La preghiera nell'arte. Tra terra e cielo con le braccia alzate

Pubblichiamo una breve anticipazione di un libro dedicato alla preghiera nell’arte che sarà pubblicato il prossimo ottobre dalla Libreria Editrice Vaticana.

di Timothy Verdon

Non è difficile pregare, né occorrono conoscenze specialistiche. Rivolgersi a Dio – per confessare i propri limiti, per chiedere aiuto, per ringraziare e lodare – è cosa naturale per l’essere umano, un impulso spontaneo in ogni donna e uomo, in ogni cultura e civiltà, in ogni periodo storico. Anche là dove circostanze avverse – l’ignoranza, il peccato, il rifiuto di un determinato concetto religioso o di ogni forma di religione – inibiscono di pregare, la preghiera c’è comunque. Chiunque si guardi intorno con attenzione, si apra alla bellezza del creato, si lasci toccare dall’altrui sofferenza, in un certo senso prega. Al di là di questo orientamento istintivo, per cui ogni "Io" umano implica un "Tu" divino, vi è anche una preghiera voluta e articolata, che l’uomo non conosce ma deve apprendere. "Signore, insegnaci a pregare" chiedevano i discepoli a Gesù, facendo presente che così aveva fatto Giovanni il Battista per i suoi seguaci. Gesù allora insegnò la formula di preghiera che ancor oggi i cristiani imparano sulle ginocchia della mamma: "Padre nostro che sei nei cieli…". Vi è, voglio dire, una "arte della preghiera" che può essere trasmessa da maestri a discepoli come da genitori a figli. I luoghi deputati a tale trasmissione sono infatti la famiglia, dove i piccoli imparano le prime parole e i primi gesti con cui rapportarsi a Dio, e poi la comunità composta di altri credenti – nel cristianesimo, la Chiesa, considerata precisamente mater et magistra della fede. La tradizione ecclesiale riconosce addirittura una "legge della preghiera" finalizzata a dar forma alla fede: è il senso della frase lex orandi, lex credendi esprimente un’idea che risale alla prima cristianità. Non si tratta di una norma legale in senso stretto, bensì di una regola al servizio della creatività, perché la fede e la preghiera sono in effetti risposte creative con cui la creatura, fatta "a immagine" del Creatore, si rapporta a Lui grazie all’immaginazione. Questo modo di descrivere la fede e la preghiera spiega l’importanza che la Chiesa attribuisce all’arte. Le immagini poste davanti agli occhi dei fedeli infatti insegnano a rivolgersi a Dio, e lo stesso Papa san Gregorio Magno che affermava: "ciò che lo scritto ottiene a chi legge, la pittura fornisce agli analfabeti che la guardano", insisteva che i fedeli debbano essere condotti poi dalla visio all’adoratio. "Altro è adorare un dipinto, altro imparare da una scena rappresentata in un dipinto che cosa adorare", disse, precisando che "la fraternità dei presbiteri è tenuta ad ammonire i fedeli affinché provino ardente compunzione davanti al dramma della scena raffigurata e così si prostrino umilmente in adorazione davanti alla sola onnipotente Santissima Trinità" (Epistola Sereno episcopo massiliensi, 2, 10). Nello stesso spirito, san Giovanni Damasceno dirà che "la bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. Sono una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna sprona il mio cuore a rendere gloria a Dio" (De sacris imaginibus orationes, 1, 27). Nella lunga storia della Chiesa, l’arte della preghiera (intesa come l’insieme di parole e gesti con cui i fedeli si rivolgono a Dio) è stata trasmessa infatti anche dall’arte visiva e dall’architettura, che a tutti offrono "uno stimolo" e in ogni tempo configurano l’incontro con Dio come "una festa". Di generazione in generazione, le immagini sacre insegnano poi i comportamenti tipici di questa festa, facendo vedere pose ed espressioni facciali – atteggiamenti e sguardi – in cui perfino chi non crede riconosce subito l’impeto dello spirito. Tali immagini, mentre descrivono la vita di fede evidenziandone aspetti particolari, in pratica insegnano a pregare, così che, per chi le vede, "vivere", "credere" e "pregare" sembrano la stessa cosa. Prendiamo ad esempio la celebre Donna orante rinvenuta delle catacombe romane di Priscilla. Raffigura una donna cristiana del III secolo con le mani alzate nel gesto della preghiera – lo stesso gesto che un artista del V secolo attribuirà a Gesù in una formella lignea delle porte della basilica di Santa Sabina sull’Aventino. Nella formella il soggetto è la crocifissione, e le mani alzate del salvatore alludono alla sua volontaria offerta della vita per i peccatori, il "sacrificio vespertino" su Golgotha. Anche la donna orante del dipinto offre la vita: alza le mani tra due altre scene, che la fanno vedere prima data in nozze e poi con un bambino in collo. La preghiera della donna, cioè, riassume gli ordinari sacrifici insieme alle gioie della vita di famiglia, e la sua figura velata e solenne al centro esprime la condizione finale a cui questi sacrifici e queste gioie l’hanno condotta – il dipinto è infatti un decoro tombale. Queste due opere appartenenti alla cultura cristiana antica suggeriscono una riflessione: sulla croce dove dava la vita Gesù pregava, e ogni cristiano è chiamato a riprodurre questa preghiera nella propria vita. In ogni epoca, ai discepoli che gli chiedono: "Signore, insegnaci a pregare", Cristo infatti insegna a dare la vita; l’arte che scaturisce da questa vita donata e la descrive – l’arte cristiana – esalta la preghiera. (©L’Osservatore Romano – 22 luglio 2010)