La gioia della consacrazione

di Salvatore M. Perrella

Il 2 febbraio la Chiesa celebra, secondo un’antica tradizione risalente al VI-VII secolo, un evento della vita del Signore che getta luce sulla sua identità e missione universale. Si tratta della Presentazione al tempio di Gesù da parte dei suoi genitori (cfr. Luca, 2, 22-40). In tale giorno si celebra contestualmente anche la Giornata mondiale della vita consacrata. Il testo evangelico della celebrazione liturgica pone in evidenza, in un contesto di luce trascendente, il Figlio di Dio e della Vergine donato all’umanità come rivelazione, luce e salvezza. Il rito a cui il Bambino viene sottoposto declina sia l’appartenenza al popolo delle promesse, sia la sua appartenenza al Dio dell’alleanza, di cui egli ne è e ne sarà il rivelatore storico ed escatologico. Nessuno come lui è vero Figlio del Padre; nessuno come lui è autore e perfezionatore della nostra fede (cfr. Ebrei, 12, 2); nessuno come lui è più prossimo a ogni uomo cercatore di verità, di santità e di salvezza.
La vita religiosa è un dono prezioso per la vita della Chiesa e per il mondo; dono ed esperienza plurisecolare che oggi più che mai vanno difesi, promossi, riletti e riproposti alle giovani generazioni postmoderne, che sembrano, almeno in Occidente, non interessate a tale carisma, donazione e servizio. La vita consacrata è in definitiva una esistenza dedita integralmente, spirito, anima e corpo, cioè toto corde, al Signore sommamente amato e servito; per poi porsi come segno nel mondo e tra gli uomini di un amore che sazia, disseta, sostiene e dà gioia. In una società postmoderna, che attraverso i mass-media, le varie forme di pubblicità, il permissivismo, confonde amore e sesso e cerca di sottrarsi all’angoscia della solitudine esistenziale con l’ebbrezza dell’eros senza impegno e responsabilità, la vita consacrata risponde che essere amati da Dio in Gesù Cristo può bastare a superare ogni solitudine e a sprigionare energie di amore oblativo al servizio degli altri. La gioia è il senso di pienezza dell’essere, che viene esperito nella sua dimensione più alta che è lo spirito, per cui Gabriel Marcel può legittimamente parlare del gaudium essendi. Sì, la gioia si colloca nella sfera dell’essere, ne è il suo splendore.

(©L’Osservatore Romano 2 febbraio 2013)