Il Vescovo e la Chiesa locale: relazione, elezione e formazione

di Cosimo Scordato

Sulla linea delle riflessioni proposte da Andrea Grillo, il quale riprende in maniera concisa ed essenziale le sollecitazioni già offerte da G. Lafont, ci affianchiamo per approfondire ulteriormente la riflessione proposta.

In primo luogo, vogliamo ricordare il lucido contributo che Giuseppe Colombo nei decenni successivi al Concilio ha dato sulla identità (apostolica) del ministero ordinato a partire dal vescovo, includendo concentricamente il presbiterato e il diaconato. Questo punto di partenza da un lato, sul piano dogmatico, doveva superare quella incertezza sulla sacramentalità dell’episcopato, che era perdurata fino al concilio Vaticano II; dietro di essa si nascondono le tante ambiguità che hanno offuscato la chiarezza del ministero; dall’altro lato, sul piano pastorale, ripartire dalla figura del vescovo ha consentito il riemergere della Chiesa locale come articolazione necessaria e intrinseca alla Chiesa tout court.

La nuova impostazione conciliare, lucidamente elaborata dalla teologia postconciliare, avrebbe dovuto segnare un profondo ripensamento sia della spiritualità del ministero ordinato, sia delle diverse prassi ecclesiali, provenicenti dal passato e compromesse dall’impianto teologico ormai superato; ci limitiamo a notare solo alcune ovvie conseguenze.

 Le ragioni della Chiesa locale

 In primo luogo, va affermata la stretta correlazione tra il ministero episcopale e l’identità della Chiesa locale; il recupero della sacramentalitàdell’episcopato ha reso possibile l’affermazione decisiva della Chiesa locale che, fino al concilio Vaticano II,si era intestata intorno al termine diocesitermine connotato più dall’aspetto giuridico e organizzativo anziché dal contenuto ecclesiale; la Chiesa locale, invece, è la prima realizzzazione della soggettualità concreta della ecclesialità in un luogo e in un tempo ben precisi; detta consepevolezza è frutto del dato neotestamentario, il quale, soprattutto nelle lettere paoline,afferma l’ecclesialità a partire dalle singole comunità locali, le quali a loro volta, poste in circolarità con le altre Chiese rendono possibile quella che, in maniera ricapitolativa ma con intonazione un pò ideale, possiamo chiamare la Chiesa universale.

 Le procedure di designazione

 Detta correlazione tra vescovo e chiesa locale non può non comportare anche delle conseguenze sulla procedura che porta alla designazione del vescovo, in quanto persona chiamata a condividere il cammino, le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze di tutta la comunità ecclesiale in quel luogo ein quel tempo precisi.

Per tale designazione, al momento esistono solo delle consultazioni, segrete e da segretare, avviate da Roma con persone ecclesialmente significative al fine di raccogliere pareri sui candidati, per lo più proposti dalle Conferenze episcopali locali se non addirittura direttamente da Roma.

 L’amico dello sposo e la sposa

 Non per enfatizzare il tema coniugale, che comunque ha una grande tradizione patristica e teologica, ma ci viene da chiedere: se il vescovo simboleggia la sponsalità di Cristo verso la sua Chiesa sposa, non sarebbe ovvio che ci sia una reciproca scelta tra sposo e sposa? In che modo attuare questo procedimento di reciproca scelta non è facile configurarlo nei particolari; ma certamente si deve cominciare a pensare qualcosa di radicalmente diverso rispetto all’attuale procedura,che mediamente promuove perlopiù l’ignoranza fra i due partners (!), ovvero il vescovo e la sua sposa; niente di più anacronistico, che ormai offende la nostra sensibilità contemporanea.

 La preparazione al ministero

 Il secondo aspetto è relativo a quello che potremmo chiamare la preparazione al ministero ordinato. Al momento, l’unica preparazione prevista, secondo la riforma avviata dal Concilio di Trento e che a tutt’ora resiste, è quella del seminario; esso è il luogo ufficiale di preparazione al ministero presbiterale, pensato perlopiù secondo il modello tradizionale; al presbiero venivano attribuite una serie di caratteristiche, spesso espropriateal popolo Cristiano: il termine ‘sacerdote’, l’idea che sia l’uomo della preghiera o del sacro, identificabile perché chiamato al carisma (sacrificio) del celibato…; in ogni caso, si dà per scontato di accogliere in esso coloro che dicono di avere “la vocazione”, seppure essa va verificata dai responsabili. Tutte connotazioni che hanno una certa ambiguità perché non sembrano offrire gli elementi della ‘specificità’ del ministero presbiterale rispetto alla identità battesimale e crismale del popolo cristiano e al carisma della vita religiosa.

In ogni caso, se il Concilio ha dato una svolta a tutto l’impianto teologico-pastorale del ministero ordinato, il seminario mostra il suo aspetto anacronistico (al di là delle buone intenzioni degli attuali soggetti in esso impegnati); attraverso di esso si perpetua l’idea della centralità del presbitero, intesa come figura princeps della ministerialià nella Chiesa.

Molto banalmente ci chiediamo: perché non si pensa a un seminario che prepari alla ministerialità nella Chiesa tout court, dando percorsi specifici per il ministero diaconale, presbiterale ed episcopale, evidenziando in ciascuno di essi i veri tratti essenziali e le corrispondenti qualità ministeriali che dovrebbero competere? Sì, anche seminario ‘episcopale’, dato che detto ministero non può essere improvvisato e richiederebbe una particolare formazione in direzione della Chiesa locale.

 Il consenso della comunità

 In questo contesto, accanto alla suddetta nuova preparazione(che non va esagerata), non deve essere trascurata una procedura di consenso da parte della comunità ecclesiale nelle sue diverse articolazioni. Sappiamo che di questo consenso è rimasto nella liturgia soltanto un residuo quando nell’ordinazione presbiterale il popolo Cristiano viene interpellato a esprimere il proprio (ormai inevitabile) consenso all’ordinazione del candidato. Non sarebbe invece auspicabile un percorso nel quale il popolo Cristiano venga coinvolto (sinodalmente, finalmente?!) per esprimere un consenso e quindi la disponibilità ad accogliere i ministri che il Signore vuole mettere a suo servizio? D’altra parte, se parliamo di servizio, chi deve scegliere le “persone di servizio” se non coloro che hanno bisogno di detto servizio? L’esercizio concreto del ministero non deve escludere un buon indice di gradimento fra gli uni e gli altri!

 Le presenti sollecitazioni potrebbero apparire peregrine; dal nostro punto di vista hanno solo il compito di ridimensionare a poco a poco quelle procedure, che attualmente vengono prevalentemente dall’alto e dentro le quali si insinuano anche giochi non chiari nè trasparenti agli occhi del popolo Cristiano. Nè ci illudiamo che responsabilizzare la comunitù cristiana nel processo di designazione sia scevro da rischi e parzialità; ma, pur con questa evenienza, vale la pena sottolineare che il ministero, che resta gratuito dono sacramentale da parte di Dio, è termine relativo che implica la comunità cui e dentro cui esso è offerto; perchè non puntare al meglio che includa per davvero una comunità… ben servita?

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