Le radici bibliche della morale

di: Roberto Mela

bibbia

Il docente di Teologia Morale della Facoltà di Teologia dell’Italia settentrionale ricerca il fondamento del comportamento morale richiesto all’uomo per la sua realizzazione vera all’interno della Parola di Dio, attestata nella sacra Scrittura all’interno dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Ne seguiamo da presso il filo del discorso, citando spesso il denso testo, anche se non sempre segnalandolo esplicitamente.

Nel primo capitolo l’autore spiega il suo approccio metodologico. Fumagalli segue un approccio canonico alla lettura di questi testi. Egli non vede il rapporto AT-NT tanto come compimento nella continuità e nella discontinuità (e superamento) ma come «attrazione» che il Cristo, compimento della storia nel suo mistero pasquale, esercita sulla storia che lo precede e lo segue. Attraverso la sua mediazione salvifica, Dio Padre muove la storia verso di sé.

Il NT attira a sé l’AT, ma anche il periodo che segue la pasqua di Cristo. Attraendo a sé ogni cosa, Cristo imprime alla storia un movimento unitario, un’ascensione graduale, realizzata progressivamente attraverso il tempo. La graduale progressione dell’AT verso il vertice attrattivo della pasqua di Cristo trova riscontro nella tradizionale tripartizione del canone in Legge, Profeti e Scritti sapienziali. L’evento pasquale di Cristo è il vertice attrattivo di tutta la sacra Scrittura, con una novità e pienezza di compimento imprevedibile e definitivo che rendono ragione dell’eccellenza del NT rispetto all’AT.

I quattro vangeli hanno un posto di rilievo, perché sono testimonianza più prossima e diretta alla Pasqua di Cristo. L’attestazione compiuta dai vangeli viene ripresa e spiegata negli scritti protocristiani (tradizione degli apostoli, in modo particolare le lettere di Paolo). In essi «è confermato tutto ciò che riguarda Cristo Signore, è ulteriormente spiegata la sua autentica dottrina, è predicata la potenza salvifica dell’opera divina di Cristo, sono narrati gli inizi e la mirabile diffusione della Chiesa ed è preannunziata la sua gloriosa consumazione» (DV 18).

Nel c. 2 l’autore descrive il racconto della Pasqua. In esso viene descritto come Gesù, chinato il capo, consegnò lo Spirito. La sera di Pasqua dice ai suoi: Ricevete lo Spirito Santo!

Attorno al Cristo crocifisso c’è la cerchia di chi non crede in lui: lo sguardo distratto dei soldati, lo sguardo ovvio dei passanti, lo sguardo supponente dei capi religiosi e quello rivoltoso dei condannati. Ma ci sono pure lo sguardo dei credenti: quello frontale del centurione, quello attento delle donne e quello corrispondente del discepolo.

L’attrazione dello Spirito e l’azione della libertà sono i dinamismi pasquali che si rivelano essere costitutivi dell’agire morale degli uomini. «Ciò che appare compiutamente nei testi pasquali ricorre variamente e gradualmente nell’intera poetica biblica canonicamente strutturata nell’Antico Testamento, secondo la tripartizione di Legge, Profeti e Scritti sapienziali, e nel Nuovo Testamento, secondo la bipartizione di vangeli e Scritti protocristiani. Considerando distintamente ogni singola partizione – afferma l’autore –, provvederemo a evidenziare gli stessi dinamismi moralmente emersi dallo studio della Pasqua di Gesù, in modo da mostrare come l’attrazione dello Spirito e l’azione della libertà siano diversamente e gradualmente attestate nel canone biblico» (p. 31)

A p. 32, l’autore riassume in una preziosa tabella la sintesi teologica che regge l’intera struttura del suo volume. La riportiamo quasi per intero.

Gesù innalzato sulla croce e nella gloria proclama che attirerà tutti a sé, mediante l’attrazione dello Spirito. Totalmente consegnato al Padre, il Figlio attira l’umanità nell’amore trinitario, rendendolo partecipe del dono dello Spirito che, dall’alto della croce, egli offre gratuitamente agli uomini. Il dono dello Spirito si esplica nell’opera dello Spirito.

Mediante il dono dello Spirito Santo, il Padre riplasma gli uomini peccatori a immagine del Figlio affinché, recettivi e obbedienti come lui, scelgano in piena libertà di lasciarsi attrarre nella comunione trinitaria. La potenza creativa dello Spirito è tale da ricreare la libertà, perdonandola, ridonandola cioè a se stessa, qualora essa si fosse perduta a causa del peccato.

Il dono dello Spirito e l’opera dello Spirito suscitano l’azione della libertà. Lo Spirito effuso da Gesù, per via della sua solidarietà universale, include tutti e nessuno è escluso dal suo raggio di azione: non c’è libertà umana che non sia raggiunta dall’attrazione universale dell’Innalzato sulla croce e nella gloria.

L’inevitabile attrazione dello Spirito, mediante il quale il Padre desidera conformare ogni uomo al Figlio Gesù, necessita la libertà ad agire, obbligandola a scegliere fra resistenza e resa.

