La Parola, le parole

Settimana News

L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, ha inviato una lettera alla diocesi in occasione della 1ª Domenica della Parola di Dio.

Catanzaro, 6 gennaio 2020

Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi/e, seminaristi, fedeli tutti, uomini e donne di buona volontà.

Lettera “Aperuit illis” di papa Francesco

Ho davanti agli occhi la lettera apostolica, in forma di motu proprio, Aperuit illis, promulgata da papa Francesco il 30 settembre 2019, giorno della memoria liturgica di s. Girolamo, profondo conoscitore e amante delle Scritture. La lettera è in continuità col magistero conciliare, che ha dato un notevole impulso alla riscoperta della Parola di Dio, e con l’Assemblea del Sinodo dei vescovi, convocato da Benedetto XVI nel 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, i cui lavori confluirono nell’esortazione apostolica Verbum Domini. Con la sua lettera, papa Francesco ha istituito per tutta la Chiesa la Domenica della Parola di Dio, da celebrare ogni anno la III domenica del Tempo Ordinario, «un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani» (AI, 3).

Il nostro Dio è “Parola”

Questa riflessione mira a ritornare con voi sul testo del Pontefice, in specie in quanto attiene al valore così alto e sublime che la Parola di Dio possiede (sia come attestata nella sacra Scrittura, sia come trasmessa dalla Tradizione) e dalla quale la Chiesa, insieme con l’eucaristia e il “Vangelo dei poveri”, attinge ogni giorno forza, luce e vigore. Siamo come un popolo dall’orecchio costantemente teso alla voce del suo condottiero, nel corso del proprio cammino, orientato alla diffusione e alla costruzione del regno di Dio, già a partire da questa terra.

Mi torna in mente un bel pensiero di Emily Dickinson, poetessa americana del XIX secolo: «Non conosco nulla al mondo che abbia potere quanto la parola. A volte ne scrivo una e la guardo, fino a quando comincia a splendere». Con profonda intuizione poetica, che si lascia illuminare da quell’Eterno, verso cui ogni poeta è attratto e di cui spesso inconsapevolmente ne descrive una qualità, svelandone pian piano il mistero, ella scriverà: «Una parola muore appena detta, dice qualcuno. Io dico che solo quel giorno comincia a vivere».

Il nostro, carissimi, non è un dio muto, come gli idoli che hanno bocca e non parlano (cf. Sal 115,5), ma è un Dio che parla, anzi che è Parola. La Parola di Dio, infatti, prima di esserne una qualità, è una Persona: è Dio stesso! Proviamo a sostituire nel testo della Dickinson, il termine “parola”, con il nome di Cristo Signore: si svelerà tutto il suo mistero! «La Parola di Dio, che è Cristo, muore appena detta, dice qualcuno. Io dico che solo quel giorno comincia a vivere». Pensiamo quanto questo sia vero: noi, Chiesa del Dio vivente, siamo nati e abbiamo cominciato a vivere dal costato di Cristo dormiente sulla croce (cf. SC, 5), che è diventato per noi la parola generatrice della comunità nuova. 

Oh se ne fossimo davvero consapevoli! La Parola di Dio non sarebbe un giogo pesante da portare contro la nostra volontà. Con le stesse parole di Gesù, potremmo affermare ogni giorno: «Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 0) e, insieme al salmista cantare: «I giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti, più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante» (Sal 19,10-11).

domenica parola di dio

La Parola è molto più grande delle parole: le trascende

Tutte le nostre parole spesso le definiamo “pietre”, nel senso che esse possono pesare fortemente nelle nostre relazioni interpersonali e sociali. Eppure, è sorprendente e paradossale la loro fragilità e fugacità, assieme alla nostra inclinazione a dimenticarle. La Parola, invece, è eterna, vive per sempre.

È molto interessante il blog a cura del card. Ravasi su Il sole 24 ore, “Parola e parole”. In un’ottica di dialogo tra fede e cultura, così come stiamo facendo in diocesi nel ciclo di incontri Maieutiké, noi cristiani intendiamo annunciare questo messaggio: la trascendenza è elemento imprescindibile della conoscenza di Dio, ma è già presente nella relazionalità umana e nei suoi tentativi di ricerca sincera della verità, non disposta a farsi condizionare da falsi e sottili pensieri che, in modo sapienziale, cercano di dare delle adeguate risposte ai grandi problemi del mondo e dell’uomo, lasciando spazio, oltre che alle luci delle scienze e dei saperi umani, anche alla luce che potrebbe provenire dalla trascendenza di Dio. Sappiamo, infatti, dalla Rivelazione scritta, che Dio, innanzi ad un cuore puro che cerca il suo volto, non resta indifferente ma si manifesta proprio per mezzo della Parola, pronunciata molte volte e in diversi luoghi mediante i profeti ma che – come leggiamo nell’incipit della Lettera agli Ebrei –: «… in questa fine dei tempi ha parlato a noi nel Figlio, che costituì erede di tutte le cose e mediante il quale creò il mondo» (Eb 1,2). Carissimi, Cristo è la Parola definitiva del Padre: dobbiamo avere il coraggio di annunciarlo e, prim’ancora, credere fermamente in colui che «tutto sostiene con la potenza della sua parola» (Eb 1,3/a).

