In una società plurale la pace è possibile

Ad Harissa la firma dell’esortazione apostolica post-sinodale “Ecclesia in Medio Oriente”

Una nuova fraternità è possibile per il Medio Oriente. Senza rinunciare a specificità e differenze culturali, sociali, religiose. Ma riconoscendo il contributo di tutti alla costruzione di “una società plurale” edificata sui fondamenti “del rispetto reciproco, del desiderio di conoscere l’altro e del dialogo continuo”.
La seconda giornata del viaggio del Papa in Libano si apre con un messaggio di pace che tiene insieme realismo e speranza, indicando all’intera regione mediorientale percorsi concreti di riconciliazione. Non a caso Benedetto XVI lo affida a politici, diplomatici, religiosi ed esponenti del mondo culturale libanese – incontrati sabato mattina, 15 settembre, nel palazzo presidenziale – insistendo sulla necessità di puntare alla formazione di “uomini e donne generosi e retti” capaci di compiere “scelte libere e giuste” e di “sostenere le politiche e le iniziative volte a unire i popoli”. Anche a costo di “andare controcorrente rispetto alle opinioni diffuse, alle mode, alle ideologie politiche e religiose”.
Prioritario per il Papa è rifiutare la logica della vendetta e bandire qualsiasi forma di “violenza verbale e fisica”, che rappresenta sempre “un oltraggio alla dignità umana, sia dell’autore sia della vittima”. Ogni persona “è unica e insostituibile” ricorda raccomandando di difendere la vita umana dalle minacce della guerra e del terrorismo, come pure dalla povertà, dallo sfruttamento, dal predominio delle logiche economiche e finanziarie.
Il Pontefice torna a indicare nel Libano un modello di convivenza per tutta l’area mediorientale. E sottolinea l’esemplarità della “buona intesa” esistente tra le religioni, richiamando così uno dei passaggi fondamentali dell’esortazione apostolica post-sinodale firmata nel pomeriggio di venerdì ad Harissa. Un documento che, mentre esorta tutti alla conversione personale e alla collaborazione, invita in particolare cristiani, musulmani ed ebrei a evitare strumentalizzazioni e pretesti “per giustificare, in nome della religione, pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione”.

(©L’Osservatore Romano 16 settembre 2012)