La storia. Senza più braccia né gambe, aiuta a trovare l’autostima

Sechi, con Erika.

Sechi, con Erika.

«Come mi hanno accolto alla nascita? Come un fulmine a ciel sereno». Non agitava gambine e braccine, Massimiliano Sechi, venuto al mondo in Sardegna nel dicembre di 31 anni fa, perché era nato senza. «Dalle ecografie nessuno si era accorto di nulla. Toccò al quarto ginecologo vedere, a poche settimane dal parto, che non avevo braccia e gambe e lo rivelò a mio padre, che se lo tenne per sè. A mia madre lo dissero dopo il cesareo: aveva un figlio focomelico».

Qualcuno ha tirato in ballo Chernobyl, qualcun altro un virus nella placenta, Massimiliano ha una sola spiegazione: «Niente accade per caso e io mi sono scelto il corpo giusto per portare avanti la mia missione». Non è stato facile, anzi, dal primo vagito la sua vita è stata tutta una conquista strappata con caparbia, tra anni di depressione e paura di una diversità tanto estrema, ma oggi Sechi mette la sua storia straordinaria al servizio degli altri, e della forte disabilità ha fatto la sua grande risorsa: «Dal 2015 faccio il life&business coach per privati e per aziende», in pratica aiuta le persone a trovare in se stesse la carica per vivere, l’autostima, i talenti. «La parola motivatore non mi piace – spiega – perché io posso darti l’energia che ti mette in moto all’inizio, ma poi la motivazione puoi trovarla solo dentro di te. Altrimenti si crea dipendenza, invece ognuno è il più grande maestro di se stesso. Purché non cerchi scuse».

E Massimiliano, che di scuse ne avrebbe avute mille, fin dalla nascita invece ha sfoderato una marcia in più rispetto agli altri neonati, immediatamente motivato dai suoi genitori a crescere il più autonomo possibile. A sei mesi mangiava già da solo, a pochi anni si lavava e smanettava sul computer, anche se le mani non le aveva. Arrabbiato con la vita, ancora lontano dalla serenità conquistata da adulto, cresceva ribelle, «i miei genitori mi facevano indossare le protesi a gambe e braccia perché camminassi come tutti anziché sulla carrozzina elettrica, ma se mi si sfilavano avevo bisogno di aiuto e per questo le odiavo: ma come, mi avevano tanto abituato ad essere autonomo e poi mi ponevano un limite esterno? Non potevo accettarlo».

Così a 14 anni, quando padre e madre si separano, Massimiliano butta via le protesi. Cade anche in anni di profonda depressione, ma ancora una volta la fragilità diventa risorsa: «Con il tempo scoprii che, se rinunciavo agli alibi, potevo trasformare la mia esistenza. Buttai via anche gli antidepressivi e decisi che avrei lavorato su di me».

Nel mondo dei videogiochi diventa così abile che nel 2013 vince il titolo di campione del mondo e da allora ‘No excuses’ (niente scuse) non è solo il suo motto, è uno stile di vita, e anche il nome del movimento che ha fondato e che su Facebook raccoglie oltre 221mila iscritti. I video postati sui social mostrano Massimiliano che si lava i denti o nuota in piscina, si getta sulla sabbia a parare un gol o si allena duro in palestra, scrive al computer o infuoca le platee che lo applaudono. Guida anche l’automobile, con la spalla destra accelera e frena, con la spalla sinistra gira lo sterzo, ciò che ha della gamba sinistra gli basta per frecce, tergicristallo e tutto il resto… Se ce l’ha fatta lui allora tutto diventa possibile, è il pensiero del pubblico che affolla i suoi incontri, ed è proprio questa la missione che Sechi si è dato: «Aiutare le persone a capire che, a prescindere da ciò che ti accade, se non cerchi alibi c’è sempre un motivo per essere felici. Ci complichiamo tanto la vita, ma i cambiamenti più grandi partono dalla semplicità, è importan- te capire che ogni accadimento ha un suo scopo, anche ciò che apparentemente è una disgrazia. Persino una perdita diventa un punto di forza se sei in grado di trasformare il dolore».

Ne sanno qualcosa Massimiliano ed Erika, che a marzo hanno perso il loro primo bambino al nono mese, «è nato senza vita e non sappiamo il perché, io in quei giorni non rispondevo più al telefono perché tutti i nostri amici piangevano e noi non volevamo prenderla così, l’anima di nostro figlio esiste per sempre, non è la morte ad essere brutta ma come noi la vediamo». Erika, 30 anni, lo contattò la prima volta su Facebook per ringraziarlo dopo aver visto un suo video, da allora continuarono a scriversi per un anno, finché si incontrarono e non si lasciarono più. Sarà al suo fianco anche a luglio e agosto sulle piazze d’Italia nel tour ‘No excuses’ (www.massimilianosechi.com), nato per dimostrare agli scontenti che la vita è bella anche in un corpo dimezzato e l’essere felici dipende da tutto fuorché dal tuo aspetto fisico.

«Io mi racconto e in questo modo do alle persone gli strumenti per vedere le cose in maniera diversa». Così le nostre domande – i genitori di Erika non hanno avuto nulla da ridire? gli amici non si sono stupiti? nessuno timore per il vostro futuro? – appaiono improvvisamente limitate: «Queste domande mi fanno riflettere, capisco quanta strada c’è ancora da fare… Ancora si può pensare che conti qualcosa il numero di gambe e braccia? Oggi c’è una tale superficialità che la gente non ce la fa più e va in cerca di qualcosa di vero… chi non ascolta la parte profonda di sé prende gli antidepressivi, gli altri prendono in mano la propria vita». I suoi genitori hanno sempre giurato che, se anche il ginecologo avesse scoperto in tempo la focomelia, non lo avrebbero mai abortito… «Non so se è vero, col senno di poi è facile dirlo. Ciò che so è che la vita va sempre onorata, accolta, valorizzata a prescindere dall’aspetto fisico. Guardatemi, io ne sono la prova vivente».

da Avvenire