La giustizia di Dio, il vangelo paolino

da Settimana News

di: Roberto Mela

Giustizia di Dio

Giuseppe Pulcinelli, cinquantasettenne esegeta romano, insegna Sacra Scrittura alla Pontificia Università Lateranense e materie bibliche alla Gregoriana. Nel 2007 ha pubblicato la sua tesi di dottorato in Teologia biblica La morte di Gesù come espiazione. La concezione paolina e conosce quindi a fondo il pensiero dell’Apostolo e, in specie, quello trattato in questo libro, tanto da essere ritenuto uno dei migliori paolinisti italiani.

In questo numero di Studi biblici l’autore raccoglie e aggiorna otto studi pubblicati negli ultimi anni su riviste specializzate, mettendo in grado il lettore di disporre comodamente di un verovademecum sui tempi più impegnativi del già difficile pensiero paolino.

Il libro viene ad essere di fatto un’introduzione ai tempi principali – non tutti evidentemente – della Lettera ai Romani.

Nel c. 1 (pp. 11-32) Pulcinelli delinea l’occasione e lo scopo della Lettera ai Romani, discutendo le varie opinioni. Ci sono vari motivi attinenti la situazione dei destinatari, una comunità non fondata da Paolo, che però ha un’alta coscienza apostolica di sé nei confronti di tutti. Oltre ai problemi dei rapporti tra i “forti” e i “deboli” e quello dell’atteggiamento da tenere nei confronti delle autorità (temi trattati in Rm 14–15), esiste un problema di diffamazione di Paolo (Rm 3,8) che va chiarito.

Il difficile pensiero di Paolo dava infatti adito a fraintendimenti – ad esempio circa la Legge e il peccato – che egli vuole chiarire sia ai romani che alla Chiesa di Gerusalemme. Verso questa Chiesa si sta dirigendo, a partire da Corinto, dove, nell’inverno del 57, scrive ai Romani. Egli sa perfettamente che là non troverà un’accoglienza del tutto benevola.

Ci sono motivi che riguardano poi la situazione personale di Paolo: il desiderio di visitare i romani, organizzati in varie piccole Chiese, per un totale di circa 200 persone secondo la stima di Romano Penna (che scrive la prefazione del libro).

Affrontando nel c. II (pp. 33-62) il tema della manifestazione della giustizia di Dio, Pulcinelli commenta Rm 3,21-22, una seconda tesi secondaria o subpropositio dopo la prima di Rm 1,18 che sviluppano la tesi principale o propositio principalis di Rm 1,16-17. La giustizia di Dio non è di tipo forense (che mira a riconoscere l’innocente e a ricondannare il colpevole) e neppure distributiva (dare a ciascuno il suo). La giustizia di Dio è salvifica. Riporta l’uomo colpevole alla comunione con Dio. Dio giustifica l’empio Abramo (ton dikaiounta ton asebē), quando questi era ancora pagano, prima della circoncisione (cf. Rm 4,5).

La giustificazione combacia col mistero salvifico pasquale di Cristo che, morendo giusto per gli ingiusti, dopo una vita vissuta come pro-esistenza, prende su di sé come suo rappresentante l’umanità colpevole e lontana dalla comunione con Dio. Egli assorbe in sé il male e lo vince con fedeltà e obbedienza indefettibile a Dio, giungendo alla risurrezione e donando agli uomini che accolgono con fede la sua persona e la sua azione soteriologica la vita filiale. Questa ingloba redenzione, santificazione, giustificazione e, incoativamente – secondo il Paolo autoriale –, la salvezza.

giustizia di dio

La giustificazione si manifesta oggettivamente come morte redentrice di Cristo, esposto pubblicamente come rinnovato coperchio propiziatorio dell’arca dell’alleanza che, nel suo sangue, congiunge nella vita Dio e gli uomini. Gli uomini si appropriano soggettivamente della redenzione oggettiva con la loro fede, con la quale accolgono l’opera di Cristo, il suo mistero pasquale.

La fede degli uomini è una fede “in Gesù Cristo”. Pulcinelli sposa con decisione l’interpretazione del genitivo pistis Christou come genitivo oggettivo: fede in Gesù Cristo.

