La Chiesa che sogno

di Andrea Lebra in Settimana News

Ho avuto la fortuna, nel giugno 2014, di essere eletto membro del 21° sinodo diocesano della Chiesa che è in Novara. La partecipazione ai lavori del sinodo è stata, per me, un’esperienza arricchente sotto il profilo personale, umano, spirituale ed ecclesiale. Ormai al termine di questa esperienza ecclesiale fuori del comune, dopo aver letto con attenzione le 70 proposizioni approvate dall’assemblea sinodale il 12 marzo 2016, ho sintetizzato in dieci punti la risposta alla domanda “Come sogni la Chiesa di domani?” che dà il titolo alla lettera pastorale scritta dal mio vescovo Franco Giulio Brambilla nell’agosto del 2013.

Chiesa popolo di Dio. Mi piacerebbe che, quando si dice “Chiesa”, non si pensasse solo a papa, vescovi, presbiteri e diaconi (e istituzioni ecclesiastiche), ma, prima di tutto, all’intero popolo di Dio che, mediante la fede e il battesimo, partecipa, nella diversità di funzioni, della essenziale vocazione sacerdotale, profetica e regale del Signore Gesù per testimoniare e annunciare l’amore teneramente materno di Dio Padre per tutti gli esseri umani. Sogno una Chiesa che guarda ai laici, uomini e donne, non come a semplici destinatari di disposizioni provenienti dall’alto, ma come a persone alla sequela di Cristo che, grazie al sensus fidei, alimentano e vivificano la vita ecclesiale con pensiero critico, con fede salda, con speranza feconda, con carità operosa, con pratiche di vita e atti di culto: in sintesi, con la loro ricezione del senso vivo del Vangelo. Sogno un convinto e robusto avvio e consolidamento di un’adeguata formazione di nuove figure ministeriali laicali in grado di assumere responsabilità in ordine all’animazione delle comunità prive della presenza stabile del presbitero.

Chiesa che vive della parola di Dio. Mi piacerebbe una Chiesa nella quale i credenti, comunitariamente e individualmente, hanno largo accesso alla parola di Dio e in modo consapevole, esteso e condiviso sono impegnati ad animare, con le Scritture sacre, tutta l’azione pastorale delle comunità in cui sono inseriti. L’evangelizzazione richiede la familiarità con la parola di Dio e questo esige che ogni comunità offra l’opportunità di uno studio serio e perseverante della Bibbia, promuovendone la lettura orante e il continuo confronto in grado di orientare le scelte di vita dei cristiani in modo conforme al Vangelo. E sogno anche una Chiesa nella quale i “ministri della Parola” non improvvisano le omelie, ma le preparano adeguatamente tenendo conto delle persone che hanno di fronte e valorizzando, all’interno di idonee iniziative pastorali ad hoc, le risonanze che la lettura orante della Parola provoca nella coscienza dei credenti.

Chiesa dalla liturgia partecipata. Sogno una Chiesa nella quale la partecipazione dei credenti alla celebrazione, in primo luogo dell’eucaristia, è compresa non solo come “intimo contatto” dell’anima con il senso della celebrazione, ma anche come una partecipazione consapevole, attiva, fruttuosa, piena, esterna e interna, comunitaria, effettiva, ardente di fede salda, di speranza viva e di carità operosa, docile alla grazia divina per non riceverla invano. Soprattutto sogno una Chiesa nella quale alla partecipazione attiva e consapevole alle celebrazioni liturgiche segua un coerente e retto compimento, da parte dei cristiani, dei doveri nelle condizioni ordinarie di vita, testimoniando una fede che, alimentando la speranza attraverso la carità, abbia una reale incidenza nella vita delle persone e delle comunità. Mi piacerebbe anche una riforma del linguaggio liturgico più rispettoso dei generi, dal momento che oggi è profondamente sbilanciato al maschile.

Chiesa incarnata nella storia e amica dei poveri. Sogno una Chiesa nella quale i cristiani, compresi i pastori, non rimangono ai margini dell’impegno fattivo per la giustizia sociale e la promozione della dignità umana, ma sono consapevoli dei doveri inderogabili di solidarietà e di partecipazione alla costruzione di un mondo migliore. I cristiani, in cammino verso la città celeste, ricercano e gustano le “cose di lassù” (Col 3,1-2), senza diminuire, anzi aumentando, l’importanza del loro dovere di collaborare con tutti per la costruzione di un mondo più umano. Sogno una Chiesa che fa deliberatamente preferenza di persone, in quanto amica dei poveri e voce profetica che promuove e tutela la dignità dei deboli.

