L’arte non è un capriccio

di Francesco Scoppola

Presso il Nobile Collegio del Cambio di Perugia presieduto da Vincenzo Ansidei, sede costruita a metà Quattrocento nel palazzo dei Priori e poi decorata dal Perugino, entro ambienti che sono una straordinaria espressione del Rinascimento, è in corso la agile, splendida mostra “Perugino e Raffaello: modelli nobili per Sassoferrato a Perugia”.
Giovanni Battista Salvi, il Sassoferrato, deriva il soprannome da un piccolo paese e da una montagna. Proviene da un luogo circondato dalle meraviglie, uno straordinario panorama geografico che non è dissimile – quanto a meraviglia che può suscitare – all’itinerario compiuto dallo stesso artista nel corso della sua vita e bastano San Pietro a Perugia e l’Aventino a Roma a mostrarlo. E ancora lo stesso può dirsi per il panorama umano, cioè per gli artisti che il Sassoferrato ha incontrato. Da suo padre Tarquinio al bolognese Domenichino, da Orazio Gentileschi a Federico Barocci, da Guido Reni a Giuseppe Cesari, il Cavalier d’Arpino, dal Correggio a Michelangelo Merisi, il Caravaggio, da Cristoforo Roncalli a Federico Zuccari, risalendo attraverso il Tempesta, il Lanfranco, il Baglione, sino all’influenza di Albrecht Dürer, Guercino e forse in qualche modo perfino il Pinturicchio.
Vi sono naturalmente poi, anzi prima ancora, e in mostra sono particolarmente evidenziate, le figure che lo hanno soprattutto e maggiormente orientato, sia pur da epoca più remota, quali appunto Raffaello in primis e Pietro Vannucci che, stando a Brandi, fece della pittura “aria e danza”: il Perugino.
A fronte di tante grazie ricevute da Salvi, tra viaggi e incontri, tra luoghi e persone, non stupisce dunque che di meraviglie questo artista ne abbia potute restituire in quantità. Tanto ha saputo offrire, malgrado sia appieno un figlio della Guerra dei trent’anni e se vogliamo, con essa, di un clima di indubbio progresso ma anche in certo modo di decadenza oscurantista, regressivo: forse insomma si tratta di un periodo non meno critico e ambivalente del nostro tempo presente. Ma a partire da queste luci e queste ombre il Sassoferrato ha saputo irradiare il Seicento, ha saputo mostrare come si possa impiegare il meglio di quanto esiste per far fronte alle immancabili difficoltà, ha saputo dare risposte alte, confermando e manifestando appieno il motivo per il quale l’arte non è un lusso né un capriccio. L’ambiente, le opere e le persone si riflettono reciprocamente l’uno nelle altre: è questo il motivo per il quale non dobbiamo risparmiarci nel difendere, proteggere e conservare la bellezza di tutti i doni ricevuti.
Si tratta infatti non solo di memorie, non solo di valori monetizzabili, non solo di testimonianze di vite vissute, non solo di prove più che prodotte superate e lasciate da alti spiriti che hanno espresso e tuttora esprimono se stessi, ma si tratta, ora – nel presente – e in futuro, di quanti le hanno tramandate e di noi stessi, del nostro destino, di tutto il meglio che in ciascuno di noi e nei nostri posteri quelle opere possono suscitare, anche se incontrate occasionalmente, perfino distrattamente, addirittura se velate dall’abitudine a quella vista. Nel loro insieme sono gli elementi costitutivi, i termini essenziali e determinanti del teatro della vita.

(©L’Osservatore Romano 25 agosto 2013)