La storia. Adozione, miracolo in Burundi

Quattro famiglie (tre pugliesi e una veneta) dopo aver incontrato il proprio figlio adottivo nel Paese africano, hanno costruito un orfanotrofio nella capitale Gitega e ora stanno realizzando un asilo
Le famiglie Dioguardi, Paciletti, Germinario e Semeraro con i loro figli naturali e adottivi

Le famiglie Dioguardi, Paciletti, Germinario e Semeraro con i loro figli naturali e adottivi – .

Avvenire

Onlus 4 Inzu. Perché quattro? Un mistero a due facce. «Quattro, per noi è il numero perfetto. Quattro famiglie, quattro case, quattro città, quattro bambini, quattro anni di attesa». E inzu? «In lingua kirundi, quella che si parla in Burundi, vuol dire sia casa, sia famiglia». Svelata la prima faccia del mistero. L’altra parte è invece più complessa. Non riguarda solo i numeri ma il cuore e la ragione. Bisognerebbe cioè scoprire cosa spinge quattro famiglie adottive a dire ‘non basta ancora’. Ma come? Dopo quattro anni di battaglie in cui tutti e quattro i nuclei familiari sono riusciti a superare grovigli burocratici impegnativi e densi di sofferenza si potrebbe dire di aver raggiunto il traguardo prefissato, quello di regalare un futuro più sereno a un bambino sfortunato. Si potrebbe dire di aver assolto il proprio debito con il bene da compiere. E invece no, ‘non basta ancora’. Se lo sono detti insieme, guardandosi negli occhi, quattro coppie italiane.

Bambini africani nel nuovo orfanotrofio in Burundi

Bambini africani nel nuovo orfanotrofio in Burundi – .

Nel maggio 2017 erano in Burundi, nella capitale Gitega nell’orfanotrofio di Leopold, che accoglieva e accoglie tuttora alcune decine di bambini. Per le quattro coppie italiane, tre pugliesi e una veneta, la fine di un cammino tormentato partito quattro anni prima. La fine? No, forse l’inizio. Perché da quel momento, arrivati a quello che sembrava un traguardo, abbracciare cioè quel bambino che attendevano da quattro anni, è partita una nuova avventura. Regalare un futuro migliore anche alle altre decine di piccoli che non sarebbero tornati in Italia con loro, che sarebbero rimasti all’orfanotrofio di quella città polverosa e caotica. E le quattro famiglie ce l’hanno fatta. Da sole, senza aiuti pubblici, senza clamori, contando soltanto sul loro impegno e all’aiuto di alcune migliaia di nuovi amici a cui hanno semplicemente raccontato: «Vogliamo costruire un orfanotrofio in Burundi». Un passo indietro. Racconta Maria Giovanna Galluzzi, una delle quattro mamme coraggio – e papà – di questa storia. «A Gitega la situazione era disastrosa.

L’orfanotrofio in realtà non aveva una sede, c’erano più o meno trenta bambini che si spostavano di casa in casa, sperando nell’accoglienza di qualcuno un po’ meno povero di loro». Edifici fatiscenti, bambini che dormivano in tre o quattro nello stesso letto, non c’erano tavoli, mangiavano per terra, c’era chi cucinava per loro con una stufa a carbone. Un po’ di riso, un po’ di legumi. Contenti di quell’unico pasto quotidiano. Aiuti pub- blici? «Nessuno, lo Stato del Burundi è troppo povero, tiravano grazie alla solidarietà della tribù, secondo un concetto di aiuto reciproco che permette la sopravvivenza, quando la permette, ma non può offrire altro». Eppure anche grazie agli sforzi di Leopold, il direttore dell’orfanotrofio, anche lui ex ragazzo orfano che a 18 anni ha deciso di mettere in piedi un orfanotrofio itinerante, i poverissimi di Gitega tirano avanti. Leopold ha costruito un forno per il pane. Basta per loro e con il ricavato di quello venduto, si riesce a non morire di fame. Ma per quando? Se lo chiedono anche i genitori italiani. Arrivano da Martina Franca, Rutigliano, Canosa di Pu- glia e Vicenza. Nessuno di loro è mi- liardario. Ma insieme decidono di non potersene tornare in Italia così. Come se non avessero visto niente, come se lo sguardo di quei trenta piccoli destinati a rimanere in Burundi non si fossero impressi dentro di loro. Chiamano Leopold e annunciano quello che hanno pensato: «Ti aiuteremo a costruire un nuovo orfanotrofio». Chissà com’era contento. «Macché, ci ha guardato dicendo ‘i soliti italiani’. Ne aveva sentite tante di promesse dagli genitori adottivi che si erano portati via uno dei ‘suoi’ bambini». Ma le famiglie Dioguardi, Paciletti, Germinario e Semeraro fanno sul serio.

