La fragile identità dell'uomo nella società di oggi

Se la dignità è anoressica

di Paolo Becchi

Silete theologi in munere alieno!: questa celebre affermazione del giurista Alberico Gentili (1612) segna, nella sua icasticità, le linee fondamentali di quell’ultima grande narrazione, il dominio della ragione, che ha segnato quel processo di razionalizzazione e di disincanto proprio dell’Occidente moderno di cui parlava Max Weber. Di fronte al persistente rilievo sociale delle religioni e ai conflitti che sollevano tutta una serie di scottanti questioni bioetiche, ai rischi – bene individuati negli ultimi scritti di Habermas – di un "deragliamento" della modernizzazione, siamo costretti, oggi, a rivedere il senso di quella razionalità e il significato di un principio, quello della dignità umana, messo oggi a dura prova soprattutto dalle nuove potenzialità bio-tecnologiche applicate all’uomo. Dal punto di vista della tradizione giudaico-cristiana, la dignità è fondata sull’idea biblica che l’uomo sia stato creato "a immagine e somiglianza di Dio" (Genesi, 1, 26-27): qualcosa d’inscalfibile, d’indisponibile risiede nell’uomo, perché l’uomo è l’unica traccia del divino nel mondo, e di un divino che, con il Cristo, si incarnerà, si farà a sua volta uomo. È questa una visione ontologica, "essenzialistica", della dignità, che presuppone una concezione statica, invariante dell’uomo e della sua natura. La dignità non ha bisogno di essere realizzata, può soltanto essere rispettata come qualcosa che c’è sempre quando c’è un essere umano: gli si addice in virtù del suo particolare statuto ontologico, in quanto l’uomo è sfiorato da Dio. La secolarizzazione ha implicato una sfida senza precedenti a questa idea della dignità umana. Dal De hominis dignitate (1486) di Giovanni Pico della Mirandola a Bacone, le progressive acquisizioni della rivoluzione scientifica e le sue ricadute in ambito tecnologico rappresentano il riconoscimento dell’assoluta superiorità dell’uomo nel mondo, di più la totale estensione del suo dominio. La vocazione dell’uomo diventa la vita attiva: è l’inizio del trionfo dell’homo faber che, ormai consapevole di tutte le sue forze, non ha più bisogno di Dio per autocomprendersi. Al culmine – ma, nel contempo, nel crepuscolo – dell’illuminismo, sarà Kant a tentare un nuovo rovesciamento dei termini della questione considerando l’uomo dotato di un "valore intrinseco", assoluto, senza, tuttavia, riuscire ad abbandonare la concezione moderna della dignità: non è dalla natura dell’uomo che discende la sua dignità, ma dalla sua determinazione morale, in quanto propria di un essere razionale. È l’idea della libertà, come presupposto dell’esistenza di un ordine morale del tutto separato dall’ordine della natura, a conferire dignità all’uomo: solo in quanto capace di moralità l’uomo acquista, per i moderni, quel valore assoluto con il quale ora si identifica la sua dignità. Ebbene, questa separazione tra ragione e natura, sembra, con l’estendersi del potere tecnologico, presagio oggi di un’apocalisse strisciante, in cui è l’uomo stesso, in quanto essere "naturale", a venire messo in discussione. Tanto l’inizio quanto la fine della vita umana sono ormai sottoposti integralmente al dominio della tecnica e la manipolazione genetica dell’uomo rappresenta per la sua dignità una minaccia di una portata mai vista prima. L’affrancamento dalla trascendenza, l’assolutizzazione dell’immanente, sta sortendo come effetto paradossale la riduzione dell’umano a oggetto di libera manipolazione: da soggetto di dominio, l’uomo è diventato oggetto stesso di dominio, strumento passivo e inerte di sperimentazioni sempre più raffinate e sconvolgenti. Stiamo avanzando sempre più verso modelli di esistenza postumana – postorganico, cyborg, bionico – che stanno, insieme all’ingegneria genetica, erodendo fortemente il concetto stesso di natura umana. C’è oggi persino chi afferma che l’uomo sia antiquato – e non con l’angoscia disperante di un Günther Anders – e difende l’idea di una dignità postumana. La specie umana, insomma, sembra arrivata al capolinea della sua evoluzione e già si delinea all’orizzonte una nuova realtà: la creazione di una nuova specie mediante l’intervento diretto sul codice genetico di quella esistente. Non avremo modo di sfuggire a questo "uomo nuovo", forse, finché non saremo in grado di tenere salda un’opzione di fede, un’idea atemporale e ontologica, dell’uomo. Forse potrà salvarci soltanto il recupero del senso religioso del limite, la percezione del senso del sacro che, per l’Occidente giudaico-cristiano, comincia con la dignità trascendente dell’uomo in quanto imago Dei. Ma, proprio nel campo della bioetica, ci troviamo, oggi, spesso davanti a una mitizzazione dell’autonomia, che è del tutto inadeguata alle sfide che le biotecnologie applicate all’uomo hanno ormai aperto. È sufficiente una nozione di dignità umana come autonomia quando in discussione non è più l’essere umano in quanto individuo, bensì in quanto appartenente alla specie umana? Perché vietare la produzione di embrioni a fini di ricerca quando con essa vi è la possibilità di sconfiggere alcune malattie? Perché continuare ad affidarsi al caso quando la biologia molecolare ci offre oggi la possibilità di guidare e controllare l’evoluzione? Perché vietare la clonazione umana, dal momento che con essa si potrebbe replicare l’eccellenza umana? Non ho, personalmente, una risposta definitiva e netta a tutte queste domande. Mi limito a constatare che molte di esse difficilmente potranno trovare una soluzione se interpretiamo la dignità soltanto attraverso il concetto di autonomia. Perlomeno, quando la tutela della dignità non riguarda più singoli individui, ma la specie umana in quanto tale, quell’idea rivela il suo limite e riaffiora prepotentemente il bisogno di qualcos’altro. La dignità come autonomia da sola non basta, ha bisogno di nutrirsi di una sostanza che non riesce a produrre da sé. Questo nutrimento lo si può ritrovare nelle trascendenti e potenti immagini che la religione, nonostante il suo annunciato tramonto, continua a custodire. (©L’Osservatore Romano – 18 luglio 2010)