Chiesa cristocentrica. Mi piacerebbe una Chiesa che, invece di accontentarsi dell’apparente chiarezza di qualche sintesi catechistica di corto respiro o di privilegiare la trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere, si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario, su ciò che appassiona e attira di più, su ciò che fa ardere il cuore come a Cleopa e – mi piace pensare – alla sua compagna di viaggio, in un tramonto di sole sulle strade di Emmaus (Lc 24,13-35): cioè, il Signore Gesù Cristo e il suo Vangelo. Sogno un grande movimento nel quale laici (uomini e donne), religiosi e religiose, presbiteri e diaconi, operatrici e operatori pastorali, famiglie promuovono coralmente nelle nostre comunità la sola vera radicale conversione: quella a Gesù di Nazaret e al suo Vangelo, come via per condurre un’esistenza buona, bella e felice.

Chiesa sinodale. Sogno una Chiesa nella quale l’ascolto è non solo il momento iniziale di ogni azione pastorale ma anche la disposizione di fondo che ne regola la concretizzazione: essa preferisce i dialoghi ai discorsi. Sinodalità è un “camminare insieme” non solo di vescovi, ma di tutto il popolo di Dio. Nella Chiesa sinodale “ciò che riguarda tutti, da tutti è trattato”, nessuno si eleva al di sopra degli altri e chi esercita le funzioni di governo lo fa ricordandosi che il più grande è come il più piccolo e chi governa come colui che serve (Lc 22,16). L’immagine privilegiata è quella della piramide capovolta, il cui vertice si trova al di sotto della base. Sogno una Chiesa nella quale i pomposi titoli nobiliari e onorifici sono finalmente e radicalmente soppressi e sostituiti dalle categorie evangeliche della fraternità e della sororità.

Chiesa in uscita missionaria. Sogno una Chiesa che previene ed estirpa la malattia spirituale dell’autoreferenzialità. Non si chiude in se stessa: nella curia, nella parrocchia e nel gruppo di chi la pensa allo stesso modo o guarda narcisisticamente a se stesso. Si apre all’incontro con gli altri e si lascia raggiungere dalle altrui obiezioni. Prende l’iniziativa per andare incontro ai lontani, per invitare gli esclusi, per accorciare le distanze dai diffidenti, per intercettare ai crocicchi delle strade gli indifferenti, per proporre la bellezza e la gioia del Vangelo ai cosiddetti non credenti.Non aspetta che la gente venga, ma va a cercarla là dove vive per ascoltare e dialogare, benedire e incoraggiare, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce, perplessità e dubbi, interrogativi e aspirazioni.

Chiesa non clericale. Sogno una Chiesa che previene e contrasta con determinazione uno dei vizi più deleteri: il clericalismo. Si tratta di un male complice, perché ad una parte consistente di clero piace la tentazione di avere laici e laiche con una mentalità clericale (clericalismo attivo), da mantenere ai margini delle decisioni; ma tanti laici e tante laiche, in ginocchio, chiedono di rimanere in una posizione subalterna, perché è più comodo e meno responsabilizzante (clericalismo passivo). È anche il clericalismo, nella sua duplice accezione, che impedisce ai laici (uomini e donne, giovani e meno giovani) di avere coscienza delle loro responsabilità e che finisce con l’alimentare forme scialbe di cristianesimo. Sogno una Chiesa nella quale presbiteri e laici (uomini e donne) si sentono – e lo sono realmente – corresponsabili dell’edificazione della comunità, pur nella distinzione dei ruoli.

Chiesa di donne e uomini. Sogno una Chiesa segnata equamente e visibilmente dal maschile e dal femminile, entrambi creati ad immagine e somiglianza di Dio. Tra le molte e romantiche parole sulla donna e la sua reale condizione nella comunità ecclesiale vi è una distanza che richiede di essere drasticamente ridotta. Sogno, allora, una Chiesa nella quale il pensare, il progettare, il pianificare e il decidere è una questione di uomini e di donne; una Chiesa dove anche negli spazi alti ci si siede alla pari, donne e uomini mescolati, dall’eguale dignità e dall’armonica reciprocità ed interdipendenza, dove la differenza non è né negata né livellata ma valorizzata per far emergere l’umano in modo completo. E sogno anche una Chiesa capace di offrire ai credenti parole coraggiose e testimonianze significative per prevenire e contrastare, con la luce e la forza del Vangelo, ogni forma di reificazione della donna e di violenza nei suoi confronti.

Chiesa misericordiosa. Mi piacerebbe una Chiesa libera da arroganza e presunzione che mette al bando occhi duri e faziosi, lingue taglienti e impietose, voci senza fascino e senza sussulti, giudizi insindacabili fatti cadere come clave paralizzanti. Soprattutto sogno una Chiesa che, con un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, fa emergere le ragioni della speranza là dove sono più percettibili i segni dello scoramento e della delusione, della fatica e della frustrazione, della tristezza e della rassegnazione.