Integrazione e rispetto per vincere la paura dell’altro

Di Nicola Gori

La chiusura delle frontiere non è una risposta all’immigrazione clandestina, perché favorisce il contrabbando e la tratta delle persone. Lo ribadisce il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, invitando a ricercare soluzioni che tengano conto delle “varie necessità” e del “rispetto dei diritti” delle persone coinvolte, in particolare dei più deboli. In questa intervista al nostro giornale – alla vigilia della giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 13 gennaio – il porporato denuncia anche la drammatica situazione dei profughi della Siria, il cui numero già elevato (oltre mezzo milione) è destinato a raddoppiare nel giro di pochi mesi. E richiama i media alle loro responsabilità nell’orientare l’opinione pubblica di fronte al fenomeno dell’immigrazione, invitandoli in particolare a non alimentare atteggiamenti di paura o di criminalizzazione delle persone.

Parlando di migranti e rifugiati, il pensiero corre subito all’emergenza umanitaria in Siria che spinge migliaia di persone a sfuggire alla guerra e alle persecuzioni per cercare ospitalità nei Paesi limitrofi. Qual è la situazione allo stato attuale?

La situazione in Siria è davvero desolante, “dilaniata da continui massacri e teatro di inumane sofferenze tra la popolazione civile”, come ha detto il Papa nel discorso al corpo diplomatico, lunedì scorso, 7 gennaio. Basti pensare a come stia aumentando il numero delle persone che fuggono dal Paese in cerca di rifugio: a maggio 2012 i rifugiati erano 70.000 e alla fine dell’anno 525.000. In Siria sono già 4 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza. Le aspettative per il prossimo futuro non sono positive. Purtroppo, si prevede un raddoppio del numero dei rifugiati, che saranno circa un milione a metà di quest’anno. È per questo che le diverse agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato un appello per un nuovo finanziamento congiunto di un miliardo di dollari, volto a coprire le esigenze per la cura e la protezione del milione di rifugiati previsti per i prossimi sei mesi in Siria.

Qual è la risposta della comunità internazionale?

I Paesi circostanti mostrano ancora ospitalità e consentono l’accesso ai rifugiati siriani nel loro territorio, ma i numeri sono in qualche modo immensi. All’inizio di quest’anno, i dati ufficiali parlano di 175.000 rifugiati in Giordania, 185.000 in Libano, 150.000 in Turchia, 70.000 in Iraq e 13.000 in Egitto, anche se molto probabilmente i numeri reali sono molto più alti. Il finanziamento per gli ultimi sei mesi ammontava a circa il 52 per cento del denaro richiesto. Ciò significa che anche i Paesi europei devono assumersi le loro responsabilità. Essi hanno firmato la Convenzione sui rifugiati del 1951, che comporta l’offerta di solidarietà e la condivisione dell’onere finanziario, ma anche l’apertura dei confini del Paese a coloro che cercano

(©L’Osservatore Romano 12 gennaio 2013)