Le frontiere del cristianesimo

Il XX secolo ha segnato un’enorme espansione del cristianesimo in molte parti del mondo. Tuttavia resta il forte limite della sua presenza nel vasto mondo musulmano, in larghe parti dell’India e della Cina. Questi ultimi sono giganti demografici. Le motivazioni di questa “resistenza” al cristianesimo sono differenti secondo i diversi universi culturali in cui si è svolta la missione cristiana. Giovanni Paolo II non ha mai rinunciato a entrare in questi mondi con la sua parola e, dove è stato possibile, con la sua presenza. Ma è indubbio che il pontificato di Wojtyla, nonostante la forte estroversione, si sia scontrato con una resistenza in alcuni universi culturali e religiosi. Ed è soprattutto su questo che mi soffermo in queste righe.

Papa 
Wojtyla durante il discorso all'assemblea delle Nazioni Unite il 5 
ottobre 1995. Foto di ANSA.
Papa Wojtyla durante il discorso all’assemblea delle Nazioni Unite il 5 ottobre 1995. Foto di ANSA.

I cristiani nel mondo musulmano
Per quel che riguarda il mondo musulmano, la Chiesa di Wojtyla si è fatta interprete della linea del concilio Vaticano II che aveva promosso il dialogo e la convivenza con l’islam, pur non avendo rinunciato alla missione. Tale linea è stata tacciata da alcuni di ingenuità. Tuttavia, la questione della convivenza tra cristiani e musulmani è ineludibile a livello locale e internazionale, anzi caratterizzante la qualità della vita nel mondo di domani.

I cristiani in Medio Oriente e nel mondo musulmano sono spesso in difficoltà. In alcuni Paesi sono in calo, specie in Terra Santa o in Iraq. Ma importanti comunità cristiane vivono nel musulmano Pakistan (circa 2 milioni di cristiani, molto marginali in una società in cui rappresentano il 2%), in Indonesia (21 milioni, circa il 10% del Paese), in Sudan (2 milioni a fronte di 25 milioni di musulmani e 8 milioni di animisti). Il sostegno di queste comunità e il loro sviluppo religioso e sociale rappresentano un obiettivo importante per il XXI secolo. Del resto, la presenza di minoranze cristiane consente a Paesi prevalentemente islamici di conservare un certo pluralismo.

In Terra Santa, la comunità cristiana sarà probabilmente salvata dall’estinzione dagli ebrei messianici e dai cosiddetti ebrei russi (non pochi dei quali sono antichi russi ortodossi). In Libano, Paese pluralista in cui la minoranza cristiana è più forte che negli altri Paesi arabi, la Chiesa ha una funzione più grande del numero dei suoi fedeli: quella di affermare il valore della libertà e d’introdurre nel mondo arabo elementi di cultura personalista cristiana.

È da segnalare anche la grande resistenza della Chiesa copta all’islamizzazione in Egitto, con una forte vita monastica e una realtà di Chiesa come movimento cosciente nella società.

Fidel 
Castro controlla l'ora... dell'arrivo del Papa a Cuba il 21 gennaio 
1998. Foto di ANSA / GAGNE.
Fidel Castro controlla l’ora… dell’arrivo del Papa a Cuba il 21 gennaio 1998. Foto di ANSA / GAGNE.

Un Paese nodale per il confronto tra cristiani e musulmani è la Nigeria, nei cui Stati settentrionali a maggioranza musulmana è stata imposta la Shari’a. Si stima che nel 2050 la Nigeria potrebbe avere 300 milioni di abitanti: un gigante demografico con una forte produzione petrolifera, in cui la libertà religiosa e la convivenza pacifica sono a rischio. E il crinale dei conflitti islamo-cristiani rischia di estendersi ad altri Paesi della regione come il Niger o la Costa d’Avorio. La prevalenza dell’islam rispetto al cristianesimo è tutt’altro che scontata, ma il problema è come cristiani e musulmani vivranno insieme in tante regioni del mondo.

Giovanni Paolo II, attento all’identità cristiana, ha proposto in più occasioni la via del dialogo: con i viaggi in Marocco e alla moschea degli Omayyadi a Damasco, con gli incontri interreligiosi di Assisi nel 1986 e nel 2002, con I’attenzione alla sorte dei musulmani in Bosnia e in Kossovo. Gli interventi del Papa contro la guerra in Iraq hanno reso ancor più popolare la sua figura nel mondo arabo, come si è visto dalla copertura giornalistica e televisiva al momento della sua morte. Anche Benedetto XVI sente come decisiva la sfida della convivenza pacifica con il mondo musulmano.

La sfida del cristianesimo in Asia
In Asia i cristiani rappresentano meno dell’1% della popolazione. Solo le Filippine sono un Paese a maggioranza cattolica. L’India, che nel 2040 potrebbe raggiungere il miliardo e mezzo di abitanti, superando la Cina, ha una presenza cristiana antica (si pensi ai cristiani orientali cosiddetti di san Tommaso), ma assai ridotta. Dal 1997 la vittoria dei nazionalisti indù ha reso più precario lo spazio dell’azione della Chiesa. L’evangelizzazione si concentra in particolare negli strati più poveri della popolazione, i tribali e i dalit, cioè gli intoccabili.

