Italia Nuova intesa sull’assistenza religiosa ai militari in Italia

L’Osservatore Romano

(Giuseppe Dalla Torre) Garanzia più piena della libertà religiosa per gli appartenenti alle Forze armate italiane e recupero delle funzioni più propriamente spirituali e pastorali del cappellano militare: questi i principi cui si è ispirata la commissione paritetica Santa Sede – Italia nella elaborazione del testo di una specifica Intesa, attuativa dell’articolo 11 dell’Accordo di revisione del Concordato del 1984. Intesa che è stata formalizzata dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e dal presidente del Consiglio, onorevole Paolo Gentiloni, nel corso del consueto incontro annuale in occasione dell’anniversario dei Patti Lateranensi.
L’esigenza di un profondo aggiornamento della normativa sull’assistenza spirituale cattolica nelle Forze armate era sul tavolo da tempo, e per varie ragioni. Innanzitutto la vetustà di una disciplina già impostata unilateralmente dall’Italia durante il primo conflitto mondiale, quindi bilateralmente definita nel Concordato del 1929, poi ammodernata in una legge del 1961, infine trasfusa nel Codice dell’ordinamento militare del 2010. In secondo luogo la riduzione degli organici militari a seguito della sospensione della leva obbligatoria, con la conseguente esigenza di raccordare ragionevolmente il numero dei cappellani militari con l’effettiva entità degli appartenenti alle Forze armate; in sostanza l’organico è ora stato ridotto da 204 a 162 unità, con cospicua soppressione di gradi superiori e allungamento delle progressioni di carriera. In terzo luogo la considerazione delle nuove funzioni che i militari italiani sono chiamati a svolgere non solo in Italia, specie nel sostegno alle popolazioni civili in situazioni di difficoltà, ma anche e soprattutto all’estero, nelle sempre più frequenti azioni di pace.
Ma l’esigenza di un profondo aggiornamento della disciplina nasceva da più radicali ragioni d’ordine valoriale, pienamente condivise dalla Chiesa e dallo Stato. In particolare la libertà religiosa, diritto inviolabile dell’uomo per cui se nessuno può essere costretto in materia di coscienza, nessuno può altresì essere impedito dall’esprimere ed esercitare la propria fede, anche laddove faccia parte di istituzioni che necessariamente limitano l’autonomia personale, come per eccellenza quelle militari. Così pure la laicità dello Stato: una laicità positivamente intesa, che postula nei pubblici poteri un atteggiamento di distinzione e di rispetto delle competenze proprie delle istituzioni religiose ma, al tempo stesso, il dovere di creare le condizioni, di diritto e di fatto, perché in concreto la libertà religiosa del credente possa trovare esplicitazione.
In questa prospettiva, il testo dell’Intesa supera la immedesimazione strutturale e giuridica del cappellano nell’apparato militare, che nel Novecento costituiva un paradigma tipico nelle normative degli Stati in materia, pur assicurandogli un rapporto organico con quella realtà. In sostanza, il cappellano militare viene ad avere uno stato giuridico che, quanto ai gradi militari, ne comporta solo l’assimilazione. Tale nuova configurazione dello stato giuridico, basata sull’assimilazione e non sull’integrazione nella gerarchia militare, comporta una serie di conseguenze, tra cui: nell’apparato militare non ha poteri di comando o di direzione, né di amministrazione; non porta armi né, di regola, indossa la divisa militare, essendo tenuto a vestire l’abito ecclesiastico proprio; di norma è sottratto al Codice di disciplina militare e sottoposto a un Regolamento disciplinare proprio, prevedente obblighi peculiari e sanzioni specifiche, compatibili con la natura delle funzioni da lui svolte. In sintesi, questo regime consente al cappellano di muoversi liberamente all’interno di una struttura fortemente gerarchizzata, rendendo un servizio pienamente fruibile.
In compenso sono meglio precisate le sue attribuzioni, sia per quanto attiene a coloro che «intendono fruire del loro ministero, nel pieno rispetto della libertà religiosa e di coscienza», e cioè i militari e il personale impiegato nelle strutture militari, con i loro familiari; sia per quanto attiene ai profili oggettivi della sua funzione, vale a dire le celebrazioni liturgiche, la catechesi, specie quella in preparazione ai sacramenti, la formazione cristiana, nonché l’organizzazione di ogni attività pastorale. Si tratta di precisazioni di notevole valenza garantistica, nella misura in cui sono dirette a evitare abusi che possono incidere sulla effettiva fruizione della libertà religiosa, sia negativamente che positivamente intesa.
Nel complesso la riforma è destinata ad alleggerire sensibilmente l’impegno finanziario dello Stato italiano, in ragione della riduzione dell’organico dei cappellani, dei gradi cui essi sono assimilati, della soppressione di tutta una serie di indennità e della cancellazione del lavoro straordinario.
Dunque un accordo, quello appena sottoscritto, più chiaro, snello, essenziale, che mette in luce le ragioni eminentemente pastorali di una presenza e che richiama alla mente l’esempio dato da eccezionali figure di cappellani militari, quali Angelo Giuseppe Roncalli, Giulio Facibeni, Carlo Gnocchi o Secondo Pollo, che nel primo e nel secondo conflitto mondiale si spesero per portare conforto religioso e umano fra i militari.
L’Osservatore Romano, 24-25 febbraio 2018