In un volume di spiritualità ortodossa. Dialoghi con un eremita


L’Osservatore Romano

(Rosella Fabiani) «Il mio ardente desiderio è che qualcuno trovi un aiuto nel vivere la “preghiera” che ha santificato tanti, e che anch’egli venga santificato»: così scrive il metropolita Hierotheos nell’introduzione al volume di spiritualità ortodossa Una sera nel deserto del Monte Athos. Dialoghi con un eremita sulla preghiera del cuore (Trieste, Asterios, 2019, pagine 240, euro 19), con la traduzione dal greco e le note di Antonio Ranzolin. L’autore è il vescovo ortodosso di Nafpaktos (l’antica Lepanto), Hierotheos Vlachos. 
Il volume — che ha avuto in Grecia più di venti edizioni e che è stato tradotto in parecchie lingue — è il racconto di una sera trascorsa dall’allora archimandrita Hierotheos sul Monte Athos, a dialogare con un eremita sulla “preghiera del cuore” o “preghiera di Gesù”: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me». In forma dialogica, il volume si rivela un piccolo trattato sulla preghiera esicasta.
«Nelle pagine seguenti presenterò una conversazione con un anziano aghiorita. Non era mia intenzione farne una trascrizione. Ma un giorno, mentre mi apprestavo a leggere un’opera di san Massimo il Confessore, ho sentito una voce interiore che mi esortava a mettere per iscritto il colloquio avuto con il sapiente monaco — sapiente secondo Dio — della santa Montagna. E ho obbedito a quella voce, anteriormente, lo confesso, mai accarezzata». Così inizia il libro che con la forza dell’esechia, dovuta alla speranza in Dio, ci prende per mano e ci fa penetrare «nella nube della preghiera di Gesù». L’eremita dell’Athos, con la sapienza succhiata dai padri, vissuta nella carne e nel sangue della propria esperienza, ci mostra le molteplici facce della preghiera “del cuore” o “di Gesù” svelandone il valore, gli stadi, i modi, la lotta del diavolo per impedirla (e le contromosse dell’orante). E ancora: il sopraggiungere della grazia e il suo nascondersi, quando la si recita, i frutti «saporosi e dolcissimi», gli errori che si commettono nel praticarla e come affrontarli, la sua necessità per tutti, clero e laici, il suo dilatarsi, sino a farsi intercessione per gli altri. Un vero trattato sulla preghiera nella semplice forma di una conversazione, tra un discepolo e un anziano. Una porta di accesso ai tesori della filocalia e a quell’antologia patristica che ha nella “preghiera del cuore” una delle perle più preziose.
L’asceta santo, che l’autore ha incontrato anni fa, parla dalla montagna della contemplazione e dell’eternità. «Al di là dell’ordinario e dell’umano. Al di là di ciò che tu sei. Per farti diventare, un poco, ciò che lui è. Ti parla, perché ha esperienza di Dio. E vuole, attraverso la preghiera, battezzare anche te nella luce divina». Costantemente memori che la salvezza è frutto di una cooperazione, è frutto, cioè, dell’azione di Dio e del nostro sforzo. Non per raggiungere l’impassibilità stoica di diverse pratiche orientali che mirano a evitare di pensare ai problemi degli uomini, in modo da salvaguardare la propria pace, la propria impassibilità. Ma piuttosto l’opposto: pregare incessantemente per tutti, diventare supplici per il mondo intero. «Salvezza, d’altronde, è unione con Cristo mentre siamo in comunione con gli altri. Non possiamo salvarci da soli. Una gioia che sia solo nostra, senza essere gioia dei nostri simili, non è gioia autentica». E sembra di udire l’anziano aghiorita mentre ripete al metropolita Hierotheos: «Non cerchiamo l’impassibilità, l’apatia, che è uno stato negativo, ma l’acquisizione della grazia divina».
L’Osservatore Romano, 4-5 luglio 2019