La resistenza della libertà si attua nel fatta che la libertà umana, obbligata ad agire, può però resistere all’attrazione dello Spirito Santo, rifiutando di essere ricreata in Cristo e indurendosi progressivamente nel peccato.

La resa della libertà si attua invece nel fatto che la libertà umana, obbligata all’azione, può altrimenti affidarsi all’attrazione della Spirito, lasciandosi convertire nella verità tutta intera del Figlio che si abbandona docilmente al Padre.

Nel corso della sua opera Fumagalli delinea come nei tre corpi letterari dell’AT (Legge, Profeti e Scritti sapienziali) operano variamente e gradualmente i dinamismi pasquali che li attraggono verso Cristo.

La Legge

Per quanto riguarda il blocco del Pentateuco, l’autore prende in esame i momenti salienti della vicenda esodica.

L’attrazione dello Spirito si attua nel dono dello Spirito. «Nel Pentateuco l’attrazione esercitata dal Signore nei confronti del popolo di Israele si condensa nell’alleanza» (p. 33). Mediante la Legge e i beni connessi della terra promessa, essa viene a costituire le condizioni di possibilità affinché il popolo scelga liberamente di corrispondere all’amorevole predilezione che Dio ha mostrato per la creatura umana fin dalle origini del mondo» (pp. 33-34). Il dono dell’alleanza è sotto il segno della gratuita elargizione divina (cf. Gen 17) Il dono della manna e dell’acqua manifestano ulteriormente il primato dell’azione benefica di Dio rispetto all’impegno dell’uomo. Col dono della Legge si può comprendere in che senso la libertà umana, creata da Dio, viene responsabilmente coinvolta nell’alleanza istituita dal Signore col suo popolo (cf. Es 24,1-11). Col dono della Legge il Signore istituisce «le condizioni di possibilità affinché la libertà dei fedeli sia continuamente polarizzata verso la terra promessa del suo compimento» (p. 36).

Cuore pulsante dell’intera legge anticotestamentaria sono le «dieci parole» scritte sulle «due tavole». Il Decalogo è presente nella versione di Es 20,1-17 e di Dt 5,6-21.

Dopo aver esaminato le singole «parole», l’autore e suggerisce che il senso fondamentale del Decalogo è quello di una istruzione rivolta alla coscienza personale e riguardante l’esistenza umana complessivamente intesa, vita interiore compresa.

Col Decalogo inizia già la critica a una riduzione legalistica della morale. L’esigenza morale del Decalogo è quella di sradicare il peccato dove ha la sua origine, ossia il cuore dell’uomo. Nel decalogo c’è l’“interiorizzazione” della Legge e una sua “universalizzazione”.

In Es 20 il prossimo è il membro del popolo israelita, in Dt 5 (esilico e postesilico) il prossimo diventa tendenzialmente ogni persona.

Si avvia inoltre il dinamismo della “concentrazione” dei singoli comandamenti in uno o due fondamentali.

La Legge, le benedizioni e le maledizioni fanno nascere nella coscienza di Israele la fede nel Dio creatore. La legge di Dio viene sempre dopo la sua grazia, che comincia con gli inizi della storia. La creazione esprime la relazione originaria e permanente che lega l’essere umano a Dio. Dio ha creato l’uomo, ma continua a crearlo, istante dopo istante. I racconti della creazione sono racconti di «eziologia metastorica sapienziale». Esprimono il senso salvifico sotteso all’intera storia dell’universo, un senso riposto dal narratore biblico nelle mani dell’unico Dio.

Alla domanda su chi sia l’uomo, quale sia la sua origine e il suo destino si risponde che l’uomo non è Dio, ma, per puro amore, Dio lo ha creato a sua «immagine somigliante». L’uomo esiste solo perché il Signore lo desidera. «L’uomo, quindi, non è altro che un desiderio di Dio, il frutto dell’amorevole desiderio di Dio di mettersi in relazione con lui» (p. 51).

L’azione della libertà si manifesta come resistenza della libertà nelle mormorazioni e nell’idolatria. Il Signore ha continuato però ad accettare, anche con minacce di castighi, nuove stipulazioni dell’alleanza infranta, attendendo con pazienza paterna la resa effettiva di Israele e dell’umanità al suo amore.

La resa della libertà si manifesta come rifiuto da parte dell’uomo della distrazione del peccato, acconsentimento a lasciarsi coinvolgere dall’attrazione salvifica riconoscendo la relazione vitale con Dio e decisione di fare della propria vita un servizio a Dio. Il servizio al Signore è ben manifestato nell’assemblea di Sichem (Gs 24) e l’impegno di fedeltà espresso liberamente anche da Abramo con l’accettazione della circoncisione. Dio gli aveva già promesso liberamente un figlio, la discendenza numerosa, il paese di Canaan.

