La riforma della Chiesa tra Rosmini e papa Francesco

Si concludono sabato 25 marzo a Rovereto le «Giornate con Rosmini» che, in occasione dei duecentovent’anni della nascita – il 24 marzo 1797 – hanno riacceso i riflettori sulla sua figura nella terra natale. La convinzione di chi ha organizzato gli eventi e di quanti vi hanno partecipato è che, benché sbalzata da un quadro che va dagli anni napoleonici al Piemonte cavouriano, possa ancora oggi costituire un punto di riferimento.

Se per Fulvio de Giorgi, direttore del «Centro di studi e ricerche Antonio Rosmini» (che lunedì scorso 20 marzo ha inaugurato la nutrita serie di iniziative sin qui succedutesi tra conferenze e visite, mostre e concerti), il pensatore roveretano per la Chiesa cattolica «è stato un anticonformista che ha spinto verso il superamento della stagione dell’ intransigentismo e dell’opposizione al moderno, favorendo un’apertura che lo iscrive tra i precursori del Vaticano II, senza dimenticarne il ruolo come maestro di spiritualità e di pedagogia»), non pochi elementi si collocano proprio dentro questa cornice, a indicarci – se così si può dire – l’attualità di Rosmini. Che emerge dalla sua riflessione teologica, antropologica, ecclesiale: con la teologia «della carità» vista anche come integrazione – correzione della tradizionale teologia «della fede»; con lo sguardo sull’uomo teso a recuperarne l’«interezza» comprensiva dell’apertura alla comunione con Dio; con la sua diagnosi della situazione della Chiesa del suo tempo, ma capace di rivelarci il suo concetto di popolo di Dio nella luce del Vangelo.

Linee fondamentali alle quali si salda pure una serie di temi sempre attuali: dalla formazione del clero al rapporto della Chiesa con la sua ricchezza, solo per fare due esempi. Insomma un’eredità ancora viva quella dell’autore che a metà dell’’800 vide finire nell’«Indice dei libri proibiti» le sue opere «Delle cinque piaghe della santa Chiesa» e «Dalla Costituzione secondo la giustizia sociale», poi riabilitato dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, che, eletto papa, lo ha beatificato nel 2007.

Restando in tema di pontefici, va ricordata la stima nei confronti di Rosmini da parte di Giovanni XXIII (che usò le rosminiane «Massime di perfezione cristiana» per le sue meditazioni).

Come pure quella di Paolo VI e Giovanni Paolo I (questi, che pure nel 1947 ne aveva preso le distanze nella sua tesi di laurea sull’origine dell’anima umana in Rosmini, non nascose di volersene occupare nel breve pontificato al fine di revocarne le condanne). Per non parlare di Giovanni Paolo II che annoverava il roveretano «tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio» (e non a caso è durante il pontificato di Wojtyla che il pensiero rosminiano viene liberato dalle condanne).

E papa Francesco? Sabato 25 marzo a Rovereto, con una lectio magistralis che chiude le «giornate rosminiane», interviene Kurt Appel. E il titolo dell’incontro presieduto da Carlo Brentari è proprio: «La riforma della Chiesa tra Rosmini e papa Francesco». Se è vero che sin qui le citazioni documentabili di Rosmini in Bergoglio non sono certo molte, se è vero che l’attuale pontefice non sembra un rosminista, è altrettanto vero che il Rosmini spirituale e pastorale, quello della riforma della Chiesa al soffio creativo dello Spirito, proprio quello delle «Cinque Piaghe», è pur entrato nel magistero di papa Francesco. E qui può essere utile mettere in rilievo il fatto che Papa Bergoglio si riallaccia in molti modi alle diagnosi e alle proposte di riforma di Rosmini, a partire dalle sue tesi sulla conduzione economica della Chiesa e sulla collegialità dei vescovi per arrivare alla sua critica al clericalismo.

Ne è convinto anche Kurt Appel che sabato 25 marzo si propone l’obiettivo di «trasporre la diagnosi di Rosmini alla situazione attuale e di cercare di proporre un’analisi critica della situazione della Chiesa cattolica nell’odierno mondo globalizzato». Per far questo evidenzierà in modo particolare «la crescente lontananza culturale dal Vangelo, ovvero la crescente incapacità di tradurre la forza del Vangelo in risposte concrete e feconde alle questioni e alle necessità della cultura e della società di oggi».

Con un passaggio ulteriore, Appel, che insegna Teologia fondamentale presso la Katholisch-Theologische Fakultät dell’Università di Vienna, cercherà poi di dare rilievo ai segni di speranza, alle riforme e alle indicazioni per il futuro che provengono da papa Francesco e con i quali il vescovo di Roma vuole contribuire a guidare una Chiesa libera, povera e per i poveri. Quella che voleva anche Rosmini, laddove, nelle Cinque Piaghe scriveva: «Forse che in certe nazioni si avrebbe salvato il Cattolicesimo dal suo naufragio, sgravandolo a tempo dalle ricchezze mal usate, che il facevano pericolare; a quel modo che si alleggerisce una nave in furiosa tempesta, col gitto in mare delle cose anche più preziose e più care, acciocché si salvi il legno colle vite de’ naviganti. […] Ma in che parte troveremo un Clero immensamente ricco, che abbia il coraggio di farsi povero? o che pur solo abbia il lume dell’intelletto non appannato a vedere che è scoccata l’ora in cui l’impoverire la Chiesa è un salvarla?».

vaticaninsider