Dio parla, l’uomo risponde

In quanto creatura dotata di un «soffio divino», (come ricorda il primo capitolo del recentissimo documento della Pontificia commissione biblica dal titolo Che cos’è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica), l’essere umano è stato eletto come interlocutore da Dio. Pertanto, una volta che Dio ha parlato, la sua Parola può mai cadere nel vuoto? Ad essa dobbiamo rispondere con l’ascolto e con l’obbedienza, totale e incondizionata.

L’obbedienza consiste in un cambiamento di vita secondo la Parola ascoltata e accettata, proprio come fu cambiamento di cammino la Parola ascoltata dal popolo di Israele durante l’Esodo, o nel lungo viaggio nel deserto. Se non si cambia vita – e il cambiamento di vita è uno solo: il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dall’Antica Parola di Dio alla Nuova Parola di Dio Incarnata, che è Cristo Gesù –, ci si mette nella disobbedienza con il solo risultato del non-raggiungimento del riposo vero in Dio.

Accogliamo, perciò, l’invito che ancora una volta ci viene dalla Lettera agli Ebrei: «Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, affinché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza» (Eb 4,11). Con “affrettarsi” si intende non tergiversare, non rimandare, non ritardare e, soprattutto, non “giocare” con il Signore, ritenendolo alla stregua di quegli idoli muti, i quali, hanno bocca e non parlano, orecchi ma non odono, occhi ma non vedono: la proiezione del nostro io elevato al rango delle divinità, insomma. Maria è l’esempio meraviglioso di accoglienza e di risposta pronta e generosa alla Parola sia nell’annunciazione che nel mettersi in cammino «in fretta» verso la cugina Elisabetta (Lc 1,26-46).

Entriamo nel mistero della Parola

Se vogliamo entrare nel mistero della Parola di Dio, dobbiamo lasciarci illuminare dal versetto 12 del quarto capitolo della Lettera agli Ebrei, che costituiscono un vero e proprio inno alla Parola, un canto alla sua verità: «La parola di Dio, infatti, è viva ed efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12-13).

La prima nota caratteristica della parola di Dio è l’affermazione che essa è viva. È viva perché Dio è vivo e la ricolma della sua vita; è viva perché si tratta della persona viva del Verbo, con il quale il credente è invitato a entrare in relazione vitale ed esistenziale attraverso la preghiera; è viva perché ha la forza in sé di rigenerarsi, di togliere da sé ciò che appartiene a ieri e aggiungendo ciò che è nell’oggi ed appartiene all’ora presente della storia; è viva perché in essa opera lo Spirito Santo, che la ricolma con la vita della sua verità tutta intera; è viva perché ha la forza di rendere vecchio ogni sistema teologico, ogni comprensione di Dio, ogni forma di relazionarsi a lui, ogni religione, ogni idea, ogni pensiero. Dinanzi a questa Parola, tutto risulta vecchio, superato, fuori posto.

Per questo motivo è giusto, anzi doveroso, non solo annunziare ogni giorno la Parola, ma insegnarla ogni giorno spiegandone ai fratelli e sorelle il significato, quello che lo Spirito Santo detta alla mente e allo spirito di colui che, nella comunità ecclesiale, si piega sulla Scrittura per trarne ogni verità di salvezza, di redenzione, di giustificazione, di vita eterna. Infatti, come insegna Dei Verbum (12), richiamando la lezione di san Girolamo, la sacra Scrittura dev’essere letta e interpretata con lo stesso spirito con cui fu scritta (Commento ai Galati 5,19-21: PL 26, 417A).

Quanto valore assume, in una simile visione, ogni forma di predicazione e di catechesi! Soprattutto, quanto valore assume l’omelia! Ma rileggiamo le parole del santo padre: «L’omelia, in particolare, riveste una funzione del tutto peculiare, perché possiede “un carattere quasi sacramentale”. Far entrare in profondità nella Parola di Dio, con un linguaggio semplice e adatto a chi ascolta, permette al sacerdote di far scoprire anche la «bellezza delle immagini che il Signore utilizzava per stimolare la pratica del bene».

