Immigrazione. La storia di Lamin, il ragazzo del Gambia salvato dal calcio

Lamin Jarju, classe 1998, originario del Gambia, fotografato sul campo della Lentatese, la società in gioca con la maglia numero 10

Lamin Jarju, classe 1998, originario del Gambia, fotografato sul campo della Lentatese, la società in gioca con la maglia numero 10

Chi trova una famiglia trova un tesoro. È quello che va ripetendo tra sé e sé Lamin Jarju, 19 anni, migrante proveniente dal Gambia che di famiglie da quando è in Italia ne ha trovate più di una. La sua è una delle migliaia di esistenze in fuga, dalla guerra e dalla fame, che ogni giorno passano nel nostro Paese. Anime salve che arrivano dal mare, passando per i deserti del Nord Africa. Ma spesso altri giovani come lui, pieni di speranze, terminano il loro viaggio nell’inferno di sabbia, sepolti e dimenticati da tutti. I loro messaggi disperati d’aiuto il più delle volte si perdono negli abissi della nostra indifferenza di opulenti occidentali. Ma per fortuna, a volte riaffiorano dalle acque, e come messaggi in bottiglia ci vengono recapitate le loro storie.

La “bottiglia” di Lamin nel giugno scorso è finita in mano a “Casa Mara”, un luogo di accoglienza e di passaggio dove «le acque finalmente si fanno più dolci e pacifiche rispetto a quelle di chi ha sfidato il Mediterraneo sui barconi della morte», dice Barbara Giussani, catechista San Martino in Villapizzone (Milano), la parrocchia in cui opera la storica associazione “Cast” (Centro assistenza sociale territoriale). «Disponiamo di dieci posti letto e adesso siamo sempre al completo, e quasi tutti sono giovani migranti», spiega Barbara.

Da qui è passato anche Bakary, gambiano anche lui, che da noi per sbarcare il lunario lavora come aiuto cuoco nei ristoranti. Ed è stato lo stesso Bakary a segnalare Lamin, implorando gli educatori: «Fatelo venire a giocare, altrimenti senza calcio muore». In un torneo multietnico di calcio organizzato dalla parrocchia San Martino, Lamin viene così invitato a giocare. Sono bastati i primi tocchi vellutati al pallone e la capacità di muoversi e correre come una gazzella per essere notato da un addetto ai lavori, Paolo Seghezzi. Un procuratore sensibile, Paolo, che per tonificarlo dopo i tanti disagi fisici patiti ha messo il ragazzo in mano a un mental coach-nutrizionista e si è subito dato da fare per portarlo in una società calcistica.

«È bastato un provino per farlo prendere alla Lentatese», ricorda Seghezzi. Ma prima per Lamin c’erano da risolvere diversi problemi burocratici, tipici di tutti i giovani nel suo status di migrante. In primis il perfezionamento del permesso di soggiorno per avviare anche le pratiche per il tesseramento sportivo. Poi, farsi comprendere dagli educatori e dagli allenatori, visto che con l’italiano faticava («i primi tempi si esprimeva solo in inglese», ricorda l’educatore Luca).

L’iscrizione alla scuola media e l’appoggio degli allievi del Liceo Montini di Milano, istituto in cui la prof. Giussani insegna Religione, hanno spianato anche gli ultimi ostacoli. Uno di questi era rappresentato dal viaggio in treno nella tratta Sesto San Giovanni- Camnago per unirsi ai suoi nuovi compagni di squadra a Lentate sul Seveso. «Bakary bussò ancora alla mia porta dicendomi: fai adottare Lamin da qualcuno che ha bisogno di un sostegno… – racconta Barbara Giussani – Eravamo in pieno agosto e quella settimana del ritiro precampionato non sapevamo davvero come fare per sistemarlo. Allora chiesi aiuto al mio amico don Paolo Zago, il parroco di San Protaso, dicendogli se per caso avesse una famiglia disponibile. Le vie del Signore sono davvero infinite, ed ecco che la nostra richiesta venne accolta da una famiglia fantastica di Meda».

La famiglia di Paolo e Lino Boga, marito e moglie pensionati, si sono fidati ciecamente della bontà del ragazzo gambiano e l’hanno immediatamente ospitato nella loro casa che confina con quella dei figli e i nipoti. «Un clima ideale. Nella bella casetta dei Boga, Lamine dopo gli allenamenti si è ritrovato circondato dal calore e della simpatia di tanti giovani». Ora il fantastico clan dei Boga sono diventati i suoi primi tifosi. Non si perdono una partita della Lentatese e anche adesso che il giovane è ospitato nella Casa famiglia della Prefettura a Sesto Marelli, continuano a invitarlo alla loro tavola allargata, dove si siede come nuovo «membro onorario» della famiglia Boga.

Anche alla Lentatese il ragazzo del Gambia ha trovato un altro ambiente domestico e il club nel giro di tre settimane è riuscito a tesserarlo. «Il “mister” Luca Valente è il mio fratello bianco», dice con orgoglio Lamin. «Lui ci ha preso a cuore e noi abbiamo a cuore il suo futuro di uomo prima che di calciatore», dice mister Valente che anche grazie alle prestazioni eccellenti del nuovo numero “10” guida la capolista del campionato Juniores regionale B: primi in classifica con 13 punti di vantaggio sulla seconda. «Lamin all’inizio era molto taciturno, adesso ride e scherza con i compagni, fa gruppo – continua il mister – . In Gambia non aveva mai giocato a livello agonistico. Qualità tecniche le ha, è un’ottima mezzala, ma tatticamente non c’era… È migliorato molto nel corso della stagione, anche perché è un ragazzo umile, con tanta voglia di imparare e in fretta».

L’umiltà di chi «un giorno che aveva perso il passaggio dalla stazione di Camnago al nostro campo si è fatto 4 chilometri a piedi pur di arrivare puntuale all’allenamento», dice il direttore sportivo della Lentatese Paolo De Nicolo. Tecnica, umiltà e voglia di esserci sempre, hanno fatto sì che l’allenatore della prima squadra, Enzo Brucoli, domenica scorsa ha convocato Lamin in prima squadra nella gara pareggiata (2-2) con il Morazzone. «Ha giocato un quarto d’ora, ma per la storia che il ragazzo ha alle spalle, e che noi conosciamo vagamente, è tanta roba aver debuttato nel campionato di Promozione. Una di quelle giornate che sicuramente non dimenticherà mai…», dice il ds De Nicolo.

Lamine, in punta di piedi e con il massimo rispetto per tutti è entrato nei cuori di tutte le famiglie che tifano per lui. «Non dimenticherò mai – conclude Barbara – il giorno in cui entrò in chiesa nella nostra parrocchia. Stavamo provando i cori per la domenica. Si è seduto in un angolino e stava ad ascoltare… Alla fine era commosso. È venuto da me e stringendomi le mani mi disse che li aveva trovati “bellissimi”… Questo è Lamin. In ogni sms o WhatsApp che invia non manca mai di salutare con un ringraziamento a Dio per tutto quello che gli sta donando. È un pensiero reciproco».

Avvenire