La leadership nella Chiesa

di: Massimo Nardello

parrocchia

Una delle caratteristiche della Chiesa che papa Francesco ha attivamente contribuito a rimettere al centro dell’attenzione è la sua vocazione ad accogliere qualunque persona, come un ospedale da campo che non rifiuta alcun ferito. In effetti, essa è il luogo in cui prende forma quella misericordia di Dio che è stata rivelata e donata in Cristo all’intera umanità.

Per questo ogni comunità cristiana è in grado di integrare al proprio interno chiunque bussi alla sua porta mosso da un qualche interesse nei confronti del Signore, accettandolo con i suoi peccati, i suoi dubbi e le sue ferite, affinché lo Spirito lo guidi progressivamente nella via della conversione.

Tutelare la santità della comunità cristiana

Questo atteggiamento di accoglienza da parte di una comunità, però, deve essere subordinato alla tutela della sua santità. Con questo termine non si allude alla sua perfezione, che ovviamente non è possibile, ma al fatto che essa deve custodire a qualunque costo l’autentico Vangelo per cercare di viverlo con sempre maggiore fedeltà.

Ora, gli stili peccaminosi dei membri di una comunità non solo incidono negativamente sul clima spirituale, ma possono anche finire per farle perdere di vista le esigenze evangeliche, cioè gli obiettivi verso cui deve tendere. Ciò avviene quando qualcuno non solo assume comportamenti immorali, ma cerca di legittimarli come tollerabili o addirittura virtuosi.

A quel punto, quando è in gioco la tutela del Vangelo, lo stile di misericordia non deve impedire di reagire con forza contro qualunque mistificazione della Parola di Dio che potrebbe compromettere la fede della comunità. È quello che Paolo scrive alla comunità di Corinto (cf. 1Cor 5,1-13) a fronte di una grave situazione di immoralità che veniva scambiata da qualcuno per qualcosa di cui vantarsi.

Questa legittimazione di uno stile peccaminoso è particolarmente pericolosa se sostenuta dal leader di una comunità, cioè dal vescovo, dal prete, dal diacono, dal catechista, dall’educatore, e così via.

Proprio in riferimento a questa situazione Gregorio Magno scrive: «Ci sono poi alcuni che investigano le regole della vita spirituale con esperta cura, ma poi calpestano con la loro condotta di vita ciò che riescono a comprendere con l’intelligenza: subito si mettono a insegnare ciò che hanno imparato con lo studio ma non con la pratica; e combattono con i loro costumi ciò che predicano con le loro parole. In verità, nessuno nuoce di più nella Chiesa di chi, portando un titolo o un ordine sacro, conduce una vita corrotta, giacché nessuno osa confutare un tale peccatore e la colpa si estende irresistibilmente con la forza dell’esempio quando, a causa della riverenza dovuta all’ordine sacro, il peccatore viene onorato» (Regola pastorale, n. 2).

Sembra strano, ma è realmente possibile predicare correttamente e con grande successo la Parola di Dio e nello stesso tempo giustificare i propri comportamenti immorali come del tutto legittimi, anche se sono in palese contrasto con quella Parola.

Un leader onesto e credibile

Le possibilità di manipolare il Vangelo e le persone, purtroppo, sono illimitate. Ora, secondo Gregorio, quando questa forma di inganno è perpetrata da persone che hanno importanti responsabilità nella Chiesa, e i loro comportamenti immorali non vengono pubblicamente stigmatizzati, la comunità cristiana si corrompe. Queste parole appaiono di grande attualità, e suggeriscono alcune considerazioni.

In primo luogo, per vivere una buona leadership ecclesiale non è necessaria una santità straordinaria, ma è indispensabile poter contare su una sufficiente maturità spirituale che renda capaci di identificare i propri stili peccaminosi come tali, anche davanti alla propria comunità. In altre parole, non fa problema che il leader sia un peccatore, come gli altri cristiani.

L’importante è che la sua capacità di discernimento della vera fede e del bene e del male non vacilli, soprattutto a riguardo della propria vita.

Purtroppo il bisogno di proporsi come una figura di eccellenza può spingere chi ha ruoli importanti nella Chiesa a cercare di nascondere la propria miseria davanti alle persone che gli sono state affidate. In realtà un buon leader non è un affatto un “fenomeno”, cioè una figura grandiosa che risplende per le sue qualità superiori o per le cose straordinarie che fa. Anzi, dal momento che ogni essere umano è fragile, limitato e peccatore, si può supporre che, dietro a tali profili apparentemente eccellenti, si nasconda solo una grande indigenza spirituale, pur accuratamente nascosta sotto un’immagine grandiosa di sé. Probabilmente di questi “leader fenomeni” ne abbiamo già fin troppi nella Chiesa.

Piuttosto, l’efficacia della leadership ecclesiale si gioca nel sapersi mantenere capaci di giudicare le cose in modo autenticamente evangelico, sia in riferimento ai propri stili di vita che a quelli della propria comunità. Per il resto, si può essere persone che vivono con trasparenza il loro cammino di fede, al pari degli altri cristiani.

Si è leader soprattutto con la vita

Una seconda considerazione che si può ricavare dalle citate parole di Gregorio è che si è leader anzitutto con la propria vita, oltre che con le proprie parole. Come in una famiglia i figli non crescono semplicemente perché ascoltano gli insegnamenti e i rimproveri dei loro genitori, ma in quanto vivono insieme a loro e apprendono sul campo i loro valori e i loro stili, così in una comunità un leader educa alla vita cristiana trascorrendo del tempo con i suoi fratelli e sorelle nella fede, e non semplicemente parlando o scrivendo molto.

Questo pone un problema complesso per i ministri ordinati, perché in comunità numerose difficilmente costoro possono garantire una certa vicinanza alle persone che dovrebbero guidare. Alla fatica di molte persone, soprattutto giovani, a partecipare assiduamente alla vita comunitaria, per il fatto che vivono molte appartenenze, corrisponde spesso la difficoltà dei pastori a dedicare loro del tempo, in ragione dei loro molteplici impegni.

Il rischio, però, è che la loro testimonianza di vita non svolga più la sua funzione, e quindi la stessa loro leadership sia fortemente a rischio.