La Rete dei Viandanti e la lettera aperta alla «Chiesa che è in Italia»

Una celebrazione eucaristica e, a destra, la teologa Marinella Perroni (foto S. DESARMAUX/GODONG/CORBIS).

Una celebrazione eucaristica e, a destra, la teologa Marinella Perroni (foto S. DESARMAUX/GODONG/CORBIS).

Un centinaio di persone si sono riunite il 16 marzo al Centro San Fedele di Milano per la presentazione della Lettera alla Chiesa che è in Italia, un ampio documento elaborato, con un lavoro di «scrittura collettiva» durato un anno, dalla Rete dei Viandanti. La sigla, che riunisce 22 gruppi, associazioni e comunità, principalmente del Centro-nord (dal Chiccodisenape di Torino al Gallo di Genova, dalla Lettera alla Chiesa fiorentina al Filo di Napoli), è nata nel 2011 per «collegare e dare visibilità a realtà locali che perseguono un modello di Chiesa più partecipata e sinodale, favorire la crescita di un laicato adulto e contribuire alla nascita di un’opinione pubblica nella Chiesa italiana».

Fulvio de Giorgi ha sintetizzato i contenuti del testo, con cui ha dialogato criticamente la teologa Marinella Perroni, che ne ha rilevato la solidità e la densità, domandandosi però se la prospettiva di una «riforma» della Chiesa possa parlare oggi a giovani che dell’istituzione ecclesiastica sembrano fare tranquillamente a meno.

La Lettera, infatti, evocando il cinquantesimo anniversario del Vaticano II, sostiene la necessità di riprendere lo spirito del Concilio per passare «da una Chiesa centrata su se stessa a una Chiesa centrata sul servizio del Regno dato ai poveri», dalla preminente sacramentalizzazione al primato dell’evangelizzazione, dal clericalismo alla corresponsabilità di tutti i battezzati, dall’improvvisazione individualistica a una pastorale progettuale e contestualizzata, dall’attivismo alla «sapienza della croce come misura della propria efficacia». Emblematica e riassuntiva delle trasformazioni auspicate è ritenuta la «questione femminile » nella Chiesa, a proposito della quale da una parte si chiede di rivedere una lunga prassi di svalutazione della donna nella vita ecclesiale e di esclusione dai ministeri ordinati e, dall’altra parte, si ricordano importanti contributi offerti nel post-Concilio da bibliste e teologhe a proposito dell’immagine materna e paterna di Dio o della possibilità di «letture di genere» che gettano nuova luce interpretativa sulle Scritture.

La Lettera si conclude indicando sei impegni prioritari che la Chiesa dovrebbe assumere con maggiore determinazione: farsi carico dei problemi dell’umanità (ingiustizie, violenze, corruzione, emergenze etiche e sociali) operando con le persone di buona volontà per la giustizia e la pace; riprendere con decisione il cammino ecumenico facendo del primato della Parola il terreno di convergenza con le altre Chiese; rilanciare la riforma liturgica conciliare, dando effettiva centralità all’Eucaristia anche mediante il superamento dell’esclusione di divorziati risposati e coppie di fatto; attuare davvero, attraverso uno sviluppo della sinodalità, l’ecclesiologia di comunione sulla base della comune dignità e responsabilità di tutti i battezzati; rivalutare il legame tra «sacerdozio comune » e «sacerdozio ministeriale» rivedendo l’obbligo del celibato per i presbiteri, aprendo i ministeri ecclesiali alle donne e responsabilizzando i laici nella pastorale; ripensare i rapporti tra Chiesa, denaro e potere sulla base dell’opzione preferenziale per i poveri.

Proprio la necessità di una «Chiesa povera e dei poveri» è stato il tema messo a fuoco da don Giovanni Nicolini, fondatore delle Famiglie della Visitazione, mentre il dibattito si è concentrato su come dare seguito al percorso avviato dalla Lettera, in particolare tramite iniziative di approfondimento dei temi in essa enunciati per formulare proposte concrete da offrire alla comunità ecclesiale.

Mauro Castagnaro jesus aprile 2013