Il rapporto. Le spose bambine nelle baraccopoli di Roma

Non serve cercarli lontano. In Paesi in cui la ‘tradizione’ giustifica i matrimoni precoci delle bambine. Basta infatti spingersi nei pressi del Grande raccordo anulare, nella periferia abbandonata della Capitale per trovare percentuali di spose bambine simili all’Africa. Nelle baraccopoli che si sviluppano ai confini della città di Roma, infatti, il tasso di unioni precoci è del 77%, «un numero inaspettato e scioccante», che supera il record mondiale detenuto dal Niger (pari al 76 per cento) e di gran lunga il tasso più alto detenuto in Europa, ben distante da quello di Stati come la Georgia (17 per cento) e la Turchia (14 per cento). A rivelarlo, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, l’Associazione ’21 luglio’ nel report Non ho l’età. I matrimoni precoci nelle baraccopoli della città di Roma .

E così le bambine si sposano in giovane età perchè povere, non istruite, disoccupate. Da questa indagine sul campo, durata due anni (2014-2016) in sette insediamenti spontanei e un’occupazione all’estrema periferia della Capitale in cui vivono più di 3mila persone, è emerso infatti che in queste baraccopoli ci sono 71 matrimoni precoci. Un «risultato shock», lo definisce l’Associazione ’21 luglio’, soprattutto se si pensa che tra chi si è sposato ancora minorenne 7 volte su dieci il giorno delle ‘nozze’ aveva un’età compresa tra i 16 e i 17 anni, mentre nel 28% dei casi non superava i 15 anni ed era però maggiore di 12. In questo contesto, è il passaggio successivo della ricerca, «il genere incide in maniera determinante sulla precocità del matrimonio », visto che una ragazza su due si sposa tra i 16 e i 17 anni e una su 5 tra 13 e 15 anni». Costrette dai genitori a matrimoni combinati, in circa la metà dei casi, o conseguenza di un percorso scolastico fallimentare, il matrimonio in giovanissima età diventa «l’esito di un disagio a cui le istituzioni tutte – scolastiche, comunali, sanitarie – non sono state in grado di rispondere».

Ed è così che, spiega il presidente dell’Associazione ’21 luglio’ Carlo Stasolla, «Roma sta diventando come Mumbai, c’è un processo di ‘indianizzazione’ con gruppi umani in periferia totalmente abbandonati che si tendono a chiudere in se stessi». Non c’è però nessun legame con etnie particolari, vista «la trasversalità dei matrimoni precoci», ma i numeri provano come «la questione dipenda dalle condizioni socio-economiche» in cui versano le famiglie piuttosto che dalle specificità culturali dei singoli gruppi. Fattore determinante è perciò l’inserimento sociale e soprattutto scolastico dei bambini, «che avviene in appena il 19% dei casi in città – continua Stasolla – anche perché le scuole di periferia non hanno gli strumenti adeguati per favorire l’inserimento».

Assenza di stimoli esterni, alto tasso di disoccupazione (soprattutto femminile) fanno del matrimonio «un’opportunità per investire tempo, energie e capacità ». Perciò la pratica dei matrimoni precoci – «favorita dallo svantaggio socio-economico e dal condizionamento della collettività di uno spazio ristretto e densamente abitato» – si combatte, secondo Stasolla, con «una lotta alla povertà a 360 gradi, che significa interventi sulla scuola, sulla casa, politiche sulla salute e sul lavoro». La situazione attuale, infatti, è «frutto di un trentennale disagio di alcuni gruppi marginalizzati e dimenticati».

E si risolve partendo dal garantire i diritti dell’infanzia, continua, e «promuovendo un sano sviluppo delle bambine e dei bambini», «cambiando rotta nel nostro Paese» con il superamento delle baraccopoli presenti nelle principali metropoli italiane, «luoghi di segregazione che impediscono il godimento dei diritti dei più piccoli e dei più basilari diritti umani».

da Avvenire