La religione e la cultura induista costituiscono un tessuto fortemente inclusivo che non favorisce la missione cristiana. I cattolici sono in India circa 16 milioni, mentre in Cina non arrivano a 10 milioni (tra clandestini e patriottici). Tuttavia, nonostante le difficoltà, il cristianesimo si presenta forse più promettente in Cina che in India. Nel grande mondo cinese i neoprotestanti hanno già conosciuto una forte diffusione (si parla di varie decine di milioni di fedeli). La Cina ha vissuto, negli ultimi decenni, un’intensa secolarizzazione con la crisi del buddismo, del taoismo e del confucianesimo, con l’affermazione e il declino del marxismo di massa, infine con la diffusione del capitalismo e del consumismo. Tuttavia ci sono molti segnali rivelatori del vuoto spirituale di questo mondo.

Il cristianesimo ha una storia dolorosa di rapporti con la Cina, anche perché spesso identificato con la religione dell’imperialismo occidentale. Oggi, forse, la globalizzazione può favorire una maggiore conoscenza del cristianesimo, aprendo a sviluppi positivi. Tra gli altri Paesi asiatici, la Corea del Sud si è mostrata più permeabile all’influenza cristiana, mentre il Giappone, pur libero e democratico, ha mostrato una profonda resistenza tradizionale.

La funzione del cristianesimo negli Stati Uniti
Giovanni Paolo II aveva ben capito l’importanza della funzione del cristianesimo negli Stati Uniti, che non hanno conosciuto il processo di secolarizzazione tipico dell’Europa. Si è trovato anche a dover affrontare il doloroso problema degli abusi sessuali di alcuni membri del clero americano che hanno indebolito la Chiesa cattolica americana. Non è l’unico problema del cattolicesimo americano, che si confronta anche con la difficoltà a produrre posizioni culturali che lo qualifichino nei confronti della cultura prevalente del Paese, marcata dal protestantesimo. Del resto la crescita dei cattolici nel decennio 1990-2000 è di tutto rispetto: la comunità è aumentata del 16,2% e segue in sviluppo i mormoni, le Chiese di Cristo e le assemblee di Dio (ma si tratta di piccole realtà rispetto ai 62 milioni di cattolici). I battisti, che sono meno di 20 milioni negli USA, hanno avuto tra il 1990 e il 2000 un incremento del 4,9%. Luterani, episcopaliani, altre confessioni tradizionali hanno registrato un decremento.

Un forte apporto al cattolicesimo viene dall’emigrazione latinoamericana, come si nota in New Mexico (con più del 36% di cattolici), California (10 milioni di fedeli), Texas (4.300.000), Florida (2.500.000). Un’altra forte concentrazione di cattolici, più antica, è nel Nord-Ovest del Paese. Il grande problema del cattolicesimo nordamericano, la comunità più grande in senso relativo nel Paese, è quello di trovare un suo profilo incisivo nella vita degli Stati Uniti.

Il futuro della fede: un cristianesimo urbano
La storia del cristianesimo mostra continuità impressionanti in alcuni Paesi come in Italia, ma anche in Grecia (nonostante la lunghissima dominazione islamica). O anche in Medio Oriente e in India. Eppure Chiese importanti sono scomparse e intere regioni hanno perso le loro comunità cristiane. Questo è avvenuto nel Nord Africa di sant’Agostino che, con l’invasione islamica, ha conosciuto la fine del cristianesimo. Nel XX secolo il cristianesimo (ortodosso, armeno, cattolico, siriano, caldeo) è scomparso dall’Anatolia, divenuta Repubblica di Turchia, che ha perso i suoi cristiani le cui origini rimontavano alla predicazione apostolica e le cui Chiese erano ricordate dall’Apocalisse. Niente rende sicuri di fronte al futuro e ai suoi sconvolgimenti.

Tutto, però, lascia prevedere che il cristianesimo lungo il XXI secolo resterà una componente decisiva del paesaggio umano e religioso a livello mondiale. Se diffuso in Asia, potrà avere una funzione sociale e culturale nuova in quel continente, mentre in Occidente rappresenterà la connessione con una lunga storia

La Chiesa cattolica, con il suo miliardo di fedeli e la sua organizzazione unitaria, centralizzata ma articolata, rappresenta una globalizzazione cristiana con caratteri peculiari: un’internazionale della fede che parla di un destino comune degli uomini e dei popoli. In questo senso, una forte presenza cristiana (tendente all’unità), potrà avere nel mondo di domani un ruolo decisivo nella costruzione di una civiltà del convivere pacificamente.

Il cristianesimo del XXI secolo sta cominciando a vivere in un ambiente molto differente rispetto al passato. Dal 2006 oltre metà della popolazione mondiale vive nelle città (all’inizio del XX secolo solo il 14%). Delle dieci più grandi città del mondo, ben sei (New York, Los Angeles, Città del Messico, San Paolo, Buenos Aires, Lagos) hanno una consistente presenza cristiana, a differenza di Bombay, Tokyo, Shangai, Calcutta, dove i cristiani sono piccole minoranze. L’Asia, il continente meno cristiano, resta ancora quello con più popolazione nelle campagne (solo il 36,2% in città). L’urbanizzazione segna però la fine delle regioni caratterizzate da uniformità di appartenenza religiosa, mentre porta a una sempre più intensa convivenza tra gruppi religiosi differenti.

Il cristianesimo si svilupperà soprattutto in un ambiente urbano, in cui c’è inevitabilmente contatto tra comunità religiose differenti, coabitazione e convivenza. Per lungo tempo – si pensi a Parigi nell’Ottocento – la città è stata per il cattolicesimo il luogo meno cristiano, mentre si guardava alle campagne come alla riserva della fede tradizionale. Nel XXI secolo si afferma un cristianesimo urbano, che dovrà confrontarsi con i problemi dell’uomo e della donna nelle città.

Andrea Riccardi
ministro per la cooperazione
internazionale, ordinario di storia
contemporanea presso la Terza
università degli studi, Roma

vita pastorale luglio 2012