I Profeti

A differenza della Legge, ma senza dimenticare gli interventi salvifici di Dio, i Profeti tengono sott’occhio soprattutto l’“adesso”, l’effettiva reazione degli israeliti all’agire preveniente di Dio.

Anche nei Profeti si possono individuare i due principali dinamismi della pasqua di Gesù, cioè l’attrazione dello Spirito e l’azione della libertà.

«Nei libri profetici il dinamismo attrattivo dello Spirito si esprime nel perentorio richiamo alle esigenze dell’alleanza e, a fronte dell’insuccesso, nella promessa di una nuova alleanza. I profeti preesilici accusano il popolo e annunciano il giudizio divino, quelli postesilici, di fronte all’avvenuto giudizio, dischiudono una promessa, annunciando il trapasso alla nuova alleanza (cf. Ger 31,31-33)» (p. 56).

Il dono dello Spirito si esplica come la messa allo scoperto del grave tradimento religioso commesso dal popolo ogni giorno. Si denuncia lo scollamento esistente tra la seconda tavola dei comandamenti e la prima. La giustizia verso il prossimo è il criterio dell’autenticità dell’effettivo mantenimento dell’alleanza col Signore: si annuncia il giudizio divino (cf. Amos), si minaccia il castigo (cf. Is 5,20-24), si denuncia l’infedeltà mediante la metafora matrimoniale (cf. Osea).

L’opera dello Spirito, cioè l’attrazione esercitata dallo Spirito di Dio mediante la predicazione profetica, è risultata inefficace. Costatando l’irrimediabile tradimento dell’alleanza, i Profeti annunciano la promessa di una «nuova alleanza» (cf. Ger 31,31). Essa è sostanzialmente diversa dalle altre e chi vi aderisce riceve in dono la possibilità di vivere un nuovo tipo di esistenza. Si prospetta una nuova creazione (cf. Ger 33,2; Ez 37,1-14), la creazione di un «cuore nuovo» come centro della «nuova alleanza».

La nuova alleanza ricrea ontologicamente l’uomo, ridefinendone la moralità. Nella nuova condizione esistenziale, natura e giustizia formano un tutt’uno (cf. Ez 36,27; p. 63). Viene annunciato il perdono dei peccati passati. La «libertà peccatrice degli uomini sarà ricreata dallo stesso Spirito di Dio, mediante il perdono dei peccati e il dono di un cuore nuovo» (p. 64).

Caratteristica della nuova alleanza sarà quella di essere “eterna”, irrevocabile, universale (cf. Is 19,24). Spesso i profeti connettono la vicenda di Israele con quella di altri popoli. Israele è il centro della salvezza universale, il suo testimone (cf. Is 43,10,12; 44,8).

Il dinamismo dell’azione della libertà è rappresentato dalle figure antiche della permanenza ostinata nella trasgressione e dalla luminosa testimonianza del giusto sofferente.

La resistenza della libertà è rappresentata da un’ostinazione trasgressiva e da una radicalità maligna (cf. «il peccato di Giuda è scritto con stilo di ferro», Ger 17,1), specialmente da parte dei ricchi e dei potenti, che provocheranno l’esilio.

La resa della libertà è rappresentata dalla persona stessa del profeta, che diventa una figura paradigmatica della resa della libertà all’attrazione dello Spirito. Il profeta è “l’uomo di fede”, “l’uomo della parola” e “l’uomo del discernimento”.

La vicenda del servo sofferente di Is 52,13–53,12 con la sua sofferenza innocente vissuta in obbedienza e solidarietà, prepara e rimanda al mistero pasquale di Cristo. «Certo, il compimento in Cristo di questa vicenda paradossale vissuta dal servo del Signore rimarrà indeducibile ed eccedente. Ciononostante, essa permetterà di riconoscere che in Gesù, “uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53,3), Dio mantiene la sua promessa di salvezza dell’umanità» (p. 69).

Scritti sapienziali

Il terzo corpo di scritti dell’AT non è una vera e propria attestazione narrativa delle vicende della storia di Israele. La loro funzione è espletiva, si focalizzano cioè su ciò che è quotidiano e tendenzialmente permanente. La loro formulazione più caratteristica sono infatti i proverbi.

Il dinamismo dell’attrazione dello Spirito si manifesta nel fatto che la misteriosa presenza della sapienza, che ha la sua origine nel mondo trascendente di Dio, penetra ogni realtà creata infondendosi nell’esistenza umana.

Il dono dello Spirito si attua nel fatto che i saggi di Israele riconducono l’origine della sapienza umana, che essi elaborano ed espongono, alla sapienza divina. Parlano della sapienza creatrice (cf. Pr 8,22-31). Accettando di integrare la creazione nel suo “credo”, Israele si fa carico della rischiosa impresa di riconoscere la presenza del divino nel mondo, senza tuttavia divinizzare il mondo. La sapienza creatrice è al tempo stesso trascendente e immanente.

