Il Papa affronta le enormi sfide che la Chiesa l’umanità hanno di fronte

Ancora oggi qualche testata giornalistica cercava di capire se Bergoglio avrebbe pronunciato o meno la parola fatidica, “rohingya”. Attesa delusa. Appena arrivato dal Myanmar, dopo un viaggio ed impegni a dir poco massacranti (nel suo entourage non si nasconde la stanchezza del papa) Francesco è arrivato in Bangladesh, in uno scenario molto diverso da quello del Myanmar. Qui la tolleranza religiosa è ben o male praticata da anni e fa parte della cultura e della storia del Paese, che ha una maggiore esperienza internazionale ed è abituato a una cultura multireligiosa e alla dialettica della democrazia.

Esiste una certa libertà di espressione religiosa e politica, tanto che il fondamentalismo religioso musulmano sta prendendo piede, in modo preoccupante, proprio in reazione a questo modo di vivere in società. Tuttavia il Bangladesh continua nella sua politica di libertà e rinnovamento del grande Paese di religione musulmana, un esempio per tutta l’Asia per la libertà di espressione religiosa. L’attentato all’inizio del luglio 2016, che fece una cinquantina di vittime, tra cui molti stranieri, non ha portato il Paese a cambiare rotta, ad abbandonare democrazia, dialogo e tolleranza.

Il papa sin dal suo arrivo, con la sua autorità morale, ha continuato a parlare chiaramente dei problemi più gravi: profughi che attendono un’impegno immediato da parte di tutta la comunità internazionale, e non solo del Bangladesh; rispetto per le minoranze; aiuto necessario ai poveri; attenzione per la natura; responsabilità personale… Insomma, un fuoco di fila sincero, senza offendere nessuno e senza risparmiare nulla di quanto fa parte della sua agenda “politica”.

In Bangladesh Francesco ha davvero trovato una “Chiesa da campo” che si occupa dei problemi della gente e di chi più soffre, una presenza attenta, che non fa economia di eroismi, senza far distinzioni di razza o di religione. E viene riconosciuta anche ufficialmente in questo suo ruolo, da esponenti di altre religioni, perché il proselitismo non le appartiene, perché «si compiono assieme opere buone», come è stato detto.

Il papa si è commosso di fronte al monumento dei martiri del Bangladesh, piangendo con chi piange, soffrendo con chi soffre. Ha abbracciato tutti quanti ha potuto, soprattutto durante l’incontro interreligioso. Forse proprio per questo Bergoglio è credibile, la Chiesa in Bangladesh è credibile: Il suo è un “dialogo della vita” nell’impegno per i poveri, nella “apertura del cuore’’ del dialogo interreligioso. Un messaggio che avrà ripercussioni in tutto il continente asiatico.

E i rohingya? Il papa ne ha incontrati 18 alla fine dell’incontro interreligioso, li ha ascoltati a lungo. Nessuna omissione. Francesco continua nella sua costante opera che mira a «vincere il male non col male, ma col bene», una via profondamente religiosa e al contempo semplicemente civile, una virtù politica e sociale.

Città Nuova