La Chiesa di Francesco e quella delle mummie

i concludono gli esercizi spirituali e papa Francesco ringrazia con parole importantissime don José Tolentino Mendonça, che dal 18 febbraio fino a oggi ha predicato gli esercizi spirituali di Quaresima al papa e ai suoi collaboratori della Curia romana. “Grazie”, ha detto il papa riferendosi in particolare ad una chiamata fatta dal predicatore, quella ad aprirsi senza paure, senza rigidità, per essere morbidi nello Spirito e

non mummificati nelle nostre strutture che ci chiudono.

Si coglie qui un punto importantissimo per il pontificato di Jorge Mario Bergoglio, una Chiesa non burocratica, non arroccata, ma Chiesa in uscita, ospedale da campo. Una Chiesa cioè, come ha detto ai gesuiti incontrati in Myanmar, che sia nel crocevia della storia, che parli una lingua comune e accessibile a tutti i popoli di questo nostro tempo. Chiesa in uscita vuol dire proprio come ha detto il predicatore una Chiesa “che non diventi una gabbia per lo Spirito Santo”. Quello Spirito Santo che soffia ovunque, non solo nelle parrocchie o tra i cattolici, perché Dio è all’opera ovunque, anche tra le altre culture.

Per questo la Chiesa di Francesco non può chiudersi su sé stessa, non può allontanarsi dal grande progetto di divenire strumento dello Spirito Santo per costruire la civiltà dell’armonia tra le civiltà e non certo dello scontro di civiltà. E quell’espressione molto forte usata dal predicatore, “mummificati nelle nostre strutture”, non poteva che colpire papa Francesco, per la chiarezza del linguaggio, l’efficacia e l’accessibilità dell’espressione.

Perché il rischio che la Chiesa in uscita vuole sconfiggere è proprio questo, la mummificazione nelle pastoie burocratiche, nel chiuso degli uffici, tenendola lontana dalla vita concreta dei suoi contemporanei. La Chiesa di Francesco è compagna di vita, è vicina, mai rigida, come la carne umana è solo dopo la morte. Questa Chiesa trova nelle mummie evocate dal predicatore proprio il suo opposto, un corpo più che fermo immobile, rigido! Rigido nella carne e nel pensiero, si potrebbe dire, ricordando il vecchio intransigentismo, che parlava di esclusivismo e non certo di inclusione. Quindi si può dire che il predicatore di questi esercizi spirituali del 2018, don José Tolentino Mendonça, ha creato una metafora preziosa per spiegare il senso di questo pontificato e la teologia del dialogo, che include e non esclude.

Importantissima poi la frase con cui il papa ha ricordato questa giornata di preghiera per la pace, nella quale si parla anche della Siria, al centro di nuove efferate barbarie soprattutto alla Ghouta, quella periferia di Damasco straziata da un interminabile assedio peggiore di quelli medievale, che dal 2013 impedisce a 400mila persone di ricevere alimenti, medicine ed altri generi di prima necessità, e che ora è da domenica sotto le bombe dei caccia bombardieri.

Il mondo, le diplomazie, sembrano essersi dimenticati ancora una volta della Siria, questa volta dei bambini, delle donne e degli anziani della Ghouta, ridotti a scheletri e ora sottoposti a bombardamenti feroci. Se ne è ricordato, ovviamente insieme a tutte le altre vittime siriane, la Chiesa in uscita di Jorge Mario Bergoglio. Che, leggendo, sembra chiedere se le diplomazie siano mummificate, immobili nella loro incapacità di vedere il Sud Sudan, il Congo, la Siria e le altre straziante ferite che distruggono ogni giorni milioni di vite. Ma per la Chiesa in uscita di Jorge Mario Bergoglio, forte soprattutto della sua geopolitica della misericordia, nessuno è sconosciuto, nessuno può essere dimenticato. Come troppo spesso accade per le diplomazie.

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