La Sapienza personificata è presentata come una realtà che ha piantato la tenda in Giacobbe e si è stabilita in Sion (cf. Sir 24,10). È riconosciuta «sapienza personificata» in alcune figure mediatrici quale «il libro dell’alleanza del Dio Altissimo» (Sir 24,23), ma essa va oltre la pura identificazione con la Legge di Mosè (cf. Sap 9,17).

Il libro della Sapienza, redatto pochi anni prima della rivelazione piena e definitiva in Cristo, «attesta come l’attrazione dello Spirito predisponga all’incarnazione del Lógos (cf. Gv 1,14), per mezzo del quale in principio Dio aveva creato tutto (cf. Gv 1,2-3). Nell’incarnazione del Lógos di Dio, l’anelito dei saggi d’Israele alla conoscenza di Dio troverà il suo indicibile ed eccedente esaudimento. Gesù Cristo è, infatti, la vera “sapienza di Dio” (1Cor 1,24), in cui “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” (Col 2,3). E è proprio grazie alla Pasqua di Gesù, il Lógos incarnato, che Dio Padre dona all’uomo il suo Spirito» (p. 73).

L’opera dello Spirito si esplica nel fatto che «la sapienza divina istruisce e inquieta la sapienza umana, inducendola a rintracciare le regole e prospettando gli enigmi dell’umano vivere. A questa duplice opera corrispondono negli Scritti sapienziali dell’Antico Testamento due correnti di pensiero, definibili come “sapienza ortodossa” e “sapienza eterodossa”» (p. 73).

La sapienza ortodossa, di taglio più conservatore, rileva i dati ricorrenti dell’esperienza, evitando di rimarcarne le incoerenze e le contraddizioni. Ha tinte di ottimismo. Per suggerire come affrontare la realtà dell’esistenza, i sapienti di questa tendenza si affidano al buon senso e alla secolare tradizione del popolo di Dio. Nello spiegare il governo di Dio sul mondo e il suo rapporto con gli uomini, la sapienza ortodossa privilegia la cosiddetta dottrina della retribuzione. Si salvaguarda la giustizia divina e si mira ad assicurare l’osservanza della legge mosaica. Nella versione immanentista il bene compiuto viene premiato da Dio con il benessere terreno, mentre l’empio viene punito già su questa terra con quote di sofferenze e di disgrazie.

Per la sapienza ortodossa il rapporto con la creazione è il luogo in cui emergono le differenze di Israele rispetto alle altre nazioni, per altro verso, proprio la creazione è l’ambito che le toglie. «L’iscrizione della vicenda di Israele nel quadro della creazione dà alla promessa fatta dal Signore al popolo eletto una portata universale e invita a riconoscere i beni della promessa nei beni essenziali dell’esistenza. L’ambito della promessa e della Legge si allarga così all’intera esperienza mondana. Morale e felicità, bene e benessere risultano indisgiungibilmente connessi» (p. 75).

L’iscrizione della promessa e della legge di Israele nel quadro originario e universale della creazione rende prossime l’esperienza morale e mondana dell’uomo. «Per un verso, la sapienza, “mondanizza l’esperienza morale”; per altro verso, l’esperienza mondana viene “moralizzata”. La conoscenza e l’obbedienza alle leggi della creazione è conoscenza del Signore e obbedienza a lui, proprio perché è il Signore che, mediante la sapienza, ha creato ogni cosa (cf. Pr 3,19-20; Sap 9,9)» (p. 75).

Benché sussistente sempre e ovunque, la sapienza divina sfugge a ogni presa. Della conoscenza umana essa è il principio che, donato gratuitamente dal Dio creatore, ne istituisce le condizioni di possibilità: «Principio della sapienza: acquista la sapienza» (Pr 4,7).

La sapienza si ottiene con la preghiera ed è anche immanente. «La sapienza divina, stando all’origine della creazione, informa ogni realtà creata, rendendola espressione del mistero stesso di Dio creatore. Per questo motivo, la sapienza divina si presenta in modo emblematico là dove ha origine la vita umana» (p. 76), dove sboccia l’amore e lo si celebra. L’essenza della sapienza sembra essere quello della “filiazione”. Il concepimento del figlio è infatti l’azione umana che partecipa per eccellenza all’opera della sapienza. Nella generazione del figlio si rinnova l’atto creativo di Dio. La filiazione poi si distende nell’educazione, attraverso cui la sapienza viene comunicata alle generazioni successive. «La trasmissione della vita e la tradizione della sapienza formano un tutt’uno» (p. 77).

Nello scontro col dato doloroso della morte, la sapienza eterodossa (Gb; Qo) leva una voce che contrasta con la sapienza convenzionale. Essa mette a nudo il (non) senso della vita, l’ingiusta sofferenza del giusto, lo scandalo della morte a causa dell’empio. Il libro della Sapienza, aggrappandosi alla fede, si affida alla promessa di Dio e afferma che i giusti godranno della pienezza di vita. Le modalità del trapasso dalla morte alla nuova vita, come pure la configurazione di quest’ultima, restano indeterminate (Sap 3,7-9; Dn 12,2-3; 2Mac 7). In questo orizzonte indeterminato degli scritti anticotestamentari si collocherà la stessa predicazione neotestamentaria della risurrezione di Cristo.