Questa è un’opportunità pastorale da non perdere! Per molti dei nostri fedeli, infatti, questa è l’unica occasione che possiedono per cogliere la bellezza della Parola di Dio e vederla riferita alla loro vita quotidiana» (AI, 4).1

Dobbiamo credere sempre più che lo

Spirito Santo è nella Parola, che ogni altra verità va compresa partendo dalla Parola, lasciandosi giudicare da essa. È questo il solo e unico metodo, valido se si vuole portare verità e salvezza in questo mondo che spesso appare lontano dalla Parola e sperduto tra le tante notizie dei media e delle reti social. Gesù ordinò ai suoi apostoli, di andare per il mondo e di annunziare la sua Parola, ammaestrando tutte le nazioni (cf. Mt 28,19). Annunziando la Parola, meditandola, ruminandola, contemplandola, spiegandola, facendola comprendere nella pienezza della sua verità verso cui conduce lo Spirito del Signore (cf. Gv 16,13), i predicatori (soprattutto coloro che preparano ed annunciano l’omelia) donano ad ogni uomo e ad ogni donna la possibilità di essere salvati.

La Parola di Dio è efficace

Poiché è viva, la Parola di Dio produce salvezza, cioè ha una forza quasi sacramentale, in quanto può realizzare ciò che significa. Se viene accolta in un cuore, lo smuove, lo rimuove, lo commuove, lo libera dal peccato, lo apre alla grazia, lo spinge verso la santità, lo apre alla condivisione con i fratelli, particolarmente gli ultimi, i deboli, gli scartati. È efficace perché opera sempre un giudizio di approvazione o di condanna di ogni azione dell’essere umano. Di quel genere però é l’efficacia insita in essa. Non è pari a quella dei sette sacramenti, la cui efficacia produce gli effetti oltre la santità di chi celebra o amministra il sacramento. La dimensione sacramentale della Parola «sta propriamente nel mistero dell’Incarnazione: “Il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14), la realtà del mistero rivelato si offre a noi nella carne del Figlio» (Verbum Domini, n. 53).

L’efficacia della Parola, invece, è subordinata alla santità di chi l’annunzia e alla fede di chi l’ascolta, facendo sorgere quella che san Paolo definisce «obbedienza della fede» (cf. Rm 1,5 e 16,26).

Nella santità di chi l’annunzia, dimora lo Spirito Santo: Egli è nella Parola annunziata perché è nel cuore di chi l’annunzia, scende nel cuore di chi l’accoglie con fede e lo apre a Cristo, al suo mistero, alla sua verità, alla sua grazia, alla sua santità (cf. Lc 24,45: è il racconto dell’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus, il brano al quale si ispira il papa nella sua Lettera). La Parola non abita in un cuore pieno di peccato; e, se non vive in noi, neanche può essere efficace: è morta la parola che viene annunciata o donata. Va da sé che una parola morta, seppur donata, non può mai generare vita. Riflettiamo: forse tutti i fallimenti della prassi pastorale non risiedono in questa Parola “morta in noi”, sia che l’annunciamo, sia che l’ascoltiamo?

domenica parola di dio

È più tagliente di ogni spada a doppio taglio

Come la spada serve a separare, così la Parola di Dio separa il bene dal male, giusto e ingiusto, sacro e profano, santità e peccato, bontà e malvagità, pensiero di Dio e pensiero dell’uomo, vie divine e vie umane. Chi vuol sapere che cosa sia bene oppure male, giusto e ingiusto, opportuno e inopportuno, conveniente e sconveniente, non può desumerlo dai propri pensieri, ma attingerlo dalla Parola di Dio.

Questa verità obbliga chiunque parli nel suo nome a dire la Parola di Dio e solo quella. Per questo chi annuncia e proclama deve offrire al prossimo la garanzia assoluta che ciò che afferma non è bagaglio del suo pensiero o della sua volontà, ma è soltanto Parola di Dio. Le più semplici delle deduzioni o argomentazioni, tratte dalla Parola, devono essere perennemente verificate dalla Parola, se si vuole tagliare netto tra bene e male, vie di Dio e vie degli uomini.

