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La riflessione. Quel dialogo paziente che non fa notizia e cambia la vita e la storia

Così come amare, pure dialogare spinge a fare i conti con la realtà mettendo a rischio le nostre sicurezze ed esponendoci alle delusioni. Richiede ascolto, pretende impegno e non fa stare tranquilli
Papa Francesco e Ahmed el-Tayeb, grande imam di al-Azhar, firmano la dichiarazione di Abu Dhabi, nel 2019

Papa Francesco e Ahmed el-Tayeb, grande imam di al-Azhar, firmano la dichiarazione di Abu Dhabi, nel 2019 – Fotogramma / Vatican Media

“Per un giornalismo della fratellanza” è il tema della riflessione proposta da “L’Osservatore Romano” in occasione dei suoi 160 anni. Ispirata all’enciclica di papa Francesco, ha visto i contributi, oltre a quello del direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio (uscito col titolo Quel dialogo paziente che cambia la vita e la storia e che qui proponiamo), di altri autorevoli esponenti del mondo dell’informazione su temi specifici: Come la tenda di Abramo aperta su tutti i lati di Maurizio Molinari, direttore di “La Repubblica”; Uno schiaffo per pensare anche contro noi stessi di Jérôme Fenoglio e Jérôme Gautheret di “Le Monde”; Gettare il cuore oltre l’ostacolo di Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione; Insegnare l’accoglienza per capire chi siamo di Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”; Servire la società con una realtà distillata di Javier Moreno, direttore di “El Pais”; Storie di strada e di riscatto sociale di Stefano Lampertico, direttore di “Scarp de’ tenis”; Quando gli occhi dei grandi sono rivolti altrove di Reinaldo José Lopes, di “Folha de S. Paulo”; La voce delle macchine e diritto alla verità di Gianni Riotta; Salvare la Terra attraverso la comunicazione di Albert Mianzoukouta, direttore de “La Semaine Africaine”; Oltre la pandemia cosa abbiamo compreso? di Luciano Fontana, direttore del “Corriere della Sera”.

“Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto”. (Papa Francesco, Fratelli tutti, 198)

Dialogo è, letteralmente, Parola-tra-di-noi. Ed è tutto ciò che di buono e di bello e di vero accade quando questa Parola-ponte viene incontrata, presa sul serio, attraversata e condivisa. Nessuno meglio dei cristiani dovrebbe saperlo. Nessuno come i cristiani dovrebbe spendersi per renderlo chiaro a tutti. E nessuno con più passione dei cristiani dovrebbe cercare il dialogo. Perché cercarlo significa cercare di star dietro a Gesù Cristo.

La Parola-tra-di-noi è Cristo, e ogni volta che noi che crediamo in Lui pronunciamo quel nome dovremmo ricordarci che non stiamo dichiarando guerra al mondo, ma stiamo facendo qualcosa di più grande, di più difficile e perciò di più coraggioso: gli stiamo dicendo pace. Ogni volta che pronunciamo il nome del Figlio che ci è stato dato, che è nome di Dio ed è Dio in persona, anche se non sempre ne siamo all’altezza e spesso non ce ne rendiamo neppure pienamente conto, pur se non siamo perfetti, pur se rimaniamo contraddittori, stiamo rinnovando una promessa. E questa promessa, sebbene qualcuno pensi il contrario e arrivi a pensare Cristo e la sua croce come a una bandiera posta in cima a un “muro”, è promessa di fedeltà al dialogo e di rinuncia al diavolo, cioè di rinuncia alla logica della divisione, della calunnia reciproca, dell’incomunicabilità, della disperazione e del tradimento di Dio e dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in umanità.

Buoni maestri mi hanno aiutato a capirlo sin da ragazzo, nella mia Assisi, e ancora oggi non finisco di impararlo, facendo il mio mestiere di giornalista: senza dialogo, senza la niente affatto facile comprensione del limite proprio e di quello dell’altro e senza la fede paziente nella Parola-tra-di-noi, le nostre parole si svuotano o, al contrario, si gonfiano ed esplodono, le anime di ammalano e per la nostra umanità non c’è gioia e non c’è salvezza e troppe volte c’è dolore e c’è vergogna.

Ci vuole fede, ho scritto. E fede nella Parola che è Cristo. Ma per dirlo al mondo basta anche solo un pensiero. Ed è un pensiero che può accomunare persone di diverse fedi e di diverse convinzioni, ma di stessa onestà. Il Papa – nella Fratelli tutti, che proprio come la Laudato si’ è una lettera rivolta all’intera umanità, non soltanto ai cattolici– questo pensiero ci aiuta a formularlo in modo semplicemente efficace: “Basta pensare come sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose…”. È un pensiero che ha due pregi: il realismo di chi vede e non nasconde il peso del male e la gratitudine per chi fa la propria parte di bene con fiducia e senza lesinare energie.