L’azione della libertà si manifesta come sempre in una duplice forma. La sapienza divina, che nell’immanenza della creazione attrae l’uomo a riconoscere il suo autore, non può impedire la resistenza incredula degli iniqui, mentre, diversamente da loro, si manifesta la resa credente del giusto che, come il re Salomone, si lascia affascinare dalla sapienza di Dio. La connessione tra giustizia e fede comporta, in negativo, quella tra l’iniquità e l’incredulità.

La resistenza della libertà si manifesta nell’idolatria, denunciata con forza nel trattato antidolatrico di Sap 13,1–15,19. L’idolatria pagana, che finisce per adorare le creature al posto del loro Creatore, si assomma alla perversione morale, che genera a sua volta la morte spirituale. Questa non deriva direttamente da Dio, ma consegue alla trasgressione dell’ordine costitutivo della creazione e, in particolare, della creatura umana che, se stravolto, si ritorce contro chi lo stravolge (cf. Sap 16,24). I castighi di Dio non annullano la sua benevolenza e hanno intento pedagogico (Sap 12,20-21).

La resa della libertà convertita è vissuta da colui che ha ricevuto in dono la sapienza del Signore e si lascia dirigere docilmente da essa nella ricerca del senso ultimo della vita. Nella letteratura sapienziale il re Salomone diventa il modello eccellente di chi si arrende al fascino della sapienza divina e, per questo, conduce il popolo d’Israele verso la pace e la giustizia. Il re aveva chiesto nella preghiera umile un cuore docile e gli viene concessa una sapienza impareggiabile.

«L’intuizione fondamentale degli Scritti sapienziali è che la sapienza trascendente di Dio s’inscrive, per pura grazia, nella sapienza immanente degli uomini, specialmente quando essi ne riconoscono con gratitudine l’origine divina e la continuano a implorare con fiducia dal Signore» (p. 87).

L’Antico Testamento risulta attraversato da un dinamismo rivelativo che rimanda a un compimento oltre se stesso, sinteticamente denominato “nuova alleanza”. Già nell’orizzonte anticotestamentario essa «costituisce un centro focale aperto a un evento salvifico umanamente indeducibile. Ma proprio per questa ragione, tale centro focale è in grado di lasciar trasparire come l’intero Antico Testamento, e non soltanto la Legge, sia “pedagogo, fino a Cristo” (Gal 3,24)» (p. 87).

I Vangeli

La nuova alleanza, annunciata nell’AT, trova il compimento in Gesù. I Vangeli ne narrano la vita, culminante nella sua morte e risurrezione. L’attrazione dello Spirito si esplica nella proclamazione compiuta da Gesù del Vangelo del Regno. A ciò è strettamente connesso, come conseguenza, l’appello morale alla conversione.

Il dono dello Spirito si manifesta nell’annuncio di salvezza proclamata da Gesù consistente nell’avvento del Regno, dal quale scaturisce l’appello alla possibilità della conversione.

L’opera dello Spirito, connessa con l’annuncio del Regno che implica l’appello alla conversione, mira alla fede e quindi alla comunione con il Signore Gesù. La conversione evangelica chiede che si compia come fede cristologica. Essa è il fine dell’attività di Gesù e a volte precede e a volte segue i miracoli. Essa dà la possibilità di una vita nuova, una risurrezione già operante nel presente (cf. Gv 5,25).

Circa la legge morale, Gesù si distanzia sia dall’abrogazione che dalla semplice convalida della legge dell’AT. Egli rispetta la Legge, la stima, ma cerca di radicare l’esigenza morale nel cuore. «L’avvento definitivo della signoria di Dio nella storia umana promuove una pratica della Legge che dall’esteriorità delle norme risale alle radici intime dell’agire morale» (p. 94). Le motivazioni che Gesù adduce per osservare la Legge sono soprattutto l’avvento definitivo del regno di Dio nella storia umana. Al motivo del Regno si associano motivazioni riferite espressamente a Gesù: «per il mio nome», «per causa mia», «per causa mia e del vangelo». Sussiste la motivazione della ricompensa intesa come conseguimento della vita eterna e la punizione come esclusione da essa. Gesù proclama il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, rivela il comandamento nuovo (cf. Gv 13,34). Occorre amarsi come si è amati in precedenza da Gesù stesso.

La radicalità dell’amore donato e comandato da Gesù trova espressione nel Discorso della Montagna (Mt 5–7). Esso è il vertice e il compendio della vita cristiana. In esso si riscontra «la norma definitiva della vita cristiana per quanto attiene a un’ottima moralità» e «in esso vi sono tutti i precetti che attengono a regolare la vita» (Agostino).

