensioni planetarie. In particolare i vescovi in Paraguay ricordano il peso che ha sul nostro pianeta la cultura dello scarto: «Crediamo — concludono in una nota — come le autorità del Celam che l’unità e la solidarietà dei governi dei paesi amazzonici, soprattutto del Brasile e della Bolivia, delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, debbano prendere misure urgenti per salvare il polmone del mondo».
Dal Messico, infine, la Commissione per la pastorale sociale della Conferenza episcopale esorta a «unire gli sforzi» e sottolinea come il disastro in Amazzonia ci ricorda «che il nostro territorio è in pericolo, perché nella nostra casa comune tutto è interconnesso». Da qui un appello accorato al mondo intero a «correggere gli atteggiamenti egoistici e distruttivi» legati al modello tecnocratico.
L’Osservatore Romano, 28-29 agosto 2019