La teologia batte la crisi

L’associazione teologica italiana (Ati) è tornata nella sua città natale, Napoli, per il suo 27° congresso nazionale che si è aperto lunedì e si chiude oggi presso gli ampi spazio del Pontificio Seminario campano interregionale. L’Ati nacque infatti nel gennaio del 1967 nel corso di un incontro presso la Casa di esercizi Sant’Ignazio a Cappella Cangiani dall’idea di due gesuiti professori alla Gregoriana, l’italiano Maurizio Flick e l’ungherese Zoltan Alszeghy. E un legame visibile con la Compagnia di Gesù è rimasto nella collaborazione dell’Ati alla Rivista di Teologia, edita dalla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Luigi, quella dei gesuiti appunto. «Fare teologia. Per questo mondo, per questo tempo» è il tema dell’appuntamento di questo anno, che è stato anche un’occasione per fare il punto sulla situazione italiana, dopo 18 mesi così complicati – anche con un contributo a sorpresa, la visita ieri dell’arcivescovo Mimmo Battaglia. «L’Ati attualmente ha 224 membri, uomini e donne, qualcuno dall’estero – spiega il suo presidente don Riccardo Battocchio, della diocesi di Padova ma oggi rettore dell’Almo Collegio Capranica a Roma – 25 sono entrati negli ultimi due anni, quindi un numero incoraggiante. Il che corrisponde a quello che si constata fuori dall’associazione. Nonostante il calo della partecipazione alle vita della comunità, alla Messa domenicale, non si registra un calo proporzionale degli iscritti agli Istituti superiori di scienze religiose o alle Facoltà di teologia. C’è un calo, ma minore. Di teologia poi si scrive e si legge nei luoghi più diversi, su Internet ma non solo, e un argomento affrontato in queste giornate a Napoli è stato proprio come la teologia accademica si può confrontare con questo interesse diffuso che si esprime attraverso una proliferazione di iniziative».

Per quanto riguarda invece un altro tipo di proliferazione che porta piuttosto a una dispersione, quello delle numerose istituzioni formative di teologia sul territorio, don Battocchio ricorda che «è in atto con fatica un ripensamento, a livello Cei c’è un tentativo di creare collegamenti, poi negli anni scorsi c’è stata una riduzione sensibile degli Istituti superiori di scienze religiose. È poi in corso una revisione degli Istituti teologici legati ai seminari in modo che le facoltà teologiche siano soggetti più stabili e robusti, dal punto di vista della sostenibilità economica e del personale docente. Un problema rilevante è che chi non appartiene al clero o non è magari un insegnante di religione fa fatica a insegnare stabilmente in una facoltà teologica, per motivi economici. Magari c’è un laico che ha ottime competenze e qualità ma la facoltà teologica non ha i soldi per assumerlo».

L’attenzione al contesto, dove fare teologia oggi, il suo carattere pubblico, il metodo, sono temi che hanno caratterizzato il dibattito di questi giorni. In riferimento alla pandemia, altro tema ineludibile pensando al presente, don Battocchio nel suo intervento introduttivo ha raccontato che nell’ultimo anno e mezzo gli è stato chiesto in alcune occasione che cosa l’Ati avesse da dire in proposito. Ricordando che il lavoro dell’associazione si situa su un altro piano, lo ha poi illustrato così: «Nel racconto Due vite di Emanuele Trevi, vincitore del Premio Strega 2021, a un certo punto fa capolino la teologia “nell’unico modo in cui l’immaginazione di un uomo d’oggi può praticarla, cioè realizzando la perfetta, ineluttabile identità del divino e del patologico”. L’idea viene da James Hillman, per il quale gli dei degli antichi sono diventati oggi malattie. Noi, qui, crediamo di poter immaginare, grazie alla testimonianza biblica, una teologia che non nega il rapporto fra il divino e la malattia, riconoscendo però la pienezza del divino e dell’umano in colui che “ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie” ( Mt 8,17). Abbiamo anche la consapevolezza che questa teologia, quella che cerca di corrispondere al farsi carico da parte di Dio della nostra condizione umana “malsicura e barcollante”, sia un bene da offrire a questo mondo, in questo tempo».

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