Annunciata ieri simbolicamente in un liceo della banlieue parigina, la «Carta della laicità a scuola» è stata voluta a ogni costo dal ministro dell’Istruzione Vincent Peillon. Il quale, da filosofo, aveva già teorizzato in passato il proprio ideale di <+corsivo>laïcité<+tondo>, in libri fondati su una rilettura controversa e molto giacobina della storia francese. Dalla teoria alla pratica, dunque. E il primo risultato della svolta era percepibile ieri, quando in poche ore l’eterno dibattito transalpino sulla scuola ha ripreso pieghe molto ideologiche.
Attorno a due norme assolute evidenziate in grande, «La Repubblica è laica» e «La Scuola è laica», la Carta sviluppa graficamente una costellazione di 15 articoli che illustrano la centralità e le implicazioni quotidiane della laïcité. Tutta la comunità scolastica deve ricordare che «la Repubblica laica organizza la separazione delle religioni e dello Stato» (art. 2), ma anche che «la laicità assicura agli allievi l’accesso a una cultura comune e condivisa» (art. 7).
Occorre registrare pure che «la laicità della Scuola offre agli allievi le condizioni per forgiare la loro personalità, esercitare il loro libero arbitrio e apprendere a diventare cittadini. Essa protegge da ogni proselitismo che impedirebbe loro di fare le proprie scelte» (art. 6). Il principale monito è all’art. 13: «Nessuno potrà evidenziare la propria appartenenza religiosa per rifiutare di conformarsi alle regole applicabili nella Scuola della Repubblica».
E nel caso degli insegnanti, la laicità si estenderà ancor più, dato che «il personale ha un dovere di stretta neutralità: non deve manifestare convinzioni politiche o religiose nell’esercizio delle proprie funzioni» (art. 11).
A parole, Peillon ha smussato ieri gli angoli, assicurando che la laicità è «ciò che permetterà a ciascuno di costruire la propria libertà rispettando quella degli altri». Ma già in giornata, sono piovute non poche critiche o dichiarazioni di perplessità.
Fra i rappresentanti religiosi, è intervenuto in particolare il presidente del Consiglio francese del culto musulmano, Dalil Boubakeur, che percepisce «in questo testo pure uno sguardo obliquo sull’islam, soprattutto nel passaggio sul divieto di portare segni o indumenti». Da qui, il timore di «vedere i musulmani di Francia stigmatizzati nel loro insieme». Da parte sua, il Difensore civico, Dominique Baudis, ha chiesto «chiarimenti» su certe questioni che restano ambigue: ad esempio, se sarà tutelato il diritto dei genitori accompagnatori di mostrare segni religiosi, durante gite o altre attività.
A livello nazionale, si teme già un’applicazione distorta delle norme, ad esempio a proposito di simboli largamente condivisi come l’albero di Natale. Ma le scuole private, almeno per il momento, sfuggiranno al giro di vite.