In Italia quasi 600mila giovani non terminano gli studi. Sono 10 volte di più dei cervelli in fuga. Peggio al Sud

(ANSA) – ROMA, 11 GEN – Sono 598 mila i giovani tra i 18 e i 24 anni che nel 2018 hanno lasciato la scuola senza terminare gli studi, e sono 62 mila i cervelli in fuga, un numero dieci volte inferiore. E’ vero che negli ultimi anni c’è stata una contrazione del fenomeno della descolarizzazione (nel 2008 l’Italia aveva una percentuale di abbandono scolastico pari al 19,6 per cento, dieci anni dopo la percentuale è del 14,5 per cento, più di sei punti percentuali in meno) ma la collocazione nei paesi dell’euro resta sempre al terzultimo posto. Peggio dell’Italia solo Spagna e Malta. Sono i dati forniti dall’ufficio studi della Cgia che sottolinea come le cause che determinano l’abbandono scolastico sono principalmente culturali, sociali ed economiche: i ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con uno scarso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi. C’è anche un fattore di genere: ad abbandonare precocemente la scuola sono più i maschi che le femmine.

A livello territoriale italiano sono le regioni del Sud a registrare i livelli più elevati di abbandono scolastico. Nel 2018 in Sardegna il 23 per cento dei giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio (diploma professionale, diploma di maturità). Seguono la Sicilia con il 22,1 per cento e la Calabria con il 20,3 per cento. Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia (entrambe con il 8,9 per cento), Abruzzo (8,8 per cento) e Umbria (8,4 per cento) sono le regioni più virtuose. Nel complesso è il Nordest l’area che soffre meno di questo fenomeno (10,6 per cento).

Il numero elevato degli descolarizzati farà sì che nei prossimi anni, rivela la Cgia, “sarà sempre più difficile per le aziende trovare personale qualificato, anche perché si sta riducendo, a causa del calo demografico, la platea dei giovani che entreranno nel mercato del lavoro. Per contro, questi giovani, che non dispongono di una adeguata preparazione professionale, saranno difficilmente collocabili nel mercato del lavoro, anche perché rischiano di perdere in partenza la competizione con gli stranieri nell’occupare i posti di lavoro poco qualificati”.