Il prossimo 10 maggio al Salone del Libro di Torino, si svolgerà la premiazione del primo concorso letterario dedicato ai detenuti

Scrivere per essere liberi, perché la fantasia porta lontano, certamente oltre quelle sbarre e quei muri all’interno dei quali si è stati condannati a vivere, ma anche la scrittura e la lettura come strumento di educazione e rieducazione: sono anche questi i sentimenti e gli obiettivi con cui, ormai sette anni fa, è stato creato il Premio Goliarda Sapienza, concorso letterario nazionale rivolto alle persone detenute,  curato dalla giornalista Antonella Bolelli Ferrera, e promosso dalla onlus Inverso, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dalla Siae.

Oltre 60 i racconti arrivati al Premio

A partecipare, quest’anno, sono stati 60 detenuti (15 donne e alcuni delle sezioni Alta Sicurezza) di quattro istituti penali: Rebibbia femminile, Rebibbia reclusione, Santa Maria Capua Vetere e Saluzzo, tra i quali sono stati selezionati i 15 finalisti esaminati da una giuria di esperti e giornalisti presieduta da Elio Pecora. Ma la grande novità di questa settima edizione è che a decretare il vincitore che verrà premiato il 10 maggio nell’illustre cornice del Salone del Libro di Torino, tra le manifestazioni letterarie più importanti del panorama nazionale, saranno anche grandi lettori, studenti, ma soprattutto gli ascoltatori di Radio Vaticana Italia, che iscrivendosi attraverso il portale Vaticannews.va potranno leggere e votare il proprio racconto preferito on line, entro l’11 marzo prossimo.

Per iscriversi, leggere i racconti e votare, si può cliccare qui ]

Un laboratorio con tutor d’eccezione

Per arrivare al fatidico appuntamento del 10 maggio a Torino – per la prima volta un luogo “fuori” dal carcere e per questo molto simbolico – gli aspiranti scrittori hanno affrontato un percorso piuttosto lungo, composto da 15 lezioni svoltesi settimanalmente tra ottobre 2017 e gennaio 2018 con tutor letterari d’eccezione: oltre all’ormai habitué Dacia Maraini, da sempre madrina del Premio, anche Erri De Luca, Nicola Lagioia, Gianfranco Carofiglio, Cinzia Tani, Romana Petri, Serena Dandini, Paolo Di Paolo, Antonio Pascale, Maria Pia Ammirati, Marcello Simoni, Pino Corrias, Andrea Purgatori, Federico Moccia, Massimo Luglio e Giulio Perrone. E sarà proprio pubblicato da Giulio Perrone editore la raccolta con i 15 racconti giunti in finale, sotto il titolo “Racconti dal carcere”.

L’esperimento dell’e-Writing, la “scrittura a distanza”

Tra le novità di quest’anno, rispetto alle passate edizioni, c’è sicuramente quella dell’eWriting, cioè della scrittura a distanza. Le lezioni, infatti, si sono svolte in diretta web dalla sede dell’Università telematica eCampus, partner dell’iniziativa, dove si trovavano i docenti, e quattro aule allestite per l’occasione all’interno delle strutture prescelte e dotate di schermi, microfoni e computer.  “Rispetto agli anni precedenti – sottolinea Antonella Bolelli Ferrera – abbiamo voluto far precedere il premio da un laboratorio di scrittura, per aiutare i detenuti ad acquisire una base letteraria per scrivere i loro racconti”. I partecipanti alle lezioni, così, ogni settimana per due ore, hanno avuto la possibilità di potersi confrontare con professionisti della scrittura “I racconti che sono venuti fuori – continua la curatrice – sono stati tutti molto belli. Alla fine abbiamo scelto i 15 finalisti, facendo attenzione allo stile e alla capacità d’intreccio nella narrazione. Tanti di loro si sono ispirati alle proprie situazioni personali, ma c’è anche chi ha preferito scrivere, ad esempio, un racconto di fantascienza, molto realistico in realtà…”.

Racconti per sorridere, riflettere e commuoversi

Ed è proprio tra queste insormontabili mura, tra un incontro su come sviluppare un soggetto e come rendere brillante un dialogo, una lezione tra la differenza fra romanzo e racconto e una sull’autobiografia, che sono nate e cresciute le 15 perle che avrete il piacere di leggere e il privilegio di votare. Ci sono storie di amore puro e di amore rubato con la violenza; il dramma di una faida familiare il cui odio è capace di coinvolgere perfino due giovani di 15 anni, età che dovrebbe essere spensierata per definizione; altri ragazzini, stavolta riuniti in una gang, che s’illudono di conquistare il mondo con furti e rapine senza capire che il mondo, invece, bisogna cambiarlo. E ancora: c’è chi si cimenta con un testo teatrale, cantando ribellione e follia, chi sposa l’ambientazione futuristica per tornare poi all’oggi, e chi descrive la realtà carceraria perché è l’unica che abbia mai vissuto. C’è spazio per ridere, anche, nel primo giorno di permesso premio – una delle poche occasioni che si hanno di essere felici quando si è reclusi – o con la storia del narcotrafficante che parte per il Marocco con il suo carico di hashish… ma solo con l’immaginazione.

Scrivere è gettare un ponte tra “dentro” e “fuori”

Tante storie, dunque, di vita vissuta o di fantasia, tanti modi di intendere la scrittura, come unico veicolo di evasione, come sfogo catartico che ci fa immaginare, anche solo per poco e davanti a un foglio bianco, di essere qualcun altro, come doloroso modo di fare i conti con il proprio passato e venirne a patti. Comunque si tratta di gettare un ponte, tra la realtà “dentro” e quella “fuori”, tra chi vive “dentro” e chi vive “fuori”, uno di quei “ponti e non muri” tante volte invocati anche da Papa Francesco. “In carcere – conclude Antonella Ferrera – si scrive moltissimo, un po’ per non sentire la solitudine, ma anche per far passare quel tempo che tra quelle mura sembra eterno. È un atto di libertà, alla fine, e mi piace ricordare le parole di Erri De Luca, anche lui tra i tutor, che definisce la scrittura come un atto di evasione che non contravviene ad alcuna regola”.

Radio Vaticana