Il Discorso della Montagna è stato variamente interpretato come “etica elitaria”, “etica ideale”, “etica interinale”, “etica sociale”, “etica accusatoria”. Fumagalli preferisce la posizione di Agostino che rinviene nel Discorso della Montagna, e specialmente nelle Beatitudini, il dinamismo graduale di ascesa all’altezza dell’amore di Cristo. Le prime sette beatitudini indicano i gradi della vita cristiana e l’ottava li riassume.

Lo studioso analizza le antitesi, e si sofferma sulla sequela di Gesù e sull’imitazione di Cristo quali ulteriori effetti dell’opera dello Spirito. L’imitazione di Cristo è l’unico imperativo morale capace di compendiare e corrispondere all’annuncio del Regno di Dio. L’imitazione di Cristo si specifica come obbedienza ai suoi comandamenti.

L’azione della libertà si esplica in primo luogo negativamente come la resistenza della libertà: indurimento incredulo, fariseismo presuntuoso, ottusa incomprensione anche da parte degli apostoli.

La resa della libertà si attua come conversione e fede, e trova espressione emblematica nella figura di Pietro. Dall’obbedienza iniziale alla Parola, passando attraverso il tradimento, Pietro matura nella fede, toccato a fondo dall’evento della Trasfigurazione di Gesù.

Gli Scritti protocristiani

L’attrazione dello Spirito. «La lettura cristocentrica della sacra Scrittura e, in particolare, degli Scritti protocristiani del Nuovo Testamento rivela come lo Spirito Santo effuso dal Crocifisso risorto dia compimento alla predestinazione degli uomini in Gesù Cristo, ovvero alla creazione degli uomini a immagine del Figlio di Dio» (p. 111).

Il dono dello Spirito si rivela in modo particolare in san Paolo che delinea il dinamismo della salvezza in chiaro riferimento a Cristo. Questo è espresso con il linguaggio sia della predestinazione (cf. Rm 8,28-30) sia della creazione in Cristo (cf. Col 1,15-17; Eb 1,1-2).

La predestinazione salvifica degli uomini in Cristo è inscritta in quella ancora più universale di ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.

L’essere umano è creato e desiderato da Dio “conforme” a Gesù Cristo, con la sua stessa “forma” di Figlio obbediente al Padre. Questa conformazione dell’uomo a Gesù Cristo, Figlio di Dio, avviene per azione dello Spirito Santo, che Gesù stesso aveva promesso ai suoi discepoli (cf. Gv 14,17).

La grazia dello Spirito costituisce l’“indicativo” su cui si basa l’“imperativo” morale della vita cristiana come sua conseguenza.

Il principio della vita morale è costituito dal dono dello Spirito e l’imperativo morale cristiano si configura come un cammino nello Spirito (cf. Gal 5,25; cf. Ef 3,16; 4,30).

Lo Spirito Santo, principio dinamico della vita cristiana, ha una matrice sacramentale, entra cioè nella vicenda storica dei credenti specialmente attraverso i sacramenti, a partire dal sacramento del battesimo. «L’Eucaristia conferma e alimenta questa prospettiva esistenziale del battesimo» (p. 115). Col battesimo il cristiano è in Cristo, seppure non in modo ancora compiuto, e, mediante il battesimo, lo «Spirito di santità» (Rm 1,14) provvede alla giustificazione dei credenti e al loro ingresso nella vita eterna (cf. Tt 3,5-7).

L’opera dello Spirito. Il dono dello Spirito suscita e promuove nell’uomo la fede in Cristo e la giustificazione. La fede è operosa nella carità e suscita la comunione fraterna. Attirata in Cristo mediante lo Spirito effuso nella sua Pasqua, la libertà umana viene progressivamente conformata a immagine del Figlio.

La giustificazione è per fede e non necessita di compiere le opere della Legge, che però smaschera l’uomo come trasgressore. La giustizia al cospetto di Dio ottenuta dal cristiano con la fede non è statica, ma si dinamicizza nella speranza (cf. Rm 5,2-11 e 8,23-24). La carità è operosa essendo frutto dello Spirito (Gal 5,6.22). Giovanni sottolinea la radice teologale dell’amore nell’amore preveniente di Dio (cf. 1Gv 4,10).

Il comandamento cristiano dell’amore è in funzione della comunione, che esplica a molti livelli e in campi diversi (ecclesiale, sociale, eucaristico, caritativo verso i poveri, familiare).

La «sottomissione» menzionata nelle “tavole domestiche” (cf. Ef 5,21–6,9; Col 3,18–4,1; 1Pt 3,1-7) va intesa secondo il criterio della reciprocità ed è motivata sempre in senso cristiano («nel Signore»). Frutto dell’opera dello Spirito, negli Scritti apostolici non mancano la dimensione escatologica (anche “realizzata”, in Giovanni) e la sottolineatura della chiamata dei cristiani alla libertà (cf. Gal 5,13), pur in tensione con la «carne con le sue passioni e i suoi desideri» (cf. Gal 5,24). Paolo accenna anche alla «coscienza», alle virtù, alla natura e all’epicheia. Tratto fondamentale della vita cristiana è la perseveranza nel tempo che precede la parusia.

