La conversione è il centro della vita cristiana

ROMA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Vangelo della terza domenica di Quaresima (Luca 13, 1-9) potrebbe essere stato scritto anche ai nostri giorni. Gesù sapeva che tutti parlavano di due tragici fatti appena successi: il governatore romano della Giudea, Ponzio Pilato, aveva compiuto un massacro di ebrei nel tempio, mentre i sacerdoti offrivano a Dio i loro sacrifici; e 18 persone erano morte per il crollo della torre di Siloe a Gerusalemme. Notizie quotidiane anche ai nostri tempi.

Come spiegare quelle morti violente? Molti pensavano che quei morti avevano sbagliato, erano colpevoli di qualche delitto o peccato grave e pagavano le loro colpe: Dio li aveva puniti, la sua ira si era scatenata contro di loro. Il buon ebreo che pensava così era anche convinto di essere innocente, quindi non poteva succedergli niente di simile: viveva quelle tragedie come spettatore esterno, incuriosito, scandalizzato, ma non provocato nella sua vita. Ma Gesù dice che quei morti non erano più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme. E conclude dicendo: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Parole forti rivolte agli ebrei del suo tempo, ma anche a noi cristiani del nostro tempo.

Cari fratelli e care sorelle, giornali e televisioni portano ogni giorno nelle nostre case i morti per il terremoto all’Aquila o in Cile, i morti di guerre e terrorismi, gli arresti e processi per fatti di corruzione amministrativa o politica, per rapine o altre gravi trasgressioni delle leggi. Noi siamo spettatori scandalizzati, non ci viene in mente che altre disgrazie simili o diverse, ma egualmente rovinose per la nostra vita, possano capitare anche a noi. Ma Gesù dice anche a noi in questa Quaresima: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”.

Ci pare impossibile che a noi, persone normali e bravi cristiani (e bravi preti) che viviamo una vita del tutto onesta e pacifica, Gesù venga a chiederci di convertirci. Eppure oggi Gesù lancia anche a noi tre messaggi:

1) Dobbiamo imparare a leggere l’attualità non con la sola logica umana, ma con gli occhi della fede. La fede mi dice che nulla succede senza un significato anche per la mia vita. Dio mi manda continuamente messaggi di amore e di misericordia, ma anche di conversione. Sono i cosiddetti “segni dei tempi” che nel Vangelo di domenica il Signore mi invita a leggere con fede. In altre parole, tutto quello di positivo che succede nel mondo e attorno a me è un invito all’imitazione, tutto il negativo mi dimostra concretamente gli effetti del peccato ed è una provocazione anche per me, di quanto male il peccato porta a chi lo commette e all’intera società; le disgrazie naturali (terremoti) o i malanni fisici (ad esempio cancro), ci indicano la situazione precaria dell’uomo su questa terra. La scena di questo mondo passa in fretta, dobbiamo sempre essere preparati a lasciarlo!

2) Nessuno può presumere di essere giusto. I santi avevano coscienza della loro debolezza, chiedevano spesso a Dio la grazia della conversione. A volte sembravano esagerati nelle loro espressioni: “Sono l’ultimo dei peccatori!” diceva spesso il Curato d’Ars. In realtà non lo erano, perché più l’uomo si avvicina a Dio e più gli appare la propria miseria e piccolezza. Più uno è lontano da Dio e più pensa di essere giusto e di non aver bisogno di conversione. E’ questo un esame di coscienza, per noi che presumiamo di essere giusti agli occhi di Dio e pensiamo di esserci già convertiti a Cristo o che comunque la conversione non è per noi un problema urgente, immediato, non esiste nelle nostre preoccupazioni quotidiane.

Voi ricordate il beato Papa Giovanni XXIII, “il Papa buono” che suscitò nel mondo intero, anche fra i popoli non cristiani, sentimenti di ammirazione e di amore per il cristianesimo che lui rappresentava col suo sorriso e la sua umanità. Ebbene, Papa Giovanni negli ultimi giorni della sua vita (morì il 3 giugno 1963), scriveva nel suo “Diario dell’anima”: “Debbo prendere sul serio la necessità della mia conversione”. Pensate, aveva 82 anni e sarebbe morto pochi giorni dopo! In tutta la sua vita si era impegnato a lavorare solo per Dio e per la Chiesa. Ma prima di morire capiva che avrebbe avuto ancora un lungo cammino di conversione da fare! Ecco un santo che è vissuto nella perenne tensione verso la santità.

Un grande missionario che ho conosciuto bene, padre Giovanni Battista Tragella, nel 1968 aveva 84 anni ed era a letto. Morì una settimana dopo avermi incontrato. Mi diceva: “Vedi, sento che sto morendo e mi chiedo perché il Signore ci fa vivere così poco!”. Io avevo 38 anni e non capivo, gli dicevo che aveva vissuto e lavorato tanto ed era stato di esempio a molti, ma lui rispondeva: “Tu sei giovane e non capisci. Adesso che si avvicina la morte capisco meglio di prima quale immenso dono da spendere è la vita. Se avessi ancora tempo per vivere, potrei fare molto meglio, per imitare il modello del Signore Gesù”.

3) La vita cristiana, e specialmente di noi preti e persone consacrate, deve essere una tensione continua verso l’imitazione di Cristo, verso l’unione con Dio e la santità.

Nel nostro mondo globalizzato e secolarizzato, in cui non esiste più una “civiltà cristiana” e un “cristianesimo di massa”, la fede e la vita cristiana diventano sempre più una scelta personale e cosciente. La “nuova evangelizzazione” di questa umanità nuova e diversa avviene principalmente attraverso la testimonianza che noi credenti in Cristo riusciamo a dare con la nostra vita quotidiana. “L’uomo contemporaneo – scriveva Paolo VI nella “Evangelii Nuntiandi” (1975, n. 41) – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni”. Lapidario il grande Paolo VI!

La vita cristiana è bella ed esaltante, ringiovanisce perchè ogni giorno ricomincia da capo con un cammino nuovo verso nuove mete da raggiungere sulla via della santità. Dobbiamo chiedere a Dio la grazia della conversione, non solo, ma di poter vivere in una continua e consolante tensione verso il Signore Gesù. (di Piero Gheddo)