Il Vangelo della domenica. Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà (Gv 16,12-15)

(a cura Redazione “Il sismografo”)

“In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».”

Parola del Signore 
Commento di mons. Pierbattista Pizzaballa
Per aiutarci ad entrare nel mistero della SS Trinità, la Liturgia ci offre un brano del Vangelo di Giovanni (16,12-15) in cui Gesù parla fondamentalmente dello Spirito Santo.
Ma parlando dello Spirito, Gesù apre uno squarcio su quelle che sono le relazioni che si vivono all’interno della Trinità; non parla dunque solo dello Spirito, ma dice qualcosa anche di sé e del Padre.
E a questo proposito, la prima cosa che veniamo a sapere è che lo Spirito non parla da sé, ma dice tutto ciò che ha udito (Gv 16,13). È un’indicazione importante.
All’interno delle relazioni trinitarie, si vive così: ciascuno non è un individuo singolo, che ha se stesso al centro del proprio orizzonte. Per cui nessuno parla di sé, né parla da sé, di ciò che decide, o pensa, o vuole.
Ciascuno, al contrario, non condivide e non dona se non ciò che a sua volta ha ricevuto.
Dev’essere molto bello vivere così; così capaci di raccontare non se stessi, ma un altro; capaci di parlare di un altro, di dire quello che l’altro pensa, dice, vuole, desidera, realizza.
Questa è la vita della Trinità: una vita in cui nessuno ha bisogno di imporsi, perché è l’altro a farlo per me, a custodire e a garantire la mia esistenza.
Il secondo elemento è rintracciabile nell’aggettivo possessivo “mio”, che nel corso di questi pochi versetti ritorna più volte.
È anche questa un’indicazione interessante, perché Gesù sembra dire che all’interno della Trinità niente è posseduto in modo definitivo da nessuno. Non c’è nulla di definitivamente “mio” o “tuo”.
Così Gesù dice che ciò che è del Padre è anche del Figlio; e ciò che è del Figlio è “preso” dallo Spirito perché diventi di tutti, diventi dei discepoli.
Nel Vangelo di Giovanni, questo concetto ritorna più volte.
Per esempio, là dove dice che “Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato.” (Gv 7,16); e più avanti dice che “la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14, 24).
Ritroviamo cioè spesso questo scambio, questa appartenenza reciproca, questo scambio, per cui è sempre difficile stabilire ciò che sia dell’uno o dell’altro.
O meglio, dalle parole di Gesù è sempre più chiaro che il Padre e il Figlio sono accomunati da un’unica vita, da un unico disegno di salvezza per l’uomo.
Per cui Gesù può arrivare a dire che chi ha visto Lui, in realtà ha visto il Padre (Gv 14,9).
Tutto ciò significa semplicemente che la vita all’interno della Trinità è essenzialmente una vita di amore, e di nient’altro.
E nell’amore non c’è un possesso personale di cui l’altro possa essere escluso, non c’è una proprietà privata che arricchisca uno più di un altro. Altrimenti non sarebbe amore.
Non solo tutto appartiene a tutti, ma ciascuno appartiene completamente all’altro e vive dell’altro.
La buona notizia è che questo stile di vita non è solo all’interno della Trinità: lo Spirito vuole vivere in noi come principio di una vita ugualmente vissuta nell’amore e nel reciproco dono, in cui non ci sia più bisogno di impossessarsi di nulla, perché si è tutti ugualmente e immensamente ricchi del dono dell’altro, di ciò che si riceve e di ciò che si dona.