Il “paradiso ritrovato” in un libro della giornalista americana Brook Wilensky-Lanford

di Alessandro Scafi

La giovane giornalista americana Brook Wilensky-Lanford ha studiato all’università storia del teatro, delle religioni nonché tecniche di scrittura saggistica. Quando ha saputo dal padre che un suo prozio si era messo in cerca del giardino dell’Eden, si è subito incuriosita. Ha iniziato così la sua personale indagine sui ricercatori del paradiso in terra, trovando un buon argomento per il suo primo libro, Paradise Lust, letteralmente “voglia di paradiso”, un brillante gioco di parole che evoca il poema epico di Milton, Paradise Lost, “Il paradiso perduto”. Il libro è stato pubblicato in America esattamente un anno fa ed è ora uscito in traduzione italiana “Il paradiso ritrovato: sulle tracce del giardino dell’Eden” (Torino, Edt, 2012, pagine 360, euro 20). Nel prologo si ha una sintetica rassegna dei tentativi di localizzare il biblico giardino dell’Eden dalla tarda antichità alla fine dell’Ottocento.
L’autrice inizia quindi la sua dettagliata narrazione esponendo le idee di William Fairfield Warren, rettore dell’Università di Boston e pastore metodista, che nella seconda metà dell’Ottocento, suggestionato dal contemporaneo interesse per le esplorazioni artiche e spiegando l’autenticità della Bibbia con il linguaggio della scienza, elaborò la teoria per la quale il giardino dell’Eden era stato al Polo Nord, in una regione poi sommersa dal diluvio. Il lettore è poi introdotto alle polemiche suscitate dalle tesi di Friedrich Delitzsch, docente di Assiriologia all’università di Berlino, che, sostenendo la dipendenza dell’Antico Testamento dalla cultura babilonese, proponeva per il sito dell’Eden l’odierno Iraq.
All’inizio del Novecento, poi, il reverendo battista Edmund Landon West situava il giardino dell’Eden nell’Ohio, individuando nel Serpent Mound, un grande terrapieno a forma di serpente creato dai nativi americani, l’indicazione del luogo della fatidica tentazione di Adamo. Il lettore viene poi a sapere che, come il tedesco Delitzsch, anche l’assiriologo inglese Archibald Henry Sauce considerava la storia dell’Eden una leggenda babilonese e situava il favoloso giardino nella Mesopotamia meridionale: a differenza del collega germanico, però, Sauce vedeva nell’Antico Testamento una religiosità più alta dell’originaria narrazione babilonese e nell’archeologia la conferma della verità storica della Bibbia. Mentre in Europa si avvicinava la tragedia della prima Guerra mondiale, a Hong Kong un imprenditore cinese di lingua inglese, un battezzato anglicano dalle idee rivoluzionarie e di nome Tse Tsan Tai, propose per il giardino dell’Eden una località in un deserto della Cina. Incontriamo poi un ingegnere idraulico inglese, William Willcocks, che affrontò il problema dal punto di vista della sua specifica competenza tecnica e della sua esperienza pratica nelle tecniche di irrigazione, e identificò due paradisi, quello biblico, a nord della confluenza del Tigri con l’Eufrate, e quello sumerico, nella zona paludosa vicina al Golfo Persico.
Particolarmente avvincente e dettagliato è il resoconto che l’autrice offre delle vicissitudini del cosiddetto “Albero della Conoscenza” o “Albero di Adamo”, situato nei sobborghi di Qurna, la città vicino a Bassora alla confluenza del Tigri con l’Eufrate, che per la tradizione indica il luogo dell’Eden. Leggiamo anche del “Libro di Urantia”, pubblicato per la prima volta nel 1955 ma compilato a partire dagli anni Venti come l’insegnamento filosofico e spirituale offerto agli uomini da misteriosi esseri celesti. Uno psichiatra e un’ostetrica di Chicago, William S. Sadler e sua moglie Lena, avrebbero raccolto per anni il prezioso materiale da un uomo che parlava nel sonno, e, secondo il “Libro di Urantia”, l’Eden si trovava in una penisola della costa orientale del Mediterraneo, vicino a Creta. Un altro capitolo è dedicato all’avvocato repubblicano Elvy Edison Callaway, che, osservando nelle paludi della Florida un sempreverde millenario, pensò che quello fosse uno degli alberi edenici “piacevoli alla vista” di cui parla il libro della Genesi. Quindi si convinse del fatto che Dio avesse creato Adamo in Florida e piantato il giardino dell’Eden lungo il fiume Apalachicola, sempre nella stessa regione. Callaway vedeva poi il peccato originale in modo radicalmente originale rispetto all’opinione generale: posta di fronte alla scelta tra immortalità e conoscenza, Eva scelse quest’ultima, come Dio stesso auspicava, innescando così lo sviluppo progressivo della storia umana.
Leggiamo poi dell’esploratore norvegese Thor Heyerdahl, che navigava con natanti primitivi per dimostrare le vie nautiche della diffusione umana in tempi protostorici, viaggiando su zattere fatte di giunchi, papiri e tronchi di balso. L’ardito navigatore è famoso per aver solcato su una zattera, nel 1947, più di quattromila miglia per ripercorrere il viaggio del mitico re Kon-Tiki dal Sud America alla Polinesia. Ma nel 1977 il Norvegese concepì la sua rotta da Adamo ed Eva e da Noè, in Mesopotamia, fino alla Valle dell’Indo e poi in Egitto, per dimostrare la possibilità di scambi tra le civiltà antiche: con un’altra zattera primitiva realizzata unicamente con canne della Mesopotamia, Thor salpò da Qurna, discendendo il Tigri fino al Golfo Persico, affrontò l’Oceano Indiano, ma poi ripiegò per l’imboccatura del Mar Rosso, approdando a Gibuti.

(©L’Osservatore Romano 10 agosto 2012)