Il progetto. La pace corre sulla slitta

Armen Khatchikian con i suoi Siberian Husky

Armen Khatchikian con i suoi Siberian Husky

Nel centenario della Grande Guerra gli “eredi” dei cani da slitta arruolati con la Quinta divisione alpina schierata sul fronte Ortles-Cevedale Adamello vogliono diventare ambasciatori di pace. I discendenti di quegli straordinari esemplari, capaci di trainare ad oltre tremila metri di quota carichi pesantissimi di armi, munizioni e rifornimenti, saranno i protagonisti di uno straordinario tour della pace tra Italia, Paesi nordici, Stati Uniti e Giappone Il progetto – a cavallo tra difesa ambientale, sport, divulgazione storica e impegno sociale – sta prendendo forma proprio ai piedi dell’Adamello, versante lombardo, dove da oltre 30 anni Armen Khatchikian, italiano d’origine armena, ha messo in piedi la prima scuola italiana di sleddog. Grande sportivo – tra i primi italiani a correre sui 1.800 chilometri della mitica Iditarod in Alaska, la più importante gara mondiale di cani da slitta –, innamorato della montagna e dei suoi cani, Armen è però soprattutto un uomo di pace. La storia della sua famiglia lo ha vaccinato per sempre contro il virus dell’intolleranza e dell’odio. I nonni conobbero gli orrori del genocidio armeno ma differenza del milione e mezzo di connazionali caduto per la follia omicida dell’impero ottomano, riuscirono a sfuggire allo sterminio sistematico, raggiungendo il Medio Oriente, l’Egitto e poi il Sudan, dove Armen è nato nel 1956, dopo il matrimonio del padre con una donna italiana. Qualche anno dopo il trasferimento a Gorizia, gli studi, i primi contatti con il mondo del grande Nord, delle avventure sul ghiaccio, delle imprese estreme.

Alle radici di una passione sorprendente per un armeno nato in Africa, un innamoramento giovanile per la figura di Jack London e per le atmosfere del suo romanzo più noto, Zanna Bianca. A 27 anni, in compagnia di un amico, scende in canoa lungo il fiume Yukon, lo stesso solcato all’inizio del ’900 da London su una zattera di legno, 3.200 chilometri dal Canada all’Alaska. Quel viaggio gli permette di conoscere i segreti delle grandi distese ghiacciate e, soprattutto, l’arte di addestrare i cani da slitta, di comprendere il loro spirito di abnegazione e di sacrificio, di intuire quando quella generosità va incoraggiata e quando moderata, quando negli occhi di questi eccezionali animali si accede quella fiammella ideale che suggella con il proprietario-conduttore l’inizio di un patto per la vita: fiducia reciproca, totale e per sempre. Il sogno di stabilire un collegamento tra i cani della Grande Guerra e i discendenti di oggi è nato fin da quando Armen ha realizzato sul Tonale la sua scuola di sleddog – era il 1985 – portando direttamente dall’Alaska i primi 37 esemplari di Husky. Un’esperienza che continua anche oggi, sia sul versante sportivo sia su quello del tempo libero, con centinaia di famiglie e di bambini che ogni anno si avvicinano a questa attività affascinante, natura, neve, ambiente, benessere. E naturalmente sempre Alaskan Husky, questi cani instancabili, dolcissimi e tenaci. Difficile invece stabili- re a quale razza appartenessero i “quattro zampe” con le stellette che per quasi un anno, tra il 1917 e il 1918, furono utilizzati su sentieri inaccessibili perfino ai muli. Ma che fosse possibile avventurarsi fino ai 3.554 metri dell’Adamello con una slitta trainata dai cani, il fondatore della scuola italiana di sleddog l’ha dimostrato in prima persona, salendo in vetta nel 1986 con una muta di quattro cani veterani dell’Iditarod.

Animali ben addestrati quindi, proprio come quelli scelti cent’anni fa dal maggiore Carlo Mazzoli. Grossi cani da pastore – l’ufficiale ne metterà insieme circa 250 – che dopo una periodo di prova e di selezione al canile militare di Bologna, vengono spediti in alta quota per condividere con gli alpini del battaglione ‘Val d’Orco’ gli ultimi, durissimi mesi di guerra. Sono gli alpini “cagnari” – oggi diremmo cinofili – addetti al trasporto di armi e vettovaglie lungo i più impervi percorsi innevati. Di quelle giornate di eroismo e di paura non rimane che qualche foto sbiadita. L’epopea degli “alpini cagnari” durò pochi mesi. Poi, alla fine del conflitto, il reparto venne sciolto e furono decine gli alpini che, non volendo separarsi dai cani che avevano loro offerto sostegno e fedeltà durante la guerra, ottennero di tornare a casa con un “compagno” al guinzaglio. Durante una delle sue ricognizioni sull’Adamello, Armen ha anche recuperato i resti di una delle rudimentali slitte utilizzate dagli alpini durante la Grande Guerra. Ora, a distanza di un secolo dal primo conflitto mondiale, l’obiettivo è quello di trasformare i cani da slitta in ambasciatori di pace. Si partirà proprio dal massiccio a ca- vallo tra le province di Brescia e di Trento e quindi si raggiungeranno, con modalità ancora da definire, le località che nel mondo hanno dedicato un monumento ai cani da slitta. Prima tappa Venezia, dove nei giardinetti di piazzale Roma, a due passi dalla stazione ferroviaria, c’è la statua dell’esploratore Francesco Querini, disperso nel 1900 durante la spedizione al Polo Nord del Duca degli Abruzzi. L’ufficiale di Marina è ritratto con i cani che lo accompagnarono durante l’ultima, fatale corsa senza ritorno sui ghiacci dell’Artico.

Altri monumenti ad altrettanti eroi di spedizioni polari – tutti con i fedeli quattrozampe al seguito – si trovano in Danimarca, Norvegia, Svezia. E poi, naturalmente, ad Anchorage, in Alaska, e a Sapporo, in Giappone. Due le statue a New York, entrambe in memoria di un episodio risalente al 1925, quando in Alaska una staffetta di 150 cani e 12 “ musher” (i conducenti delle slitte) riuscì a percorrere in 5 giorni, con temperature medie di 40 sottozero, i 1.200 chilometri che separano la capitale Anchorage da Nome. Obiettivo quello di trasportare le antitossine necessarie a combattere un’epidemia di difterite che si era diffusa nella cittadina al Nord dell’Alaska. Dall’impresa, che ebbe successo, nel 1995 è stato ricavato il film di animazione Balto. E proprio a Balto, “mezzo lupo e mezzo Husky” è dedicata una statua a Central Park. Mentre un altro cane protagonista di quell’epopea, Togo, è immortalato nel bronzo a Seward Park. Ma di lui, a cui nessun cartone animato è stato mai dedicato, non si sa quasi nulla.

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