Negli scritti apostolici c’è il richiamo alla santità, alla custodia della «sana dottrina». Il libro dell’Apocalisse sottolinea che la storia umana soggiace al potere di Cristo risorto vittorioso, ma richiede costanza nelle prove ancora presenti.

L’azione della libertà. «La predestinazione degli uomini in Cristo che, mediante lo Spirito effuso nella Pasqua, opera negli uomini affinché diventino figli di Dio, impegna la loro libertà nell’alternativa di resistere all’attrazione dello Spirito, vivendo secondo la carne, o di lasciare che esso porti frutto» (p. 130).

Emerge così la resistenza della libertà peccatrice che compie il peccato come trasgressione religiosa, la colpa come atto contrario alla retta norma e compiuto in maniera cosciente, come pure la ribellione contro il Signore. Paolo sottolinea l’universalità e la profondità del peccato, che strumentalizza la Legge e schiavizza l’uomo che non si apre a Cristo. Gli Scritti apostolici enumerano varie liste di vizi (cf. Rm 1,28-31; Gal 5,19-21; Eb 13,4; 1Pt 2,1; 4,3.15; Ap 21,8; 22,15). Il peccato, «che si condensa in atti maligni, fluisce più radicalmente da disposizioni maligne che inclinano a compiere il male» (p. 133).

La resa della libertà all’attrazione dello Spirito è emblematicamente espressa nella confessione autobiografica di Paolo in 2Cor 12,7-10. Paolo si rimette a Dio convinto che nella sua debolezza potrà rivelarsi al meglio l’onnipotenza di Dio. Questo vale anche a livello ecclesiale (1Cor 1,22-29). Il cristiano è chiamato a conformarsi alla logica di Dio, insuperabilmente vissuta da Gesù così come espressa nell’inno cristologico di Fil 2,5-8. «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20), proclama Paolo. «Inabitato da Cristo, Paolo diviene uno strumento di testimonianza trasparente ed efficace di Cristo» (p. 135). Paolo mette tutte le sue capacità ed energie a servizio della missione, dell’annuncio del vangelo.

Circa le virtù, esse occupano uno spazio marginale nel NT, ma insieme alle liste di vizi ci sono anche elenchi di virtù (cf. Ef 4,22–5,5; Col 3,5-8.12-14; 1Tm 1,9-10), 4,12; 2Pt 1,5-7). Le virtù sono collegate spesso all’attesa escatologica e quindi sono nominate specialmente la speranza, la vigilanza, la sobrietà, la pazienza, la perseveranza, l’umiltà, la compassione, la sottomissione reciproca.

Gli Scritti apostolici riprendono in senso cristiano molte realtà lodate anche nel campo civile coevo. Le virtù teologali della fede, speranza, carità sono menzionate nel più antico testo del NT (1Ts 5,8).

Quadro sintetico

Nell’ultimo capitolo Fumagalli sintetizza il percorso compiuto e l’identità morale corrispondente alla poetica biblica (cf. il sottotitolo del libro: I fondamenti biblici della Teologia morale). Essa si delinea come identità responsoriale, e quindi progressivamente definita, al grado dell’Antico Testamento, come identità profetica, a quello dei vangeli come identità cristiana, a quello degli Scritti protocristiani come identità spirituale» (p. 139).

L’identità morale corrispondente alla poetica biblica è un’identità rispondente e responsoriale, che riconosce la dipendenza radicale e costante del soggetto umano dall’alterità divina. La morale biblica è essenzialmente dialogica. La genesi e la formazione dell’identità responsoriale avviene gradualmente, in corrispondenza alla scansione canonica della Scrittura. La Legge evidenzia il “prima” dell’attrazione di Dio, i Profeti mirano all’“adesso” dell’azione umana e gli Scritti sapienziali indagano il “sempre” dell’interazione tra Dio e l’uomo.

Il paradigma dell’identità profetica, espressa nella Legge, nei Profeti e negli Scritti sapienziali, trova una rappresentazione emblematica nella vicenda dei Profeti. La vocazione profetica, specialmente, rappresenta in modo paradigmatico la struttura dialogica che intercorre tra Dio e l’agire dell’uomo.

Cinque sono le fasi dei racconti di vocazione profetica. Dapprima l’incontro del profeta con Dio, l’autopresentazione di Dio, l’invio del profeta in missione. La missione assegnata, accompagnata spesso dal nome del profeta, definisce l’identità dello stesso. Una quarta fase è data dall’obiezione del profeta che riconosce la sua inadeguatezza. L’ultima fase è data dalla rassicurazione che Dio fornisce.

Questo paradigma eccellente del rapporto tra Dio e l’uomo è stato impiegato anche dai cristiani nell’interpretazione della vicenda di Gesù. L’identità cristiana si evidenzia col trapasso al NT. In Gesù Cristo si realizza la nuova alleanza e Gesù è l’uomo pienamente (cor)rispondente a Dio. Il soggetto morale viene attratto dagli atteggiamenti di Gesù e invitato a corrispondere in pienezza, come lui, all’agire di Dio.

