La Bibbia? Meglio dell’Odissea

«Ottanta anni in 80 risposte (e forse più)». Il biblista don Bruno Maggioni festeggia domani i suoi ottant’anni con un lungo e vivace libro-intervista sulla sua esperienza di uomo, di credente, di prete, di studioso. Titolo: «Solo il necessario» (Àncora, pp. 142, euro 13,50 / scheda on line su ibs con 15% di sconto>>>); eccone un brano.
Studiando a fondo il Nuovo Testamento ha potuto conoscere meglio il volto della comunità cristiana delle origini. Che cosa la Chiesa di oggi avrebbe da imparare dai primi cristiani?
«Tratto spesso questi argomenti e mi arrabbio. Siamo complicati nella lettura degli avvenimenti, ma le cose che interessano all’uomo sono quelle essenziali. Il Vangelo è il Vangelo, predicarlo di questi tempi significa tirare fuori qualcosa che ha senso oggi. Il Vangelo non parla di internet ma dell’uomo, della sua speranza, delle sue paure e angosce, della sua capacità d’amare o di fare soldi. I primi cristiani ascoltavano l’esperienza di Gesù nei momenti di culto e mettevano in gioco la loro vita. La gente va in chiesa la domenica, ma deve sentire una predicazione che possa interessare durante la settimana, non semplicemente mentre si ascolta la messa; uno non deve uscire dicendo: “Bene, ho fatto il mio dovere”, ma “Ho ascoltato delle cose e le tengo buone per vivere, per giudicare e fare delle scelte”. Questo è il Vangelo, se invece parli di qualcos’altro non resta niente».

È sempre più faticoso fare il prete. Molti sono i sacerdoti smarriti e disorientati dai nuovi tempi in cui viviamo. Come immagina il prete di domani?
Spero come quello di oggi. Il mondo ha tanti problemi, ma osservandolo alla luce del Vangelo dobbiamo ricordarci che quelli decisivi sono sempre gli stessi. Lì dobbiamo puntare l’attenzione, solo così possiamo essere ascoltati. Che senso ha l’uomo? Perché esiste? Cosa vuol dire vivere o morire? Cosa vuol dire educare alla solidarietà? Se do molto peso alla morale cristiana vera è perché, ne sono sicuro, Gesù Cristo ha proposto questo modo di vivere per far vivere bene l’uomo. Non perché Dio ne ha bisogno. A volte immaginiamo i comandamenti come quelli di un padrone che ti fa lavorare a vantaggio suo e tu soffri. Non è vero. Sono contento di avere una proposta di vita sana e umana. Non inventiamo cose inutili».

In Italia c’è ancora un problema di responsabilità del laicato. Di chi la colpa maggiore? Dei preti che non danno spazi, dei laici che non si assumono le loro competenze?
Di tutti e due. Ci sono preti che non delegano nulla, perché devono agire, pensare solo loro, convinti di essere i soli competenti. Si fa un consiglio pastorale, ma il parroco sa già a che conclusione bisogna arrivare, mentre è importante sentire cosa dicono gli altri magari mettendo in discussione le proprie certezze. Però anche i laici devono rivendicare la loro dignità; ne ho conosciuti tanti che non si adeguavano a tutto, vedevano, offrivano la loro competenza, sapevano dire ciò che gli piaceva o no. Un povero prete fa una miriade di cose, piani pastorali, messaggi da mandare, ma non ha più il tempo per parlare con le persone, con i credenti e no. Dobbiamo imparare a comunicare, altrimenti è un disastro. Se un prete, un vescovo va sempre in macchina e non cammina per le strade, non sale su un treno o su un bus come fa a incontrare la gente? Se si limita a incontrarla alle conferenze è troppo poco!».

Ci sono dei laici che sono più clericali dei preti…
«Quando uno se ne accorge li deve sgridare, non sono quelli su cui puntare».

Tra i suoi allievi probabilmente ci sono stati più laici che non seminaristi e religiosi. Oggi c’è un laicato sempre più preparato, anche teologicamente e biblicamente. Qual è l’apporto maggiore che si attende?
«Vorrei che mi aiutassero a incontrare Dio nella vita e nel mondo ordinario, nella quotidianità dei rapporti. La loro storia possa servire ad approfondire il Vangelo per testimoniarlo a tutti».

Una volta gli esegeti erano esclusivamente preti. Oggi molti laici, e alcune donne, studiano e insegnano le Scritture. Questo dato sta cambiando qualcosa nell’approccio al testo biblico?
«Sì, hanno delle cose da dire, parlo volentieri con loro e li ascolto. Non credo che l’essere uomo o donna faccia capire di più o di meno, c’è una differente sensibilità. La cosa curiosa è che ho partecipato a convegni dove delle donne mi contestavano ogni cosa dicessi. Ma erano altri anni…».

Cosa pensa della proposta, avanzata da molti, di un insegnamento più ordinario della Bibbia nelle scuole?
«Mi sarebbe piaciuto, anni fa se ne parlava. Come si studia l’Iliade e l’Odissea, si può anche leggere la Bibbia. Nella scuola italiana, europea, si studia il greco, perché è nelle nostre radici, ma lo è anche il pensiero giudeo-cristiano. Per insegnare la Bibbia bisogna farlo molto bene, e sono sicuro che piacerebbe agli studenti almeno quanto i grandi classici. Ma allora c’era una cultura ostile a questo progetto… E in fondo anche la Chiesa non ne era molto convinta, temeva che l’introduzione della Bibbia sostituisse l’ora di religione; invece doveva diventare la lettura di un grande testo culturale. Molti pensano che la Bibbia sia un libro per preti e monaci, invece è un testo di alta letteratura. Peccato!».

Grazia Lissi avvenire.it