È così: il dialogo che riunisce ha bisogno di persone che sappiano essere realiste e grate per ogni passo che facciamo gli uni verso gli altri e, insieme, verso un mondo dove si possa “vivere meglio”. E se tutto questo avviene con tale discrezione da sembrare ordinario e da apparire persino scontato e banale, tale cioè da “non fare notizia”, è meglio avere occhi buoni per valutarlo a dovere e per non farci incantare e mortificare da una devastante illusione ottica, da un miraggio amaro e demotivante.

Se il mondo fosse quello che viene raccontato con ossessiva frequenza sulle prime pagine dei giornali, in cima ai notiziari online e nei titoli di testa di telegiornali e radiogiornali, sarebbe finito da un pezzo. E invece il mondo non è finito, nonostante gli errori e gli orrori di cui l’umanità è stata ed è ancora capace. E non finisce perché violenza, presunzione e indifferenza sono tenute a bada e persino convertite dalla tenacia di bene che porta un’infinità di uomini e di donne di ogni età e di ogni condizione sociale a fare ogni santo giorno la cosa giusta, magari piccola, ma potente. Sì, c’è tanta gente che, magari sbagliando qualcosa, ma capendo ciò che conta davvero, continua a fare la cosa giusta. Fa la cosa giusta nella propria famiglia, nella comunità di cui è parte, nei luoghi normali o “eroici” dove presta la propria intelligenza e compie la propria opera, nel dialogo senza pretese (ma con cuore e ragione) che unisce agli altri e, se si crede (ma chi sa dialogare, che lo dichiari o meno, sa credere) unisce a Dio. E ci sono persino giornali che continuano a considerare tutto questo notizia e notizia da prima pagina. Per questo il dialogo va avanti, anche in un tempo in cui i falsi profeti dell’inesorabile “scontro di civiltà” e dell’apartheid etnico-religioso vorrebbero che ci infilassimo tutti in nuove armature digitali (e non solo) per darci battaglia come all’ultimo respiro, senza nemmeno provare ad ascoltarci, capirci, intenderci e lavorare insieme per il bene necessario e possibile.

Tuttavia quel bene è reale. E, illuminato e reso per sempre esplicito dalla Parola-tra-di-noi che è Cristo, ci rassicura e ci sprona a non rassegnarci al male che vediamo e neppure al piccolo o grande male che possiamo aver commesso. C’è una misericordia che supera ogni nostra attesa e persino i nostri meriti. Ma c’è un pezzetto di “risalita” che ci spetta e che possiamo fare soltanto noi, e se lo facciamo, se ce la facciamo, se non lo facciamo da soli e solo per noi stessi, ma in dialogo-cordata con altri, che fanno la stessa fatica e, magari, hanno la nostra stessa gioia del Vangelo o una speranza che almeno un po’ le somiglia, beh, allora questo cambia profondamente la realtà. È questo che dà più forza e direzione alla nostra personale responsabilità, facendola diventare molto più di una cieca disciplina o di una opzione considerata a tavolino. È questo che la nostra responsabilità conferma. Al pari dei grandi esempi, come quello offerto da papa Francesco e Ahmad al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar, con l’elaborazione, la condivisione e la firma ad Abu Dhabi del Documento sulla Fratellanza umana, per la pace mondiale e la convivenza comune.

Il dialogo, in fondo e per principio, è uno strumento dell’amore, e quindi esiste e si realizza se sentiamo che intorno a noi c’è qualcuno e qualcosa di importante, così importante da volerci avere a che fare, da guardarlo in faccia, da starci in relazione, da fidarcene e da volerlo custodire, da ascoltarlo sul serio. Ascoltare è davvero una grande prova d’amore e d’amicizia, soprattutto oggi, nel frastuono dei troppi soliloqui di (apparente) successo. Senza ascolto, infatti, non c’è dialogo né con le persone né con il Creato. Dialogare, così come amare, spinge invece a fare i conti con la realtà, anche se non è comodo, anche se mette a rischio le sicurezze e alla prova la buona fede, anche se costringe a tenere aperte non solo le orecchie, ma pure gli occhi. Insomma, dialogare non fa stare tranquilli.

Detto così, può sembrare una cosa brutta e potenzialmente triste. Un po’ è vero, perché non esiste una polizza assicurativa contro le delusioni e le amarezze quando ci si apre all’incontro e al dialogo, ma l’inquietudine è una cosa bella e sana. Pensiamoci: ingiustizia e mala-vita prosperano, insidiano e sfregiano la società umana e la nostra “casa comune” e portano la guerra (anche senza dichiararlo) quando ci acquietiamo, quando nel cuore sentiamo solo le nostre ragioni e i nostri problemi, quando ci convinciamo che il mondo è in pace se noi siamo in pace.

Ecco, il dialogo, la Parola-tra-di-noi che dà luce e senso alle nostre parole reciproche, è la premessa e la promessa della vera pace. Che è tale solo se fondata sui quattro pilastri (giustizia, libertà, amore e verità) indicati dalla Pacem in terris. Altrimenti è solo temporanea assenza di guerra, o guerra condotta con mezzi più subdoli, ma non meno feroci.

Avvenire

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Tags: dialogo , religioni

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