La storia. Il vecchio malato, l’ambulanza e un desiderio così umano di rivedere il mare

Erano venuti a prenderlo. In barella, l’ossigeno per alleviare la fatica del respiro, aveva lasciato la sua casa di Carrara. 88 anni, malato, il signor G. doveva essere ricoverato in ospedale in Piemonte, dove vivono i suoi figli. Sapeva che andare era necessario e inevitabile. Ma quanti pensieri e ricordi devono incrociarsi nella mente di un uomo, che teme di non tornare nella sua casa. L’ambulanza era partita, diretta verso l’ingresso dell’autostrada.

Una foto tratta dal profilo facebook della Croce Rossa di Ivrea

Una foto tratta dal profilo facebook della Croce Rossa di Ivrea

Dalla barella il vecchio non vedeva niente ma sapeva bene quali paesi, quali paesaggi attraversava. Improvvisamente si fa largo nel suo cuore una domanda, così impellente che non la può trattenere: “Scusate, potremmo fermarci un momento? Vorrei vedere per un’ultima volta il mare”.I volontari della Croce Rossa di Ivrea si guardano in faccia, tacciono un momento. L’ambulanza è attesa nell’ospedale piemontese. Ma è così limpido, toccante il desiderio del vecchio malato, che acconsentono. La lettiga ora gira e scende verso la costa di Massa. Un cielo di nuvole e sole, la spiaggia a poche centinaia di metri. Non c’è nessuno. L’autista si avvicina più che può, a pochi passi dall’acqua. I ragazzi delle Croce Rossa scaricano la barella sulla sabbia e il signor G. contempla, zitto, un mare azzurro e calmo, settembrino.

Il post della Cri

Il post della Cri

Dalla foto postata dalla Croce Rosse Ivrea su Facebook, pare di indovinargli in faccia un accenno di sorriso. Che cos’è il mare, per un uomo che ci è nato davanti? E’ l’eco ancora della voce della madre che lo tiene per mano mentre lui, piccolissimo, vorrebbe sporgersi e quasi mangiare quel vasto blu che lo incanta. È il laborioso scavare con palette nella sabbia, riempire secchielli, costruire castelli – che un’onda a sera farà scomparire. È i primi tuffi, alla fine della scuola, con i compagni, nell’acqua che ancora morde, fredda. Il mare, per chi gli ha passato la vita accanto, è le luci delle barche dei pescatori al largo nella notte, piccole e ardenti nella vastità oscura. E’ la ferocia delle onde delle mareggiate e, il mattino dopo, quello stesso mare tornato così calmo e limpido, innocente.

E forse al signor G. tornano in mente anche le sere dei vent’anni con gli amici in riva al mare, a cantare, e quelle poi con lei, da soli, zitti, vicini. Con il mare a guardarli, possente e uguale. Poi la stagione dei bambini, nuovi bambini cui si intima di non bagnarsi prima delle 10 e mezza, e quelli ansiosi, i piedi già in acqua; nuovi bambini, altri castelli che si alzano e si sciolgono, e al mattino non ce ne è più traccia.

“Vi ringrazio, andiamo”, avrà detto allora l’altra mattina il signor G., inspirando coi polmoni un’ultima boccata di quell’aria che sa di sale e di vento. E l’ambulanza è ripartita verso l’ospedale in Piemonte. Bel gesto, di piena umanità, quello dei giovani della Croce Rossa, educati giustamente a non perdere tempo. Ma era talmente umano, e quasi infantile, quel sommesso”possiamo fermarci un momento?”, che loro, sessant’anni forse di meno, hanno capito.

Anche loro hanno fatto castelli e giocato a saltare le onde, e atteso il sole rosso che nei tramonti d’estate sprofonda, lento, nella linea dell’orizzonte, sancendo che un altro giorno è finito. Quel mare compagno di giochi e di fatica, di vita e morte di generazioni di uomini e bambini. Non si può, si devono essere detti i volontari, andarsene senza salutarlo, un amico così.

Avvenire