Spesso, però, c’è una sostituzione capziosa della volontà di Dio, trasferendovi pensieri e desideri spesso cattivi del nostro cuore. Quando ognuno di noi sarà onesto e attento a non aggiungere e a non togliere niente alla Parola di Dio, solo allora sarà un buon amministratore nella sua casa. È cosa disonesta aggiungere o togliere alla Parola e attribuire a ciò che si ottiene il valore di parola, volontà o desiderio di Dio. L’attenzione in questo non sarà mai sufficiente, mai troppa!

Essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla

Quando viene annunziata, predicata e insegnata, la Parola non lascia il cuore indifferente: tutto l’essere umano viene da lei penetrato e messo in discussione. Dinanzi alla Parola di Dio non esiste indifferenza: si accoglie, o la si rifiuta. Si fa riconoscere per se stessa: basta pronunciarla, proclamarla. È questa la sua forza, questa la sua vita, questa la sua efficacia.

Perché, allora, molti non la riconoscono come Parola di Dio? Perché, quella che ascoltano, spesso non è Parola di Dio, ma una miscela di parole umane, imbevute qua e là da qualche Parola di Dio. Per essere effettivamente tale, la Parola dev’essere libera da qualsiasi parola, pensiero o desiderio umano. Detta e proferita nella sua santità, la Parola penetra nel cuore, nella mente, arriva fino alle giunture e alle midolla. Tutto l’uomo viene compenetrato di Parola del Signore.

E scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Anche i sentimenti e i pensieri del cuore vengono scrutati dalla Parola di Dio, per appurare la loro verità, la loro falsità, la loro confusione, la loro tenebra o la loro luce. Niente di ciò che è nell’uomo rimane estraneo dinanzi alla forza della Parola e alla potenza della sua luce che penetra in lui. Questo accade, però, se quella che diciamo è effettivamente Parola di Dio e, se non lo è, il cuore rimane freddo e l’anima nel suo sonno spirituale.

Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi

Tutto quanto detto finora, vale per tutti gli uomini indistintamente, di ogni razza, popolo, lingua, tempo e luogo. Fino alla consumazione dei secoli, finché ci sarà un solo uomo sulla terra, costui, se posto dinanzi alla verità e alla santità della Parola, non potrà restare insensibile. Essa lo scuote, lo muove, lo attira a sé per salvarlo.

Se facciamo nostro ciò che lo Spirito Santo dice nella Lettera agli Ebrei, avremo un solo desiderio: meditare la Parola di Dio giorno e notte e, col Salmista, cantare ancora: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene» (Sal 1,1-3).

In tal modo la Parola, passerà dall’udito al cuore e – come dice Gesù – «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34): chi ascolta e crede, credendo obbedisce e, inevitabilmente, sente la necessità dell’annuncio e, «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: Il tuo Dio regna» (Is 52,7).

S. Paolo ci dice che la Parola deve essere interiorizzata, toccare il cuore: «Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10,9-10).

Conclusione

Tutta la Scrittura è il cantico della Parola: creatrice, liberatrice, incarnata, redentrice; Parola divina, che in ogni realtà lascia il segno. Essa però è affidata all’essere umano: prima all’agiografo, poi agli uomini e alle donne di Chiesa, che la leggono, la traducono, la proclamano, la meditano, la trasmettono. Accogliamo tutti l’invito del papa in modo tale che la Domenica della Parola di Dio lasci un segno nella nostra vita e «possa far crescere nel popolo di Dio la religiosa e assidua familiarità con le sacre Scritture, così come l’autore sacro insegnava già nei tempi antichi: Questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica (Dt 30,14)» (AI, 15). Così i fedeli, accettando nella fede ciò che la Parola dice nella sua divina semplicità, si formino una mentalità di fede, una logica di fede e si convertano ad una vita cristiana più coerente ed operosa.

Per questo invito tutti a fare della Parola di Dio l’oggetto della vostra assidua riflessione, del vostro studio umile e orante: credete quello che leggete, insegnate quel che credete, testimoniate nella vita quello che insegnate.

La Vergine Santa che, secondo la fede dei Padri, ha concepito Gesù all’udire le parole del messaggero divino, conceda a tutti i fedeli della nostra arcidiocesi di lasciarsi rinnovare giorno dopo giorno dalla Parola, leggendola, ascoltandola, interiorizzandola, pregandola, condividendola nelle famiglie, nei gruppi e nelle parrocchie e, soprattutto, testimoniandola.

A riguardo vi propongo alcuni suggerimenti pratici dei vicari episcopali che possono essere di aiuto.

