Il Vangelo: La bellezza di un Dio che si fa servo

XIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
di Ermes Ronchi – avvenire.it
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «(…) Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! (…)».

Un padrone parte e affida la sua casa ai servi. La vera fortuna di noi servi inaffidabili consiste nel fatto di avere un padrone così, pieno di fiducia verso di noi, che non nutre sospetti, cuore luminoso. Dio ha un cuore di luce e ti affida la casa, le persone, il mondo. E ti dice: tu puoi. Dio ha fede nell’uomo. La fiducia del mio Signore mi conquista, in convince, mi fa dire: beato sei tu perché Dio ha fede in te. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli… non è ovvio, non è scontato stare svegli, non è un fatto dovuto o un obbligo. Quell’attesa fino all’alba ha il potere di emozionare e sorprendere Dio, è più di quanto non si aspettasse. Genera infatti in lui una risposta quasi eccessiva, esultante. Ed è il punto commovente, sublime di questa parabola, il momento straordinario, quando accade l’impensabile: Dio da padrone diventa servitore: vi dico che si stringerà le vesti ai fianchi (è l’abbigliamento del servo) li farà sedere a tavola e passerà a servirli. Da quello stupore di Dio, viene una voce: «questi miei figli mi sorprendono, capaci di incantarmi con un di più, un eccesso, una veglia fino all’alba, un vaso di nardo, un perdono con tutto il cuore, gli ultimi due spiccioli gettati nel tesoro del tempio, l’abbraccio e il pane dati al più piccolo. Metto ancora la mia gioia nelle loro mani!». Dio non è il Padrone dei padroni, è il servitore della vita. Non abbiamo pensato abbastanza a che cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone castiga, il servo aiuta; il padrone giudica, il servo sostiene; il padrone detta ordini, il servo ascolta e apre il cuore. Questi è il solo che io servirò perché è l’unico che si è fatto mio servitore. Dov’è il tuo tesoro lì è anche il tuo cuore. Ciò che per me è più prezioso è ciò che più amo. «Ami la terra? Terra diventerai. Ami Dio? Diventerai come Dio», scrive Agostino. L’uomo diventa ciò che ama. La fede avanza per scoperta di tesori, non per doveri. La vita cresce non per obblighi o divieti, ma per una passione, e la passione nasce da una bellezza. La bellezza di un Dio così fa avanzare la mia fede. Un tesoro di persone e di speranze è il motore della vita. Sufficiente a mettersi in viaggio verso Colui che ha nome amore, pastore delle costellazioni e pastore dei cuori, che ci metterà a tavola e passerà a servirci, con tutta la gioia di un padre sorpreso da questi suoi figli, questo piccolo gregge, coraggioso e mai arreso, che veglia sui tesori di Dio, che veglia fino alle porte della luce. (Letture: Sapienza 18, 6-9; Salmo 32; Ebrei 11, 1-2.8-19; Luca 12, 32-48)