La vocazione dell’essere catechisti

Quella del catechista è una vocazione a “essere” piuttosto che a “fare”. Per questo chi educa alla fede deve “guidare all’incontro con Gesù con la parole e con la vita, con la testimonianza”, senza aver paura di “uscire” dai propri schemi per seguire Dio, perché “Dio va sempre oltre”. Lo ha ricordato Papa Francesco ai partecipanti al congresso internazionale di catechesi, ricevuti in udienza nel pomeriggio di venerdì 27 settembre, nell’Aula Paolo VI.
Per il Pontefice essere catechisti richiede anzitutto “amore” a Gesù e al popolo di Dio. “E questo amore – ha spiegato – “non si compra nei negozi” ma “viene da Cristo” ed è “un regalo di Cristo”.
Cosa fare allora per essere buoni catechisti? “Io parlerò – ha detto – di tre cose: uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti… uno, due e tre!”. La prima cosa “è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita”. Il secondo elemento è questo “ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri”. Infine il terzo elemento “sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie”.
E quanto al modello di catechista a cui pensa il Papa è stato esplicito: “Se un cristiano esce per le strade – è l’esempio usato dal Pontefice – nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente… Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata” e “un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio per uscire, e non un catechista che studi, sappia tutto, ma chiuso”.

(©L’Osservatore Romano 29 settembre 2013)

 

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