A livello diocesano e foraniale
  •  Incrementare la Scuola biblica che già è attiva da diversi anni a Squillace (con cadenza quindicinale);
  •  Organizzare a livello diocesano una Mostra della Bibbia d’accordo con l’Ufficio per l’Apostolato Biblico della CEI;
  •  Istituzionalizzare la III domenica del Tempo Ordinario come domenica della Parola consegnando, in una celebrazione diocesana (possibilmente di sabato pomeriggio), l’Evangeliario alle vicarie che poi, a loro volta, lo consegneranno per intronizzarlo solennemente, alle parrocchie;
  • Si potrebbe pensare a una Missione diocesana sulla Parola di Dio;
  • Attivare una Scuola di Proclamazione della Parola per i Lettori (ad alcuni dei quali alla fine si potrebbe conferire il ministero istituito del Lettorato) con diramazione, poi, nelle foranie;
  • Per coloro che proclamano la Parola la domenica prevedere la richiesta di una benedizione del celebrante che li invita a proclamare dicendo: «Leggi nel nome del Signore» (come nel rito ambrosiano!)
  • Invitare il direttore dell’Ufficio Apostolato Biblico della diocesi per un incontro sull’importanza della Parola di Dio;
  • Riattivare i Centri di ascolto della Parola nelle famiglie;
  • Condividere la Parola con breve omelia quotidiana;
  • Consegna della Bibbia ai bambini della IV elementare che si preparano alla Prima Confessione con una celebrazione a cui partecipino pure i genitori;
  • Lettura guidata nella comunità di un libro biblico nel corso dell’anno pastorale (quest’anno potrebbe essere il vangelo di Matteo che leggiamo nell’Anno A);
  • Nei tempi forti (avvento-quaresima e tempo pasquale) programmare una lectio continua di un libro della Bibbia;
  • Organizzare un tavolo di vendita di Bibbie o di altro materiale di approfondimento, come materiale informatico riguardante la Bibbia per bambini, ragazzi, giovani famiglie ecc.;
  • Mostra fotografica di oggetti e di città della Terra Santa;
  • Mostra fotografica su viaggio della parrocchia in Terra Santa;
  • Pesca di versetti significativi della Bibbia che servano come parole guida per il mese o l’anno;
  • Proposta di lettura di un brano biblico nelle famiglie ogni giorno prima di cena;
  • Lectio continua e commento di un libro biblico per tutti o per i giovani;
  • Preparazione dell’omelia sul testo biblico domenicale fatta da un gruppo;
  • Manifesto su una parola biblica del mese da fissare in alcuni luoghi centrali del paese.

Chiedendovi umilmente di pregare per me, paternamente e fraternamente di gran cuore tutti benedico!

P. Vincenzo Bertolone, S.d.P. – arcivescovo di Catanzaro-Squillace

1 A proposito del «primato» della chiarezza, il grande scienziato Galileo affermava che «parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma chiaro pochissimi!» (Opere, IX,73). Egli soleva ripetere che il predicatore deve prepararsi, sintetizzare, appuntare i concetti, assimilarli, flessibilizzarsi sull’auditorio. Ripeteva che più ci si prepara, più si è incisivi, brevi e bravi! «Un’omelia senza preparazione è come un aereo che plana, plana ma non riesce ad atterrare». Nel 1950 Don Giuseppe de Luca, cercando di scuotere il vecchio clero della sua natia Lucania per quelle loro messe che – tranne qualche doverosa eccezione – «valevano pochino, così d’animo come d’impegno, come d’educazione così d’istruzione», aveva fornito questa stupenda metafora della predicazione: «Quando un prete predica è come quando / un innamorato scrive / un esploratore fa il suo rapporto / un dotto dice le sue cose / un poeta dà la versione ultima ed unica / di tante sue interne e discordanti modulazioni / di ore, di giorni, di mesi, forse di anni. / Cardarelli mi diceva che una sua poesia se l’era portata in corpo sei anni, anni di giovinezza. / La predica, omelia, deve essere così! / È la nostra poesia, la nostra lettera d’amore / il nostro canto». Qualche anno prima il pastore Dietrich Bonhöffer aveva scritto dal lager dove poi fu eliminato: «(…) immaginate di trovarvi al fronte. Un compagno vi porta, trepidante, una lettera che gli arriva dalla sua amata. Non sa leggere e vi chiede di farlo. Con che animo affrontate questa lettura? Con che rispetto? Il “ti amo” che leggete non è vostro, ma esce dalla vostra voce. Siate uno strumento attraverso cui il vostro compagno deve poter cogliere in pienezza l’amore contenuto nelle parole che voi dite, ma che non sono vostre, sono della sua amata». Ma, perché un sacerdote riesca a tanto, deve impegnarsi molto e prepararsi con cura.