La poetica evangelica è imperniata sul comandamento nuovo di Gesù e la morale biblica, secondo i sinottici, è qualificata come sequela di Gesù, mentre in termini giovannei questa è delineata come imitazione di Cristo. La conformazione a Cristo proposta al soggetto morale affinché risulti pienamente corrispondente all’alleanza con Dio solleva la domanda circa il rapporto esistenziale tra il discepolo e Cristo.

Gli Scritti protocristiani elevano di un ulteriore livello la poetica biblica e svelano l’azione creativa dello Spirito sull’identità del soggetto morale: l’identità spirituale. Fil 2,5 esprime emblematicamente la sequela/imitazione cristiana: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù».

Con la sua attrazione, lo Spirito evita che l’imitazione dei cristiani si riduca al tentativo fallimentare delle loro forze. C’è un’imitazione ambigua di Cristo, vissuta anche da alcuni santi. Non va ricercato un mimetismo quasi-osmotico, che finisce per soppiantare il modello. Il desiderio mimetico induce a bramare i beni in possesso del modello fino a sostituirsi a lui, faceva notare Girard. «L’imitazione di Cristo non è la semplice riproduzione del suo esempio ideale nel mondo. Un simile tentativo, invece di imitare Gesù, finirebbe per estrometterlo e indurrebbe l’agire morale a cadere nella tentazione dell’autonomia. A quel punto, il modello esemplare di Cristo, del suo sacrificio per la vita del mondo, produrrebbe fraintendimenti tanto subdoli quanto perversi» (p. 147-148).

Molte violenze sono state commesse nel nome di Cristo, per rendere migliore il mondo (ad es. inquisizione e crociate). Un’immagine di questo sentimento diabolico è espresso nella Leggenda del Grande Inquisitore. Il Grande Inquisitore non vuole che imitare Cristo, pretendendo di sostituirsi a lui nel farsi carico della debolezza e del peccato del popolo.

Positiva è invece l’imitazione creativa di Cristo. L’uomo deve rinunciare al desiderio di riprodurre in proprio il modo di agire di Gesù. La relazione col modello non deve essere quella di una pretesa imitazione autonoma ma è quella espressa in 2Cor 3,18: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore». La trasformazione ha un aspetto ricettivo («siamo trasformati»), ricevuta in dono.

Essa ha anche una dinamica attiva. Il verbo katoptrizesthai si può tradurre sia con “contemplare” sia con “rispecchiare”. «Difatti, per via della trasformazione ricevuta in dono, i cristiani vengono conformati alla stessa immagine contemplata, e dunque sono resi capaci di riflettere a loro volta la gloria del Signore» (p.149). È una trasformazione progressiva che per dono fa sì che non siano più i cristiani a vivere, ma che Cristo viva in loro.

Si «imita Cristo non riproducendo in proprio l’esempio del maestro – conclude Fumagalli nelle ultime righe del suo testo dedicato ai fondamenti biblici della Teologia morale –, ma partecipando, grazie allo Spirito, della vita di lui: da parte sua, Cristo non sequestra il desiderio dell’imitatore, ma lo dirige sul Padre. Il termine dell’imitazione di Cristo non è diventare come lui fino a sostituirlo, ma essere in lui, per mezzo dello Spirito, amorevole come il Padre. Lo Spirito sottrae l’uomo alla logica della concorrenza mimetica e lo inserisce nella comunione trinitaria. [….] Lo Spirito comunica all’uomo non la libertà autonoma e gelosa dell’altro, ma la libertà di amare l’altro, con lo stesso amore di Cristo. Imitare Cristo non è dunque riprodurre un modello etico, bensì rispondere responsabilmente della relazione che, nello Spirito Santo, è possibile vivere con lui. La libertà dell’uomo, chiamato a vivere la relazione amorevole con Cristo, non solo non è compromessa, ma è chiamata in tutta la sua creatività dal dinamismo tipico della carità evangelica (cf. Gal 5,13-14). Come ricorda sant’Agostino: “Dilige, et quod vis, fac”».

Siglando la sintetica ripresa della poetica biblica, si potrebbe dire che l’identità morale è progressivamente definita dalla Scrittura come quella di una persona che “risponde a Dio” (Antico Testamento), “come Cristo” (vangeli), “mediante lo Spirito” (Scritti protocristiani).

Un ottimo libro, che rielabora profondamente il testo del 2005 Attirerò tutti a me. Ermeneutica biblica ed etica cristiana (scritto insieme a Franco Manzi).

L’impostazione preziosa e originale data al rapporto tra i vari corpi letterari della sacra Scrittura, considerati tutti sotto la forza dell’attrazione dello Spirito donato da Cristo morto, risorto e glorioso, rende questo testo un ottimo sussidio per il corso di Teologia morale fondamentale e un valido saggio di aggiornamento per studenti, professori e per quanti sono dediti all’insegnamento e alla predicazione.