La giustificazione ha un raggio universale: è offerta a tutti coloro che credono. La giustificazione offerta escatologicamente nella croce (e risurrezione) di Cristo è testimoniata già in antecedenza dalla Scrittura/Legge-Profeti considerata nella sua accezione di attestazione profetica e non quale sistema legalistico.

La New Perspective della ricerca paolina sulla dottrina della giustificazione (c. III, pp. 63-74) tende a vedere nel giudaismo non un sistema legalistico estrinseco, ma un sistema in cui l’osservanza degli identity markers (sabato, circoncisione, norme alimentari) sono mezzi to stay in (“stare dentro”) in un sistema salvifico nel quale “si entra” (to go in) con la fede nella giustificazione gratuita operata da Dio. È il cosiddetto “nomismo del patto” (E.P. Sanders ecc.).

Pulcinelli prende giustamente le distanza dalla recezione acritica di questa prospettiva che, con il libro di Sanders, ha comunque apportato un contributo enorme ad una rivalutazione del giudaismo dei tempi di Gesù. Pulcinelli osserva la porosità dei confini fra il nomismo del patto e il scivolamento lento, talvolta involontario, ma inarrestabile in un legalismo di fatto poggiante fiducioso sull’osservanza della Legge come mezzo per ottenere la salvezza.

Paolo conosceva molto bene il giudaismo del suo tempo, meglio degli studiosi attuali… Resta chiaro che, per Paolo, «la giustizia di Dio, il Cristo di Dio, il popolo di Dio e il Regno di Dio sono tutte cose che vanno insieme in modo inseparabile. Non si tratta soltanto del problema della salvezza del singolo, ma della riconciliazione del cosmo e dell’avvento escatologico del Regno di Dio» (p. 74).

Lutero aveva visto giusto sotto tanti punti di vista, tranne quello di identificare in modo irruente e avventato il sistema legalistico con quello della Chiesa cattolica e il vangelo con la sua proposta teologica e spirituale della pura fede nella giustificazione gratuita.

Il c. IV (“Il concetto biblico-teologico dell’espiazione e la morte di Cristo pro nobis”, pp. 75-86) riassume brevemente la tesi di dottorato dell’autore. Deve esser ricordato a tutti come nella Bibbia, a differenza della concezione moderna e del sistema penale odierno, chi espia è sempre Dio, mai l’uomo. Dio lava e toglie il male, superando ogni seppur buona sostituzione vicaria ben espressa anche nel Quarto carme del servo sofferente (Is 52,13–53,12).

L’espiazione, che si avvale di un linguaggio certamente ostico e ormai compromesso dall’accezione odierna dei termini, si presenta come il culmine e lo scopo della vita di Cristo, vissuta come pro-esistenza. Gesù Cristo – afferma Pulcinelli – «sottrae l’umanità alla sfera del peccato e alle sue conseguenze (cf. la “maledizione”), si pone là dove il male dispiega tutto il suo potere e lo trasforma in giustizia e benedizione per noi. La morte espiatoria di Gesù si configura dunque come una parte integrante o meglio la conseguenza ultima, il culmine dell’azione salvifica di Dio sul piano escatologico, che ha avuto inizio con la proclamazione del regno di Dio da parte di Gesù inviato dal Padre e nel suo atteggiamento solidale e pro-esistente, cioè il vivere completamente a sevizio e a beneficio dei suoi fratelli e sorelle, fino a morire (e risorgere) per loro. Questo dato permette altresì di evitare il rischio che venga isolata la domanda sul significato della morte di Gesù, senza più connessione con la sua vita terrena» (p. 85-86).

Il c. V (pp. 87-100) si sofferma sulla morte di Gesù e sull’interpretazione sacrificale nel Nuovo Testamento. Si studiano soprattutto alcuni testi della Lettera agli Ebrei, il loghion di Mc 14,24b sul sangue dell’alleanza e Rm 3,25, circa il quale ci si domanda se la morte di Cristo vada intesa come un sacrificio.

