La Chiesa va sul web Ma la rete non basta

Dwight J. Friesen, professore associato di Teologia pratica presso la Mars Hill Graduate School di Seattle, immagina «il regno di Dio nei termini di essere relazionalmente connessi con Dio, gli uni con gli altri, e con tutta la creazione». In questa visione certo possiamo ritrovare quella del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che afferma la sacramentalità della Chiesa nel suo essere «strumento della riconciliazione e della comunione di tutta l’umanità con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Il pensiero di Friesen esprime una visione della Chiesa propria della cosiddetta emerging church, un ampio movimento, complesso e fluido, dell’area evangelico-carismatica, che intende reimpiantare la fede cristiana nel nuovo contesto post-cristiano. Esso va al di là delle singole confessioni cristiane e si caratterizza per il rifiuto delle strutture ecclesiali cosiddette “solide”. Molta enfasi è invece posta sui paradigmi relazionali, su tutte le espressioni che – citando Zygmunt Bauman – potremmo definire “liquide” della comunità, su approcci inediti e fortemente creativi alla spiritualità e al culto. Ne risulta una Chiesa «organica, interconnessa, decentralizzata, costruita dal basso, flessibile e sempre in evoluzione».

In questa immagine sembra che la natura e il mistero della Chiesa si diluiscano nell’essere uno “spazio connettivo”, un hub di connessioni, che supporta un’“autorità connettiva” il cui scopo consiste sostanzialmente nel connettere le persone. La metafora scelta, il modello, è Google. Scrive infatti Friesen che Google ci aiuta a comprendere meglio i connective leaders, perché il noto motore di ricerca non è in se stesso l’informazione che cerchiamo, ma ciò che ci collega a quello che cerchiamo. Nessuno visita il sito di Google per se stesso, per visitare il sito, ma per raggiungere ciò che cerca. Dunque, conclude Friesen, «questa visione connettiva (networked) di leadership è vitale per comprendere chi sia il leader connettivo e quale autorità relazionale sia in ballo in una visione relazionale connettiva (networked) del mondo». L’autorità di Google non è intrinseca, ma è qualcosa che il motore si guadagna consegnando ai suoi utenti le connessioni che riesce a stabilire. Questa è l’“autorità connettiva” di Google: la sua capacità di mettere in relazione.

L’idea di Chiesa che emerge da questa visione è quella di una Networked Church, che ripensa e ricomprende le strutture delle chiese locali. Esse diventano Christ-Commons, il cui scopo primario è quello di creare e sviluppare un ambiente connettivo dove è facile che la gente si raggruppi (to cluster) nel nome di Cristo. Per comprendere questa idea, occorre chiarire due concetti-chiave: quello di common e quello di cluster.

Il common è uno spazio connettivo pubblico quale, ad esempio, una piazza, un giardino pubblico di proprietà non privata. Questo termine è usato per indicare altre cose di carattere “comune”. In particolare, in rete l’espressione è ben nota perché indica una tipologia di licenze che permettono a quanti detengono diritti di copyright di trasmetterne alcuni al pubblico e di conservarne altri. Per esempio: di poter distribuire un testo originale senza però avere il diritto di modificarlo, oppure di poterlo distribuire purché non in maniera da trarne profitto economico. È una licenza destinata alla condivisione senza tutte le restrizioni tipiche del classico copyright, dunque.

Tutto questo entra nell’idea del Christ Common, che è «una struttura visibile, qualcosa come un’istituzione, una denominazione, un edificio, una celebrazione, un piccolo gruppo che è formalmente creato con la speranza che la struttura costituisca un ambiente o uno spazio dove le persone possano fare un’esperienza di vita in connessione con Dio e con gli altri».

La Chiesa, in questa visione, sarebbe dunque una struttura di supporto, un hub, una piazza, dove la gente può “raggrupparsi”, dar vita a gruppi, o meglio “grappoli” (cluster) di connessioni. Il termine cluster ha un’eco precisa nel mondo della telematica, perché identifica un insieme di computer connessi tramite una rete. Lo scopo di un cluster è di distribuire un’elaborazione molto complessa tra i vari computer che lo compongono. Questo ovviamente aumenta la potenza di calcolo del sistema. Dunque la Chiesa come Christ Common non è un luogo di riferimento, non è un faro che in sé emette luce, ma una struttura di supporto. Il suo obiettivo non è far crescere i suoi membri, ma far crescere il regno di Dio.

Questa visione offre un’idea della comunità cristiana che fa proprie le caratteristiche di una comunità virtuale leggera, senza vincoli storici e geografici, fluida. Certo, questa orizzontalità aiuta molto a comprendere la missione della Chiesa, che è inviata a evangelizzare. In effetti tutta l’impostazione della emerging ecclesiology è fortemente missionaria. In questo senso valorizza la capacità connettiva e di testimonianza. D’altra parte sembra smarrirsi la comprensione della Chiesa come “corpo mistico”, che si diluisce in una sorta di piattaforma di connessioni.

Antonio Spadaro – avvenire.it