Bambini africani nel nuovo orfanotrofio in Burundi

Bambini africani nel nuovo orfanotrofio in Burundi – .

Appena tornati in Italia fondano una onlus che chiamano appunto ‘4 Inzu’ e, già nel settembre 2017, si attivano per raccogliere fondi. Prima lo raccontano a parenti e amici, poi grazie al web e ai social allargano i loro obiettivi. Organizzano anche tornei, feste, gare sportive. E, come tutti i buoni alberi, anche questo comincia a produrre buoni frutti. Arrivano le prime sottoscrizioni. Quindicimila euro. Abbastanza per acquistare un terreno a Gitega. Una collina dove arriva una delle poche strade asfaltate della zona. Ma per risolvere il problema della pendenza bisogna terrazzarlo. Altri diecimila euro. E anche questi si trovano. Dal settembre 2017 al maggio 2018 ecco il miracolo. Uno dei quattro papà di quest’avventura, ingegnere ambienta-lista, decide di edificare l’orfanotrofio con moduli prefabbricati di 120 metri quadrati ciascuno. Costano 45mila. Piano piano aiuti insperati consentono di realizzare anche questo traguardo.


I genitori avevano atteso quattro anni prima di realizzare il loro sogno, superando non poche traversie burocratiche. Ma dopo aver visto la realtà africana hanno deciso di non fermarsi e sono riusciti a mettere in piedi un’opera straordinaria Nella foto in alto le famiglie Dioguardi, Paciletti, Germinario e Semeraro con i loro figli naturali e adottivi. Qui a fianco e a centro pagina bambini africani nel nuovo orfanotrofio in Burundi


Una coppia per festeggiare i 50 anni di matrimonio dona 25mila euro. Nell’estate del 2018 la prima parte dell’edificio è in piedi. I bambini dormono finalmente con un tetto solido sopra la testa, in lettini nuovi costruiti da artigiani locali. Perché tra le decisione delle famiglie di Onlus 4 Inzu c’è anche quella di sostenere il lavoro del territorio. A giugno di quest’anno è stato completato il secondo modulo e, naturalmente, si punta al terzo. «Stiamo pensando anche a un asilo perché l’unica scuola della zona è sotto un tendone. Abbiamo già commissionato banchi e sedie. Il sindaco e le autorità locali ci incoraggiano. Difficile? Sì, ma la ce la faremo». E con quali soldi? «A causa del lockdown tutta le iniziative di raccolta si sono fermate ma noi abbiano confezionato e venduto migliaia di mascherine cucite con stoffe burundesi acquistate durante l’ultimo viaggio. Bellissime. E con il ricavato abbiamo cominciato ad acquistare i tavoli ». Basta così? Non ancora. Ora stiano realizzando un muro di recinzione, e poi ci sono le medicine da acquistare e tutto quanto d’altro serve ai bambini. Cosa, in pratica? «Tutto». Il sogno continua. Con la solidarietà da moltiplicare per quattro più quattro, più quattro…