Il “sacrificio” di Cristo – spesso espresso con la preposizione polisemantica hyper – si presenta come offerta personale di sé, certamente onerosa, ma mai compiuta per soddisfare o pagare un prezzo a Dio, alla morte o al diavolo. È un “sacrificio” esistenziale, un’offerta personale della propria vita per noi/per tutti/per voi, non per Dio!

Paolo intende la formulazione soteriologica della morte di Gesù, che poi si è imposta nella tradizione teologica, come una morte pro nobis, «a nostro vantaggio/beneficio», «per la nostra liberazione» ecc. Le formulazioni soteriologiche di Paolo non implicano per sé una valenza sacrificale. Se proprio si vuole usare questo termine per descrivere il valore soteriologico dell’amore di Gesù, si deve tenere ben presente che non si tratta di un sacrificio rituale come quelli attestati nell’AT, ma di un sacrificio esistenziale. «[La] sua [= di Gesù] pro-esistenza culmina in un atto oblativo di solidarietà estrema con tutti gli uomini: egli dona se stesso per salvarli e introdurli nell’intimità con Dio» (p. 100).

Il c. VI (“Il significato agapico della sofferenza di Cristo e del suo sacrificio”, pp. 101-116) rinforza l’interpretazione del “sacrificio” di Cristo come offerta generosa della propria vita per amore, un’offerta agapica di sé pro nobis.

Il valore salvifico dell’obbedienza e della morte di Cristo è sostenuto con forza nella letteratura paolina (cf. 2Cor 5,21; Gal 1,4; Gal 2,19-20; Rm 5,8.19b; 8,32; cf. anche 1Gv 3,16). Ci si sofferma soprattutto sul loghion di Mc 10,45, domandandosi se Cristo abbia dato valore salvifico alla sua sofferenza e alla sua morte.

La redenzione non è legata alla sofferenza, ma all’amore. Il cristiano completa quello che nella sua vita/carne manca ai patimenti di Cristo. Le “tribolazioni” del cristiano sono quelle di Cristo – alle quali non manca nulla –, sono sofferte in luiricalcano le sue, in quanto Cristo soffre in ogni membro del suo corpo che è la Chiesa. In questo senso sono inserite in quelle di Cristo e portano frutto per la comunità.

Il c. VII si sofferma sul fatto che «anche Abramo ottenne la giustizia mediante la fede. Paolo interprete delle Scritture alla luce di Rm 4» (pp.117-140). Paolo lo dimostra avvalendosi in modo particolare della tecnica esegetica ebraica chiamata gezarah shawah, l’accostamento cioè di due testi che contengono una medesima parola.

Il c. VIII conclude il libro con una riflessione sulla concezione paolina della storia della salvezza, vista come compimento della rivelazione dell’evento Cristo (cf. Gal 3,1–4,7 e spec. 4,4; Rm 8,3), soprattutto nella sua morte salvifica pro nobis.

La rivelazione attuata da Cristo si rivela per Paolo essere anzitutto rivelazione della giustizia salvifica di Dio (cf. Rm 3,21-26 e 1,16-17). Questo, in definitiva, è il Vangelo paolino del Dio per noi, a cui rimanda il sottotitolo di questa volume molto importante di Pulcinelli.

Il testo si conclude con le fonti dei contributi parzialmente rivisti e aggiornati dei singoli capitoli (pp. 171-172) e l’indice dei nomi (pp. 173-177).

Da parte nostra speriamo che l’opera di Pulcinelli concorra a chiarire molti malintesi esistenti attorno alla teologia paolina, e cristiana in genere, in particolare alla soteriologia. A questo scopo l’autore ha profuso ogni sforzo e il suo lavoro produrrà senz’altro molti frutti.

Chi scrive queste note è appassionato da anni circa questi temi (cf. Il dono e il donatore. Appunti di spiritualità paolina) e spera che il volume di Pulcinelli diventi lettura obbligatoria nei corsi teologici e possa essere di grande aiuto per la formazione di presbiteri, consacrati e laici.

Giuseppe PulcinelliLa giustizia di Dio, salvezza per chiunque crede. Il Vangelo paolino del Dio per noi, EDB, Bologna 2019, pp. 184, € 19,59.